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Le false promesse di Salvini: via la Fornero ma in pensione più tardi…

Le false promesse di Salvini: via la Fornero ma in pensione più tardi…

Della legge di Bilancio 2024 il governo, per il momento, non ha fornito alcun testo. C’è solo il comunicato del Consiglio dei ministri, il numero 54 del 16 ottobre, e circola una bozza. Sappiamo che, oltre ad aver approvato il disegno di legge relativo al Bilancio pluriennale 2024-2026 e all’anno finanziario 2024, l’Esecutivo ha anche varato un Decreto legge la cui urgenza è legata alla perequazione delle pensioni.

Come è noto, il governo aveva stimato per il 2022 una inflazione del 7,3% che, in realtà, è arrivata all’8,1, con uno scostamento percentuale di 8 decimali di punto e intende, perciò, pagare ai pensionati questa differenza entro la fine dell’anno, com’è giusto. Sempre meglio di niente, anche se è una goccia nel mare ed è il frutto di una previsione al ribasso dell’esecutivo sull’andamento dell’inflazione. Per il resto – mentre nel caso del Decreto sulla perequazione delle pensioni abbiamo il testo con la relativa relazione tecnica – ribadiamo che per quel che riguarda il disegno di legge della Finanziaria un testo ufficiale non c’è ancora.

Basandoci su quello che conosciamo, comunicato e bozza, vogliamo sottolineare una serie di forti perplessità per quanto riguarda le proposte avanzate. Si deve ricordare come, nel corso di questi anni, la Lega, in particolare Salvini, abbia sempre sostenuto di aver cancellato la legge Fornero. Ciò anche in virtù delle cosiddette “Quote” 100, 102 e 103. In realtà, la legge Fornero non è mai stata eliminata, se non per quelle platee alle quali è stata offerta una finestra – definita erroneamente “Quota” – basata inizialmente su un’età di 62 anni (nell’ultima proposta elevata a 63) e su almeno 38 anni di contributi, successivamente portati a 41.

Parliamo di platee molto particolari nell’ambito del mercato del lavoro. Ossia di lavoratori con carriere continuative: mettere insieme 41 anni di contributi, di questi tempi, non è da tutti, e non lo è/sarà nel presente/futuro soprattutto per i giovani. In sostanza, quella di aver “cancellato la legge Fornero” è stata un’affermazione senza fondamento, cioè pura propaganda. Tesi che Salvini ha cercato di riproporre per questa legge di Bilancio 2024. Dopodiché, incassato l’altolà di Giorgetti sulle risorse disponibili, il tutto si è poi ridotto alla più morbida formulazione “dell’obiettivo di legislatura”. Ma non basta. Purtroppo, in base alle notizie che stanno circolando, non solo non si fa un passo avanti sulle pensioni ma, in molti casi, li facciamo pesantemente all’indietro.

Sostanzialmente, quando si parla del tema della previdenza, se partiamo dall’esistente, emergono tre capitoli. Quota 103, Ape sociale e Opzione Donna. Per quel che riguarda Quota 103 si dà per certo che diventerà Quota 104, nella quale rimarrà fermo il requisito dei 41 anni di contributi, mentre quello dell’età anagrafica, che in precedenza era a 62 anni – 62+41=103 – passerà a 63 anni. Cresce, dunque, di un anno l’età per poter godere di questa forma di anticipo. Questo, nonostante il fatto che quando si parla di Quote così alte (la Quota del secondo governo Prodi, che l’ha inventata, era 97) è evidente che la platea interessata si restringe mano a mano che si alzano nuovamente i requisiti per l’accesso, come dimostrano i dati dell’anno in corso.

Prendendo a riferimento le statistiche dell’Osservatorio Previdenza della Cgil si stima che per il 2023 utilizzeranno Quota 103 circa 11mila lavoratori, l’82,5% dei quali uomini, che rappresentano appena il 27,5% di quelli previsti dal governo. Giorgetti, per addolcire la pillola, ha sottolineato l’esistenza del “bonus Maroni” a favore di coloro che decidono di restare al lavoro: ma questo c’era già prima. Quindi, sempre che questa Quota 104 veda la luce attraverso una puntuale formulazione legislativa, dobbiamo prendere atto di un ulteriore peggioramento della normativa. Aggravato dal fatto che, sempre secondo le indiscrezioni, la decorrenza del pagamento della pensione non sarà più di tre mesi per i privati e sei mesi per i dipendenti pubblici, ma rispettivamente di sei e nove mesi.

