La nascita 100 anni fa

C’era una volta Italo Calvino: nè moniti né miti, solo dubbi dello scrittore tra scienza e magia

Non aveva le certezze quasi teologiche di Pasolini, e neppure la sua enfasi predicatoria. Da “La giornata di uno scrutatore” a “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, trionfa nelle sue opere lo stupore

Cultura - di Filippo La Porta - 15 Ottobre 2023

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C’era una volta Italo Calvino: nè moniti né miti, solo dubbi dello scrittore tra scienza e magia

Per comporre un ritratto di Italo Calvino, nato il 15 ottobre del 1923 (e scomparso nel 1985) provo a fare subito una dichiarazione personale. Nei miei primi cinquant’anni ero pasoliniano, adesso sono decisamente calviniano. Non tanto nel senso di moderazione senile e prudenza intellettuale quanto nel senso di una visione del mondo laicamente disincantata, piena di dubbi.

Pasolini invece, pur con le sue contraddizioni, aveva certezze quasi teologiche e coltivava mitologie salvifiche (contadini del Friuli, operai del Pci, sottoproletari romani, Terzo Mondo…). Nelle sue magnifiche prediche in forma di poemetti in prosa ammoniva gli italiani a non sprofondare nell’inferno dei consumi. Calvino non ammonisce nessuno, non idealizza categorie sociali, difetta di “passione e ideologia”, non rimpiange il passato. Continua però a interrogarsi sui costi dello sviluppo, sulla perdita dell’esperienza nel mondo contemporaneo, con un sentimento di pietas verso le creature inermi.

Ritengo altresì che l’immagine di Calvino, consegnata alla vulgata, di un autore fondamentalmente ottimista, conciliato e privo del senso del tragico, sia del tutto infondata. Lo scrittore inseguiva ostinatamente un ordine da dare alla complessità del mondo sapendo però che alla fine prevale l’entropia, il disordine. Il tragico nella sua opera è ben presente ma non viene esibito, resta sottotraccia, dando però alla prosa – cristallina e geometrica – una continua torsione problematica: incisi, parentesi, punti interrogativi.

La sua saggezza scettica, attratta dal fantastico e fatta di misura, discende da Montaigne, mentre le invettive pasoliniane provengono da Savonarola. Ha scritto romanzi, racconti, saggi, apologhi, articoli, raccolte di fiabe. Una produzione multiforme in cui motivo conduttore è l’idea di letteratura come sfida al labirinto – non resa al labirinto – , come “progettazione positiva del mondo” e capacità di sottrarsi all’opacità dell’esistente attraverso la fantasia. Una volta replicò a Guglielmi che la disperazione di Beckett “deve servire ai non disperati”! Tre sono i testi che intendo anzitutto suggerire, a parte il sorprendente esordio del Sentiero dei nidi di ragno, romanzo fiabesco sulla Resistenza, e le Cosmicomiche, confronto immaginativo con le teorie scientifiche. Ricordo a questo proposito un saggio su Cìbernetica e fantasmi del 1967, in cui scriveva che la nostra interiorità, descrivibile come un linguaggio, può essere artificialmente riprodotta (altro che GPT non può simulare l’intuizione!).

Dunque, le opere calviniane che raccomando sono La giornata di uno scrutatore, del 1963, dove ci mostra il nucleo tragico della democrazia stessa (il voto di un paziente menomato del Cottolengo vale quello di un cittadino qualsiasi?), Il signor Palomar, del 1983, tentativo genialmente fallito di dare una descrizione rigorosa del “groviglio” della realtà, e le Città invisibili, del 1972, un’opera-mondo che si pone come enciclopedia del presente attraverso il simbolo-chiave della città. Mentre delle stracitate Lezioni americane la mia preferita è quella sulla “Visibilità”, dove lo scrittore si mostra angosciato dal “diluvio di immagini prefabbricate” da cui siamo inondati, e indica una pedagogia dell’attenzione da esercitare su se stessi per non smarrire del tutto la “facoltà umana fondamentale” di “pensare per immagini” (il potere di “evocare immagini in assenza” proprio dello scrittore), oggi messa seriamente a rischio …

Mentre considero un po’ meno durevole il Calvino combinatorio e metaletterario dell’Oulipo: Se una notte d’inverno un viaggiatore è una narrazione virtuosistica ma un poco arida. Quanto alla celebre trilogia dei Nostri antenati (1960) possiamo dire che è diventata un classico della letteratura per ragazzi, ormai più popolare del Pinocchio collodiano: opera godibile, ma un tantino consumata dall’uso scolastico. Soffermiamoci sulla Giornata di uno scrutatore, un libro un po’ meno conosciuto: pamphlet, racconto lungo, reportage, resoconto lucido di una esperienza di scrutatore all’istituto Cottolengo.

Dovete immaginare un intellettuale illuminista, iscritto al Partito Comunista, fiducioso nel progresso sociale, nella scienza, nelle magnifiche sorti del genere umano, che si trova improvvisamente di fronte a una alterità non riassorbibile, a una contraddizione dentro la natura stessa, a una crepa nella Creazione. Amerigo Ormea, alter ego dell’autore, e scrutatore al Cottolengo, si chiede continuamente dove stabilire il confine tra i pazienti dell’Istituto e i sani? A un certo punto nota ai bordi di un letto un giovane, rattrappito nei suoi movimenti, e il padre, dall’aspetto contadino, che gli schiacciava le mandorle e gliele passava attraverso il letto. Questi se le portava lentamente alla bocca, mentre il padre lo guardava masticare.

Il vecchio contadino “fissava il figlio negli occhi per farsi riconoscere”, per non perderlo, “per non perdere quel qualcosa di poco e di male, ma di suo, che era suo figlio”. Proprio qui Amerigo/Calvino si interroga sui confini dell’umano. Quel contadino non aveva scelto nulla, “il legame che lo aveva stretto alla corsia non l’aveva voluto lui”, la sua vita era altrove, eppure la domenica viaggiava fin lì “per veder masticare suo figlio”. Amerigo pensò che “quei due, come sono, sono reciprocamente necessari…ecco, questo modo d’essere è l’amore”.

E ancora: “l’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli diamo”. Ecco, può essere che anche quell’amore, quella reciprocità necessaria, un giorno diventi un algoritmo, e proprio Calvino non lo avrebbe escluso, ma intanto resta lì, misterioso e inesplicabile. Come il gesto di carità del servo Gerasim in La morte di Ivan Illich di Tolstoj. Una volta Pasolini definì con affetto fraterno Calvino un eterno adolescente.

Oggi mi appaiono entrambi come adolescenti, con la loro incorruttibile seriosità, la segreta timidezza (nelle cene con gli amici scrittori Pasolini restava sempre silenzioso, mentre Calvino nelle interviste accentua la balbuzie), il loro candore – privo di qualsiasi cinismo – che li rendeva politicamente inaffidabili. Inoltre caratterialmente poco inclini all’umorismo, benché fossero attratti dalla comicità, sia essa quella ariostesca o delle comiche finali o di una plebe vernacolare. Due temperamenti tragici, smarriti nel labirinto, ma con una loro letizia del vivere, pieni di vorace curiosità per il presente e capaci di stupore di fronte alla realtà. Si tratta in fondo delle attitudini che dovrebbe avere ogni scrittore.

15 Ottobre 2023

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