Incongruenze e paradossi
Cosa è il premierato, quali funzioni avrà il capo del governo: eletto dal popolo ma sostituibile dal presidente della Repubblica…
Il premier è eletto dal popolo, ma è sostituibile dal capo dello Stato e non può scegliersi i ministri. Il Parlamento diventa decorativo. Una riforma sgangherata
Politica - di David Romoli
Nel mondo ci sono due modelli di democrazia, entrambi storicamente ben radicati e pienamente corrispondenti ai requisiti demoratici essenziali: quelle parlamentari e quelle presidenziali. Sta per nascere un terzo modello, la “democrazia del premier”. Sarà un’invenzione italiana che minaccia di essere anche “all’italiana”, cioè confuso, contraddittorio, ambiguo.
Dalla bozza di riforma costituzionale approvata lunedì dal vertice di maggioranza e sul punto di essere ufficialmente licenziata venerdì prossimo dal cdm si direbbe che il rischio di una riforma appunto “all’italiana” sia già quasi una certezza.
Ci sarà un premier direttamente eletto dal popolo, che però dovrà poi chiedere la fiducia al Parlamento. Il quale tuttavia avrà la facoltà di negare il suo sostegno solo a prezzo del suicidio: dopo due tentativi andati a vuoto, subito dopo le elezioni, le Camere verranno infatti sciolte.
Per ovviare a questa pur remota eventualità la coalizione a sostegno del candidato vincente otterrà un premio di maggioranza che lo porterà comunque automaticamente al 55%. Solo che al Senato un premio del genere sbatterà contro l’elettività regionale e non nazionale dei senatori.
Uno scoglio tanto minaccioso che due tentativi di riforma elettorale sono affondati proprio dopo aver sbattuto contro quelle rocce taglienti: il Porcellum, diventato per ammissione del suo stesso artefice “una porcata” solo dopo l’intervento dell’allora presidente Ciampi sulle regole elettorali per il Senato, e l’Italicum.
Il premier, nella “sua” Repubblica, non sarà naturalmente un primus inter pares, come sulla carta e solo su quella ancora è. Diventerà il capo del governo. Però non avrà la facoltà basilare di cui godono i capi di governo, quella di nominare e revocare i ministri. Una norma tanto ovvia che era presente anche nelle proposte delle forze politiche contrarie al cosiddetto “premierato”.
Il cancellierato del Pd, senza elezione diretta, la prevedeva. Il governo ha invece deciso di cassarla per non urtare il Colle togliendogli anche questo potere dopo quello di nominare il premier e poco male se l’idea di rendere il premier più forte e allo stesso tempo legargli una mano è un po’ assurda.
Il premier eletto potrà essere sostituito, anche se l’idea di affidare al popolo la scelta del capo del governo ma con la riserva di poterlo sostituire è da brividi. Il fattaccio però potrà accadere una sola volta: il capo dello Stato potrà incaricare di nuovo il premier sfiduciato oppure scegliere un altro nome, purché eletto con la maggioranza e, sembrerebbe di capire, votato dalla stessa maggioranza.
Per enumerare i problemi che questa norma può creare ci vorrebbero un’enciclopedia. Anche questa è una mediazione decisa per non urtare troppo il Colle, al quale non viene sottratto del tutto il potere di sciogliere le Camere anche se fortissimamente limitato.
Infine la riforma cancella i senatori a vita: resteranno tali solo gli ex presidenti della Repubblica e il capo dello Stato non potrà nominarne di nuovi. È uno sgarbo talmente inutile da autorizzare il sospetto che la norma sia stata messa apposta per poi ritirarla, apparendo così disponibili a mediazioni e dialogo ma a prezzi stracciati.
Al netto di contraddizioni e strafalcioni, la riforma di Giorgia prospetta però una visione netta dei futuri equilibri istituzionali. Ci saranno due poteri, un capo dello Stato ridimensionato ma non cancellato e un premier molto forte ma che comunque dovrà mediare col Colle. Il Parlamento, invece, è del tutto cancellato. La “norma antiribaltone”, la facoltà cioè di cambiare almeno una volta premier ma solo senza cambi di maggioranza, sottrae alle Camere il solo potere che gli rimanga.
La fiducia iniziale, con la pistola puntata dello scioglimento delle Camere in caso di doppia bocciatura dell’eletto, è solo formale. Nell’indicazione del nuovo incaricato di formare il governo, in caso di caduta di quello eletto dal popolo, il capo dello Stato potrà mettere bocca, il Parlamento no.
Lo svuotamento di funzioni del legislativo, grazie alla famosa e micidiale doppietta decretazione d’urgenza-voto di fiducia, non potrà che uscire ulteriormente rafforzata dal ruolo centralissimo del premier. Come illustrato in anticipo, due giorni fa, da comunicato che annunciava l’accordo sulla manovra, il ruolo del Parlamento sarà solo consultivo.
Nonostante il probabile appoggio di Renzi, ma non di Calenda, la riforma non otterrà i due terzi dei voti necessari per evitare il referendum. Meloni lo ha detto forte e chiaro: “Il referendum ci sarà: dobbiamo correre e impedire che coincida con la fine della legislatura”.
Non sarà un referendum come gli altri. Sarà paragonabile solo a quello che nel 1946 decretò la fine della monarchia, solo che in questo caso a rischiare la scomparsa non sarà il sovrano ma il Parlamento. È lecito dubitare di quanto una sinistra trincerata solo nella retorica sia adeguata a uno scontro di questa portata.