Inoltre, pare che sia stato inserito un ulteriore peggioramento nell’applicazione del moltiplicatore relativo alla quota retributiva, con conseguente riduzione del valore dell’assegno. Per quanto riguarda Ape sociale e Opzione Donna, il Governo parla di una revisione degli attuali meccanismi. L’Ape sociale è un “assegno-ponte”, non un anticipo della pensione, collegato a un plafond di 1.500 euro lordi mensili. Si tratta di un tetto invalicabile, anche nel caso in cui l’assegno maturato dal lavoratore fino a quel momento sia di importo superiore. Si tratta di una norma che permette, a chi ha fatto lavori gravosi, di ricevere un assegno anticipato. Ma non è una pensione vera e propria, che scatterà solo all’età dei 67 anni previsti dalla legge Fornero. Secondo le indiscrezioni, il requisito anagrafico per accedere all’Ape sociale verrebbe innalzato a 63 e 5 mesi rispetto ai 63 anni previsti nella normativa vigente.

Opzione Donna che è, invece, una vera e propria pensione, anche se tutta ricalcolata con il sistema contributivo e con dei tagli che, eliminando la componente retributiva, possono arrivare anche al 30% dell’importo, vedrebbe innalzato il requisito anagrafico a 61 anni rispetto agli attuali 60. La versione dell’anno scorso aveva già peggiorato in modo significativo la vecchia formula, che è dovuta anch’essa al ministro Maroni, che consentiva l’accesso anticipato con 58 anni di età alle lavoratrici dipendenti e 59 alle autonome, con 35 anni di contributi. Peggiorativa anche la scelta di sbloccare il congelamento degli incrementi dell’aspettativa di vita dal 2024, rispetto al 2026 precedentemente previsto.

Nella sostanza, si profila una situazione contraddittoria e peggiorativa per i lavoratori. Un’altra domanda che ci poniamo nasce da una vicenda che ho affrontato in prima persona. Da consulente del ministro del Lavoro, Andrea Orlando, nel 2022, insieme a una Commissione apposita, ho svolto un lavoro di individuazione di categorie da aggiungere all’elenco delle mansioni che davano diritto all’accesso all’Ape sociale. In quell’occasione si giunse anche alla decisione, in un’ottica di prevenzione e di sicurezza sul lavoro, di abbassare il numero di contributi necessari ai lavoratori edili, che corrono rischi enormi sui ponteggi, portandoli da 36 a 32 anni di contributi necessari, anche in considerazione della strutturale discontinuità del lavoro in quel settore caratterizzato dai cantieri. Che fine faranno questi lavoratori? Passeranno a 36 anni e 5 mesi? Sarà mantenuta la misura dei 32 anni o li rivedremo sui ponteggi a 64 anni di età?

Ci auguriamo che nulla venga cambiato per quanto riguarda i contributi previdenziali necessari per andare in pensione per gli edili e anche per i caregiver, gli invalidi e i licenziati, ai quali bastano solamente 30 anni. Venendo alla complicata situazione dei giovani, rinchiusi in un sistema totalmente contributivo, poiché si tratta di generazioni entrate al lavoro dopo il 1995, sappiamo che potranno andare in pensione a 64 anni, secondo la legge Fornero (quando matureranno questa possibilità verso la metà dei prossimi anni ‘30), solo se disporranno di un assegno di almeno 1.400 euro lordi mensili.

Con l’attuale precarietà del lavoro questo non è affatto garantito. Si dovrebbe, perciò, abolire o almeno ritoccare verso il basso questa soglia che corrisponde a 2,8 volte la pensione minima. Invece, il Governo pare che vada nella direzione opposta. Si passerebbe da 2,8 volte a 3,3 volte (più di 1600 euro lordi mensili) andando in controtendenza rispetto alle richieste dei sindacati e alle raccomandazioni degli esperti. Sarebbe una scelta molto grave e, ancora una volta, contro i giovani. Ci troviamo, in sintesi, con soluzioni che non mantengono neanche lo status quo. Qualcosa migliora, ma i peggioramenti sono evidenti e i passi indietro appaiono molto significativi.

Soprattutto, viene ancora una volta rimandato qualsiasi discorso per quel che riguarda la vera questione: una misura di flessibilità universale da introdurre in un sistema pensionistico che si avvia verso un calcolo interamente contributivo nel quale ai contributi versati corrisponde la pensione che verrà percepita. Un’ultima annotazione: che fine hanno fatto i quattro incontri tra Governo e parti sociali sulla previdenza e le richieste avanzate dai sindacati? Per non parlare poi del previsto quinto incontro conclusivo, visto che i giochi “sembrano” già fatti e, purtroppo, al ribasso.