La testimonianza
Distruggere Gaza non servirà, la pace è possibile
Neta è la figlia di Ditza Heiman, portata via dai terroristi mentre era nella sua casa nel Kibbutz Nir Oz. Nel suo racconto su Haaretz, pieno di rabbia e anche di speranza, lancia un appello per la pace perché: “Sì, la pace è possibile”
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
Quella che leggerete è una testimonianza eccezionale. Di una donna eccezionale. Il suo nome è Neta Heiman. Neta è figlia di Ditza Heiman, che è stata rapita dalla sua casa nel Kibbutz Nir Oz il 7 ottobre mattina e portata nella Striscia di Gaza dai miliziani di Hamas. Nelle sue parole c’è lo spirito migliore di un popolo. E una lezione: il dolore, anche il più straziante, può trasformarsi in altro dalla rabbia e dal desiderio di vendetta. Può trasformarsi in speranza. Una speranza di pace. Quando a dominare è la guerra e il terrore.
“Sabato mattina, quel maledetto 7 di ottobre – racconta Neta Heiman su Haaretz – mi sveglio, come tutti, nell’orrore. Chiamo immediatamente mia madre. Si è chiusa nella sua stanza di sicurezza. Alle 10, quando chiamo di nuovo, non c’è risposta. Chiedo ai miei fratelli e sorelle, ma nemmeno loro riescono a contattarla. Ci convinciamo che si tratta di un problema di ricezione, siamo preoccupati. Passano le ore e ancora non ci sono notizie Alle 16, mia sorella chiama piangendo. “Ho chiamato mamma al telefono e mi ha risposto qualcuno con un accento arabo, dicendo [in inglese] ‘È Hamas, è Hamas’”.
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Non c’è modo di descrivere quello che proviamo, la paura e l’impotenza. Passano ancora alcune ore e veniamo a sapere che uno dei vicini di mia madre l’ha sentita gridare: “Aiutatemi!”. È uscito con la sua pistola per sparare ai terroristi, ma poi ha visto che erano molti. Hanno iniziato a sparare contro di lui, così è corso nella sua stanza di sicurezza per salvarsi. Martedì mattina parlo per la prima volta con il vicino di casa di mia madre; poiché anche lui ha subito un trauma terribile, ho ritenuto di non poterlo chiamare subito. Mi dice che li ha visti portarla via, che sembrava illesa. Martedì sera mio nipote mi chiama piangendo: “C’è un video di nonna sulla pagina Facebook di Hamas”.
Il filmato conferma quello che ci aveva detto il vicino: Ditza sembra illesa mentre la trasportano in un pick-up. Alle 21, finalmente, chiama un rappresentante dell’esercito. Più tardi, vengono a sedersi con noi, ma non ci dicono nulla che non sappiamo già. “È stata rapita”, dicono. Lo sappiamo dal video, grazie mille. Ma almeno ora sappiamo che l’esercito sa di lei, anche se questo non ci rassicura sulla sua incolumità. E stamattina, mercoledì? Stamattina sono arrabbiata. Con chi sono arrabbiata? È ovvio: sono arrabbiata con le persone spregevoli che hanno rapito mia madre e massacrato decine di civili, perpetrando un pogrom nel suo kibbutz.
Sono furiosa, naturalmente, con Hamas e con la Jihad islamica palestinese e con l’Iran, tutti coloro che hanno mandato queste persone a uccidere, saccheggiare e prendere ostaggi. Sono furiosa con il governo israeliano e con i maledetti membri del governo perché, a causa loro, l’esercito ha pattugliato il villaggio cisgiordano di Hawara durante le vacanze di Sukkot, invece di sorvegliare e proteggere mia madre. Sono furiosa con questo governo, che per quasi un anno ha fatto di tutto per aggravare la situazione nella zona di confine con Gaza. Questo colossale fallimento, questo caos, è colpa loro – così come il fatto che ancora oggi, quattro giorni dopo, nessun rappresentante del governo ha ancora visitato la maggior parte delle famiglie degli ostaggi.
Non posso dire se sono arrabbiata con l’esercito e i servizi di intelligence, è più di quanto possa pensare in questo momento. Ma al di là di tutto questo, sono arrabbiata con tutti i governi israeliani che dal 2000 in poi non hanno fatto assolutamente nulla per cercare di porre fine a questo terribile conflitto. Naturalmente sono arrabbiata con l’assassino di Yitzhak Rabin, Yigal Amir, e con le sue cheerleader dal balcone, tutti coloro che sono riusciti a bloccare l’unico governo che aveva capito che qualcosa qui deve cambiare.
Mia madre, e molti dei suoi amici del Kibbutz Nir Oz che sono stati massacrati, erano persone di pace, persone che credono che ci siano esseri umani con diritti anche dall’altra parte della barriera di confine. Tutto ciò che mia madre e i suoi amici volevano era vivere in pace nel piccolo Eden che avevano costruito nel deserto. Uno degli ostaggi, che ricordo dagli anni della mia infanzia, era un attivista di spicco di Peace Now. Sabato mattina è stato brutalmente rapito da casa sua, sotto gli occhi della moglie.
Quindi, da questo luogo terrificante in cui ci troviamo, mi rivolgo al governo che sorgerà dopo che l’incubo sarà finito e dico: non distruggete la Striscia di Gaza; questo non aiuterà nessuno e porterà solo un ciclo di violenza ancora più feroce la prossima volta. E quando arriverà il momento dei negoziati per il cessate il fuoco, approfittatene per raggiungere un accordo tra le due parti – non un “accordo”, ma un vero accordo di pace.
La storia ha dimostrato che è possibile. Gli accordi di cessate il fuoco dopo la guerra dello Yom Kippur del 1973 hanno portato alla visita di Anwar Sadat in Israele e alla pace con l’Egitto, una pace che dura da 45 anni. Non è una pace ideale, ma è comunque una pace. Un’amica di mia madre è tornata proprio martedì da un viaggio in Egitto. Suo figlio e suo marito sono scomparsi. Noi dell’organizzazione Women Wage Peace diciamo: Sì, la pace è possibile”.