Il maxi-processo Bigliettopoli
“Dopo 6 anni di gogna tutto da rifare”, il dramma dell’ex senatore del Pd Stefano Esposito
Trasferito a Roma, per competenza territoriale il processo in cui è imputato per corruzione. Intercettato 500 volte, la Consulta dovrà decidere se pm e tribunale di Torino hanno violato i suoi diritti di senatore
Giustizia - di Angela Stella
La Corte di Cassazione ha disposto il trasferimento a Roma per competenza territoriale di un filone del maxi-processo Bigliettopoli, che vede imputato, tra gli altri, per corruzione e traffico di influenze, insieme agli imprenditori dei concerti Giulio Muttoni e Roberto De Luca, l’ex senatore Pd Stefano Esposito.
“Quando piazza Cavour ha preso questa decisione – ci dice Esposito – in molti mi hanno scritto con tono di giubilo, sostenendo che si tratti di un grande risultato. Io invece ho dato a tutti una risposta e cioè che non ho niente per cui gioire perché sono sei anni e mezzo che sto scontando una pena, ossia non sapere quando questa vicenda giudiziaria finirà, e adesso devo ricominciare tutto dall’inizio, dalle indagini preliminari”.
Facciamo un passo indietro: nel 2015 la procura di Torino apre un’inchiesta per corruzione, turbativa d’asta, traffico d’influenze illecite. Ne nascono vari filoni, tra cui uno che si concentra su un imprenditore, Giulio Muttoni, conosciuto a Torino come il re dei concerti, amico di Esposito. Ci racconta sempre Esposito: “Il mio avvocato sin dall’inizio aveva sostenuto che la competenza era della Procura capitolina. Nonostante questo, quella torinese ha pervicacemente proseguito per poi essere smentita qualche giorno fa dalla Cassazione”.
In merito alle accuse aggiunge: “in sei anni e mezzo non ho mai avuto una sede dove poterne discutere. Io ho scoperto di essere indagato per puro caso nel novembre 2017, da un co-indagato. Il giorno dopo chiedo di essere sentito e mi reco dinanzi al pm Colace. Egli dichiara a verbale che mi avrebbe fatto ascoltare tre telefonate che avevano intercettato casualmente ascoltando un’altra persona, ossia Muttoni. Mi disse che se avesse deciso di procedere con le accuse avrebbe chiesto l’autorizzazione al Senato. Ma così non è stato. Quando ad ottobre 2020 vengono chiuse le indagini non solo mi ritrovo indagato per turbativa ma anche per corruzione e traffico di influenze ma apprendo pure che ci sono centinaia di telefonate rilevanti che mi riguardano”. Infatti, durante l’inchiesta, che è durata diversi anni,
Muttoni è stato intercettato circa 24 mila volte. Tra le telefonate intercettate circa 500 sono con l’allora senatore dem Esposito e di queste 130 erano ritenute rilevanti ai fini delle indagini. Peccato che non fu chiesta l’autorizzazione al Senato. “Come è stato possibile questo? Lei si fiderebbe di un pm che dice una cosa e poi ne fa un’altra?” si chiede Esposito.
“Durante tutte le udienze, al contrario, ha detto che non doveva chiedere l’autorizzazione perché le telefonate erano casuali. Ha smentito se stesso. A maggior ragione che esiste una annotazione dei carabinieri al pm del marzo 2015 dove vengo perfettamente identificato. Quindi sapevano che ero un senatore”.
E l’articolo 68 della Costituzione prevede che un parlamentare non possa essere intercettato direttamente né indirettamente. Per questo è stato sollevato un conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale.
L’accusa del Senato nei confronti della procura e del tribunale di Torino è forte: “Il potere giurisdizionale ha vanificato il potere parlamentare, in contrasto con il disegno costituzionale ed in violazione delle irrinunciabili garanzie apprestate per la tutela della libertà ed autonomia della funzione parlamentare”, si legge nella costituzione a giudizio. Alla Consulta il 21 novembre spetterà ora valutare se siano stati lesi o no i diritti del senatore.
“All’udienza preliminare – racconta ancora l’ex parlamentare – il mio avvocato ha segnalato altre diverse anomalie ma è stato come parlare col muro, persino il gip ha fatto finta di niente e ha fatto addirittura un decreto di rinvio a giudizio con al primo posto tra le prove proprio le intercettazioni telefoniche. Per fortuna siamo poi arrivati a processo a Torino e il presidente del collegio Gallo ha rinviato alla Cassazione per la questione di competenza, come avevano detto sin da subito”.
Per questo si è mosso anche il ministero della Giustizia: per il pm Gianfranco Colace e per la gip Lucia Minutella è stato aperto un giudizio disciplinare. Il procuratore generale della Cassazione dovrà ora valutare se il loro operato è stato corretto o no.
“Non ho molta fiducia sull’esito del procedimento disciplinare – dice amareggiato Esposito – perché difficilmente si mette in atto una reale verifica di quanto avvenuto. Onestamente non coltivo sentimenti di vendetta, avrei voluto solo un giusto ed equo processo, basato sul rispetto della legge da parte di chi lo istruisce”. Dal punto di vista mediatico “sono stato messo alla gogna – dice Esposito – i giornali hanno pubblicato solo stralci di intercettazioni senza leggere tutte le pagine del fascicolo”. Mentre dal punto di vista politico “il partito è sparito. Non accostiamo più la parola garantismo al Partito democratico, basti pensare cosa accaduto con il Qatar-Gate e Cozzolino”.