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Saman Abbas, parla al processo il fratello Ali: “Mio padre mi disse di tacere coi giudici, l’ho sentito parlare di scavare”

Saman Abbas, parla al processo il fratello Ali: “Mio padre mi disse di tacere coi giudici, l’ho sentito parlare di scavare”

Tanti “non ricordo”, ma anche tante parole con cui ribadisce le accuse già lanciate nei mesi scorsi: ad uccidere Saman Abbas sono stati padre, madre, cugini e zio della 18enne pakistana di Novellara (Reggio Emilia) scomparsa il primo maggio 2021 e ritrovata cadavere il 19 novembre dello scorso anno in una buca dentro un casolare abbandonato distante poche centinaia di metri dall’abitazione di famiglia.

A dirlo nell’aula della Corte di Assise di Reggio Emilia è stato Ali Haider, fratello della vittima che da poco ha compiuto 18 anni. Ragazzo che “allo stato non è stato iscritto nel registro degli indagati” della Procura per i minorenni di Bologna, come riferito durante l’udienza dalla presidente della Corte d’Assise Cristina Beretta.

Nella scorsa udienza, tenuta venerdì 27 ottobre, la Corte aveva emesso un’ordinanza dove si diceva che le dichiarazioni passate del giovane pakistano contro i familiari sono inutilizzabili perché nel 2021 doveva essere indagato, anche a sua garanzia, nel procedimento per omicidio della sorella. La sua veste processuale era dunque mutata da testimone a quella di potenziale indagato in un procedimento connesso.

Cosa ha detto il fratello di Saman nell’udienza

L’udienza di Ali Haider è stata contraddistinta, come detto, da diversi “non ricordo” ma anche da diversi resoconti di quanto accadeva in famiglia di fronte alle domande poste dall’avvocato Luigi Scarcella, difensore del cugino imputato, Nomanhulaq Nomanhulaq.

Protetto da un grosso cartello nero per nasconderlo dagli occhi del padre Shabbar Abbas, dei cugini e dello zio Danish Hasnain (considerato dalla Procura l’autore materiale del delitto), tutti presenti in aula, il 18enne fratello di Saman ha ricordato di aver “affermato che i miei cugini non c’entravano perché mio padre in una telefonata mi disse di non dire niente di loro”. “Era una bugia dire che non c’entravano, l’ho detta perché da piccolo avevo paura di mio padre e di mio zio e non potevo dire niente”, ha quindi aggiunto Ali, sottolineando però di “non ricordare” quando avvenne la circostanza della telefonata del padre, estradato dal Pakistan dove era fuggito già il primo maggio 2021 assieme alla moglie Nazia Shaheen (al momento ancora latitante), il giorno dopo la morte di Saman.

Quindi il fratello di Saman, uccisa secondo l’accusa per aver rifiutato un matrimonio combinato in patria, ha anche parlato dei “piani” dei familiari per far sparire la sorella. “Mentre facevano i piani, io stavo sulle scale ad ascoltare, non tutto ma quasi. Ho sentito una volta mio padre che parlava di ‘scavare'”. Chi faceva i piani, chiede quindi il legale del cugino, ricevendo come risposta “Noman, papà, mamma e altri due, Danish e Ikram“. Allo stesso tempo Ali ha detto di “non ricordare” dove fosse Saman mentre ascoltava i discorsi dei suoi familiari, una riunione durata “più o meno mezz’ora”. Il giovane ha detto durante l’udienza che ricorda di aver sentito anche pronunciare “passare dietro alle telecamere” mentre i familiari erano nella camera e lui veniva mandato a fare il tè in cucina.

Nel corso dell’udienza Ali ha anche raccontato di aver “sentito i miei cugini parlare in arabo. Parlavano in arabo tra di loro per non farmi capire”. Altro episodio di cui ha dato conto il 18enne riguarda i rapporti in famiglia con la sorella. “Mi ricordo che eravamo a casa, di mattina, io volevo guardare la tv e lei (Saman, ndr) qualche serie: litigando tra fratelli e sorelle, l’ho presa per i capelli e l’ho tirata indietro, le ho fatto male e dopo lei è andata in bagno a piangere e a lavare la faccia; quando è tornato dal lavoro mio padre ha visto che aveva gli occhi rossi, che aveva pianto e mentre ero sul divano, in camera di mia sorella, mi ha picchiato con calci e pugni“, ha ricordato Ali.

Un episodio raccontato in risposta a una domanda sul video in cui si vede Saman tirargli uno schiaffo, precisando che tra fratelli succedeva che litigassero. L’episodio è infatti avvenuto “prima che succedesse tutto questo casino, molto molto prima di quello che è successo – ha rivelato Ali -. Non era ancora andata in peggio (la situazione, ndr)”.

Nel corso dell’udienza Ali ha anche tirato in ballo un altro cugino, Arfan, inizialmente indagato e poi archiviato. ”Il pomeriggio del 30 aprile (giorno in cui Saman scomparve, ndr) è arrivato Arfan in motorino. L’ho sentito dire a mio padre, in camera: ‘se pure mia figlia facesse così, non seguendo le regole né la religione, mancando di rispetto alla famiglia, anche io farei così’. Io ero lì, ero presente. Poi mi hanno mandato via, come ogni volta che iniziava questo genere di conversazione”, ha detto il 18enne rispondendo alla domande dell’avvocato Scarcella.