La legge di bilancio
Sulle pensioni Salvini esulta, Tajani no: la legge di bilancio spacca la maggioranza Meloni
La Lega strappa lo stop a quota 104, ma la corsa all’assegno sarà irta di ostacoli. Fi mugugna: niente aumenti per le minime. Meloni fa escludere dal testo l’accesso del Fisco ai conti correnti
Politica - di David Romoli
Salvini l’ha spuntata e per questo giubila: “Abbiamo chiuso la legge di bilancio”. Gli è costato qualche ora di sonno, confessa, ma ne è valsa la pena. La premier, da Bruxelles, conferma: “La legge di bilancio è già stata inviata dal Mef a Chigi”. Pronta per essere cotta e mangiata, possibilmente senza emendamenti di maggioranza e quelli di minoranza verranno falcidiati in un baleno.
La vittoria di Salvini è più nella facciata che nella sostanza ma a questo punto, con una manovra squattrinata e i pochi fondi a disposizione già allocati per il cuneo fiscale e il contratto della Pa, la questione è quasi solo di facciata. Una faccenda di quote: nell’ultima versione della manovra non c’è più il passaggio da quota 103 a quota 104. I requisiti per andare in pensione resteranno gli stessi per tutto il 2024. Però con restrizioni e codicilli studiati per rendere più difficile e comunque disincentivare l’accesso alla quota sopravvisuta in extremis.
- Sforbiciata sulle pensioni, il taglio per 700mila statali frutta 8 miliardi al governo Meloni: la mazzata dai sanitari agli insegnanti
- Caos manovra, il governo la “riscrive” dopo i problemi su Quota 104 e accesso ai conti correnti: Meloni accuse le bozze…
- Le false promesse di Salvini: via la Fornero ma in pensione più tardi…
Non è la sola retromarcia decisa dalla premier per evitare divisioni nella sua maggioranza. “L’accesso dell’Agenzia delle entrate nei conti correnti per pignorare è una norma che nella legge di bilancio non è mai stata scritta”, ha ripetuto ieri Meloni dopo aver spento l’incendio sul nascere con un comunicato che, rispondendo agli attacchi sia di Salvini che di Tajani, escludeva tassativamente l’ipotesi. Anche l’importo pensionistico maturato per poter accedere al pensionamento anticipato dai più giovani, quelli che sono inclusi solo nel contributivo avendo iniziato a lavorare dopo il 1996, è sceso passando da 3.3 volte la pensione sociale a 2.8. Il vero colpo grosso però è ancora in forse.
L’adeguamento in base alle attese di vita, che era stato anticipato dal 2026 stabilito dal governo gialloverde al 2024 è tornato al 2026 e lì non si tratta di facciata ma di sostanza. A becco asciutto, per il momento, è rimasta Fi. Non a caso la versione di Tajani è opposta a quella degli altri due leader: “Non abbiamo ancora finito”. Il leader azzurro non ha rinunciato all’aumento delle pensioni minime e a un taglio dell’aumento delle tasse sugli affitti brevi: la legge li porta dal 21 al 26%. Lui insiste per una via di mezzo, il 23%. Senza una ulteriore mediazione con Fi il rischio che il partito azzurro rompa la consegna e presenti emendamenti c’è.
Meloni vuole evitarlo perché in questo momento è essenziale offrire soprattutto all’estero un’immagine del governo e della maggioranza granitica. Ieri, da Bruxelles, lo ha ripetuto in tutte le salse, prendendo di petto il cronista che aveva scritto di una sua presunta “sfuriata” contro Salvini, escludendo ogni dissapore con Mediaset, anche se l’idea di alzare i tetti pubblicitari Rai è di quelle che mandano la cena di traverso a Marina e Piersilvio, assicurando che lei e i suoi due vicepremier, leader degli altri due partiti di maggioranza, se la ridono ogni mattina leggendo le ricostruzioni della stampa. Una visione idilliaca che precipiterebbe in caso di conflitti in aula sulla manovra.
Meloni non se lo può permettere. Ha deciso, e lo ha annunciato di fatto ieri, di tenere duro sul Mes: “Come si fa a decidere senza sapere qual è il contesto, cioè il nuovo patto di stabilità? La riforma del Mes considera le vecchie regole, per l’Italia sarebbe un danno”. La premier aveva poco prima incontrato la presidente di Bce Lagarde e proprio di patto di stabilità avevano parlato. In questo momento, spiega la stessa Meloni, tutto ruota intorno a quel tema. Anche l’eventuale ratifica del Mes, che la Ue vorrebbe invece subito. Significa che il governo italiano non ha alcuna intenzione di sedersi a quel tavolo, per una partita che sarà comunque difficilissima, essendosi privato in anticipo di una delle poche carte che possa giocare: il potere di veto sulla riforma del Mes.
La posta in gioco, per una volta, è alla luce del sole e Giorgia Meloni l’ha confermato anche ieri: “Se l’Europa si dà prospettive strategiche con la riconversione verde e digitale, poi deve essere coerente e non contare quegli investimenti ai fini del rapporto deficit/Pil”. Alla lista delle spese da escludere nel computo del parametro che impone un rapporto deficit/Pil non oltre il 3% andrebbero poi aggiunte quelle per gli aiuti all’Ucraina. È un gioco pericoloso, perché l’irritazione della Ue per il blocco della riforma del Mes è ormai tangibile. Ci manca solo il dover affrontare la sfida con una maggioranza spaccata. Almeno in apparenza un’unità priva di ogni tensione almeno nei prossimi mesi non è un’opzione ma un obbligo.