L’ultimo aggiornamento delle autorità di Israele porta a 199 gli ostaggi di Hamas. E proprio l’organizzazione palestinese, che con gli attacchi terroristici di sabato 7 ottobre ha infiammato il conflitto Medio Oriente, ha fatto sapere che prima della fine della battaglia non si parlerà degli ostaggi israeliani. È un aspetto enorme della crisi che in questo momento attraversa la Regione e che impegna la diplomazia di tutto il mondo: perché gli ostaggi possono rappresentare un freno all’operazione via terra nella Striscia di Gaza dell’esercito israeliano – che comunque continua a bombardare – e perché la cattura anche soltanto di un israeliano ha rappresentato un fatto enorme in passato. Il più clamoroso fu quello di un militare franco-israeliano che rimase nelle mani di Hamas per oltre 5 anni: fu liberato in cambio di oltre mille prigionieri palestinesi.
Gilad Shalit era entrato nell’esercito a 18 anni, nel 2005. La famiglia era di Mitzpe Hila, un piccolo Paese del nord. Il ragazzo aveva anche cittadinanza francese. Aveva chiesto di essere assegnato a un’unità di combattimento nonostante il fisico gracile e fu assegnato a un reparto corazzato. Era il 25 giugno del 2006 quando militanti palestinesi attaccarono un’unità nei pressi del confine con la Striscia di Gaza. Shalit venne ferito, rapito e portato nella Striscia dai terroristi. Era il primo soldato prigioniero dal 1994, quando venne rapito Nachshon Wachsman, rimasto ucciso nell’operazione delle forze speciali israeliane per liberarlo a sei giorni dal sequestro.
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La famiglia durante gli oltre cinque anni di prigionia aveva organizzato manifestazioni, proteste, picchetti per chiedere la liberazione. Il caso fu molto sentito dall’opinione pubblica: l’esercito è un’istituzione centrale nella formazione dei cittadini dello Stato ebraico. Un sondaggio pubblicato nel giugno del 2011 aveva registrato come il 63% degli israeliani fosse favorevole allo scambio di mille detenuti per la liberazione del soldato. Il primo ministro Benjamin Netanyahu era stato più volte e duramente criticato per il suo approccio alla vicenda. Hamas aveva chiesto in cambio della liberazione del soldato la liberazione di circa mille detenuti palestinesi dalle carceri israeliane tra cui quella di Marwan Barghuthi, politico condannato a cinque ergastoli.
Per un video che mostrasse le condizioni del soldato, nel 2009, Israele rilascio venti donne palestinesi detenute nelle sue carceri. L’accordo venne raggiunto nell’ottobre del 2011 con la mediazione di Egitto, Qatar, Turchia e Germania. Israele liberò 1.027 palestinesi in totale, 450 la prima settimana e 550 nei successivi due mesi. Il The New York Times Magazine dedicò una copertina alla vicenda. Shalit, che durante la prigionia aveva compiuto 25 anni ed era stato promosso da caporale a sergente, venne liberato il 18 ottobre del 2011. Fu accolto dalla sua famiglia e da Netanyahu nella base militare israeliana di Tel Nof. Dichiarò di aver sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato e che era nelle sue intenzioni lavorare per la pace tra Israele e Palestina.
Shalit era così debole fisicamente che nel viaggio in elicottero fino alla base militare svenne. “Riportare a casa Shalit è sempre stata una nostra priorità. Ma abbiamo dovuto prendere una decisione molto difficile”, dichiarò Netanyahu. La maggior parte dei prigionieri palestinesi venne trasferita nella Striscia, il resto tra Turchia, Siria e Qatar. La loro liberazione venne celebrata da miglia di persone. “Vogliamo dire al nostro amato Egitto di aiutarci a concludere la riconciliazione nazionale palestinese. La riconciliazione è cominciata da voi e succederà”, disse il leader dell’ANP, Mahmoud Abbas, alla folla riunita a Ramallah in anni di piena divisione con Hamas che aveva cacciato il partito dalla Striscia.
Contestatissima l’intervista che la televisione di stato egiziana fece a Shalit appena liberato, fu l’unica testata autorizzata ad assistere al rilascio. L’intervista fu contestata sia da Israele, che accusò la tv di aver approfittato del soldato in un momento così delicato per fare propaganda, sia dall’opinione pubblica egiziana che aveva stigmatizzato quell’intervista che non aveva parlato abbastanza dei prigionieri palestinesi. Tra i palestinesi liberati da Israele c’era anche Yahya Ibrahim Hassan Sinwar, attuale capo dell’ufficio politico di Hamas a Gaza, di fatto il governatore della Striscia, tra l’altro fondatore del ramo di sicurezza di Hamas, una sorta di polizia morale che punisce ogni trasgressione o collaborazione con Israele. È stato soprannominato il “macellaio di Khan Younis”. È il secondo membro più potente dell’organizzazione dopo Ismail Haniyeh, capo dell’ufficio politico in esilio in Qatar.
Gerhard Conrad, il mediatore tedesco tra i negoziatori della liberazione di Gilad Shalit, agente segreto in pensione, ha rilasciato un’intervista alla Jüdische Allgemeine a proposito della situazione in cui si trova Israele. E non è per niente ottimista. “Il momento per i negoziati arriverà soltanto quando l’operazione israeliana sarà finita e se rimarrà ancora qualcosa di Hamas. E se gli ostaggi saranno ancora vivi”. Secondo Conrad sarebbe ancora l’Egitto ad avere in mano la chiave delle trattative, da principale interlocutore. “Il rischio maggiore è che Hamas uccida gradualmente e spettacolarmente gli ostaggi per estorcere lo stop dell’offensiva di terra. Sarebbe una forma particolarmente subdola di guerra psicologica. Finora, non abbiamo mai visto nulla del genere”.