Il cambio di passo polacco
Elezioni in Polonia: il flop dei sovranisti di Morawiecki lancia il governo europeista
Il Pis scende dal 44% al 30%, via libera all’ex presidente del Consiglio europeo. Dopo lo smacco in Spagna, crolla un altro pilastro del cantiere reazionario
Esteri - di David Romoli
Il colpo più duro e doloroso per Giorgia Meloni non è stato certo inflitto dall’opposizione italiana, rumorosa ma flebile. Arriva, anche se per averne la certezza matematica bisognerà attendere il verdetto finale previsto per oggi, dalla Polonia amica e fa il paio con la sberla appioppata pochi mesi fa dalla Spagna. In Polonia il Pis, fratello dei Fratelli d’Italia, il partito guidato da Jaroslaw Kaczynski e che esprime il premier Mateusz Morawiecki, si conferma in primo partito con percentuali che man mano che lo spoglio procede oscillano tra il 37 e il 40%, comunque in arretramento secco rispetto al 44% delle scorse elezioni, nel 2019.
La Coalizione civica di Donald Tusk è staccata pur se non di moltissimo, ondeggia tra il 27 e il 30%. Ma il Pis, “Diritto e Giustizia”, non sembra disporre di possibili alleanze. La Confederazione, che riunisce una serie di gruppi ancora più a destra del partito di Kaczynski, si è già detta indisponibile e comunque, salvo sorprese al fotofinish, con il suo scarno risultato tra il 6 e il 7% non basterebbe. Tusk ha invece la strada sgombra. Sia il centrodestra di Terza Via, forte del 14%, che la Sinistra, con il suo 8%, sono disponibili a una coalizione di governo in nome dell’europeismo.
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Dopo i primi sondaggi, che accreditavano al fronte europeista un vantaggio maggiore di quello che si sta registrando nei risultati reali, Tusk ha proclamato il populismo “finito”. Probabilmente il leader liberale pecca di eccessivo ottimismo. Una vittoria di misura come quella che si profilava con il 75% delle schede scrutinate, al 51% ma con una coalizione molto diversificata al proprio interno e dovendosela vedere con un presidente della Repubblica legatissimo al Pis come Andrzej Duda, è una vittoria, non un trionfo. Il Pis ha pagato sia la stanchezza degli elettori dopo un decennio di governo della destra, sia soprattutto la solidarietà con Kiev che ha colpito gli agricoltori per le importazioni del grano ucraino e ha portato entro i confini polacchi milioni di rifugiati dall’Ucraina. Sembra certamente destinato a perdere il governo, ed è un risultato clamoroso, ma di qui a darlo per morto, soprattutto se sarà intorno al 40% dei consensi, ce ne passa.
Per l’alleata italiana però lo stato di salute di una destra polacca comunque sconfitta è di importanza limitata, anche nel quartier generale di FdI il vantaggio del Pis viene sbandierato come se fosse quasi una mezza vittoria. Dal punto di vista degli orizzonti politici europei invece è una batosta tonda. L’intera strategia di Giorgia Meloni si fondava su due risultati che pochi mesi fa venivano dati ovunque quasi per certi: la vittoria del centrodestra in Spagna, con l’ingresso al governo degli alleati della premier italiana di Vox, e in Polonia, quasi una “nazione gemella” per l’Italia di Giorgia.
È sulla base di queste previsioni, smentite dalla realtà delle urne sia in Spagna che in Polonia, che si fondava in buona parte il progetto meloniano di un cambio di maggioranza a Strasburgo e dunque a Bruxelles, con l’alleanza tra il Ppe e i suoi conservatori, lasciando fuori il Pse e la destra ringhiosa di Identità e democrazia, cioè della Lega, di Marine Le Pen e della AfD tedesca. Già la mazzata spagnola aveva messo quel progetto alle corde, dato anzi da molti per già morto. Una Polonia europeista di Tusk potrebbe essere il colpo di grazia per quel sogno, sul quale la premier italiana aveva puntato moltissimo.
Si profila così l’eventualità, e anzi la probabilità, di un dilemma che metterà alla prova la tempra della premier italiana come leader politica di primo piano. Il declino della prospettiva di una Europa di centrodestra non la relega automaticamente ai margini. Senza una miracolosa inversione di tendenza il Pse uscirà comunque in ginocchio dalle elezioni europee. La destra conservatrice è troppo forte per ignorarla e lo spauracchio di una destra antieuropea che potrebbe rivelarsi molto forte in Francia e Germania, completerà l’opera. L’alleanza tra la premier italiana e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che certamente mirerà alla riconferma, è solida. Insomma, dopo le elezioni le pressioni per includere comunque la leader italiana in una sorta di maggioranza Ursula allargata saranno massicce.
FdI diventerebbe in quel caso a pieno titolo un partito conservatore quasi moderato, sdoganato nelle cancellerie e nei salotti del potere ma senza più quel rapporto con la base più sovranista al quale Meloni non vuole rinunciare. Per motivi di calcolo, dovendosela vedere con il competitor Salvini, ma anche per quelle sono davvero le sue radici. In ogni caso, sempre che l’elettorato europeo non decida di disegnare tutt’altro scenario come è sempre possibile, la scelta di Giorgia sarà difficilissima ma anche decisiva per il suo futuro politico.