I comici russi portano il caos
Il giallo dello scherzo telefonico a Meloni, Mantovano finisce nel mirino del fuoco amico
Sulla burla dei due comici russi dice: “La premier lo aveva capito subito”. Versione poco credibile. In realtà il sottosegretario responsabile di fatto della sicurezza prova a difendere se stesso. Dall’opposizione? No. Dai suoi stessi colleghi di governo...
Politica - di David Romoli
Il sottosegretario Alfredo Mantovano, si sa, è uomo di pochissime parole. Non si smentisce in materia di scherzi e scherzetti. Che i cronisti lo tallonino chiedendo come il fattaccio sia stato possibile è nell’ordine delle cose, che lui si trinceri dietro un sorriso da sfinge pure. Ma interrogato su quando il governo si sia reso conto della colossale topica, Mantovano rompe per un attimo il silenzio: “La presidente lo aveva capito subito”. Subito? “E certo”.
Tante care cose e più di questo al laconico non si riesce a strappare. La versione, pochissimo credibile per la verità, circolava già dalla sera precedente. A mezza bocca però, probabilmente per pudore. Ora l’elemento più potente che ci sia nel governo dopo la premier, responsabile dei servizi segreti, ufficializza.
Resta misterioso perché il governo non lo abbia detto subito, già il 19 di settembre, perché non lo abbia rivelato neppure a caso esploso, due giorni fa, perché il Consigliere che ha passato la telefonata si sia sentito in obbligo di diramare quell’imbarazzato comunicato di scuse che probabilmente non gli salverà il posto, perché il vicepremier e ministro degli Esteri Tajani difenda la premier, le cui parole “sono una chiara conferma della linea politica del Paese”, ma non i suoi collaboratori tacciati di “superficialità”. Nel complesso accreditare a scatola chiusa la versione del sottosegretario non è difficile ma impossibile.
Ancor meno chiaro è perché, avendo mangiato la foglia, la premier avrebbe comunque deciso di richiamare i burloni, i comici russi “Vovan” e “Lexus”, i quali smentiscono categoricamente di essere spie di Putin, e per quanto si sia immersi in un’atmosfera da commediaccia di serie b ci mancherebbe altro, ma rivelano di essersi messi in contatto con Chigi per essere poi puntualmente richiamati dall’inquilina del Palazzo. Il nome del contatto lo tacciono ma un po’ di vetriolo non se lo risparmiano: “Non vorremmo mettere in difficoltà Palazzo Chigi. Ma forse un problema di sicurezza c’è”.
Quel problemino è il tasto su cui martella l’opposizione, perché nel merito non è che la premier abbia rivelato segreti di Stato. Ha solo confermato che tra quel che i politici dicono e quel che pensano c’è spesso uno scarto che peraltro, in un caso come questo, trattandosi di guerra e politica estera, sarebbe comunque doveroso. Un diplomatico che fosse sempre sincero avrebbe senza dubbio sbagliato mestiere.
Il problema è la facilità con cui la beffa è andata a segno, dribblando controlli evidentemente inesistenti, ed è questo, la falla nella sicurezza, che piazza proprio Mantovano, il sottosegretario responsabile di fatto della sicurezza, al centro del mirino. Attenzione però, non in quello dell’opposizione, che ci concentra solo sulla premier, ma in quello dei suoi stessi colleghi, gli altri ministri.
L’indice di gradimento del sottosegretario nella squadra è decisamente basso. Troppo potente e troppo altero: gioca in proprio. L’occasione è dunque ghiotta. Proprio lui, il cui punto di forza è proprio un’efficienza che in questo esecutivo è merce rarissima, si fa sorprendere con i pantaloni calati in questo modo? Insomma, quando Mantovano assicura che la premier aveva subodorato la trappola sin dal primo istante non sta difendendo lei ma se stesso. Solo nei prossimi giorni capiremo se la poco credibile versione del sottosegretario è suffragata da qualche elemento concreto o se è solo un arrampicarsi sugli specchi.
In ogni caso, l’intera grottesca vicenda rivela lo stato della politica italiana almeno quanto il boccaccesco fuorionda che aveva già messo la premier nei guai fino al collo. Non c’è da stare allegri se i soli veri problemi per un governo nascono dal Fattore C, dove la C stavolta sta per comici, autori di satira, burloni di professione, maestri del buco della serratura. Non c’è da ridere nemmeno quando a dettare le urgenze della politica sono gli umori ballerini dei social: dopo che lo scherzo del 18 settembre era stato reso noto al mondo, due giorni fa, per ore le agenzie di stampa sono rimaste quasi mute.
Fatto salvo Conte, che aveva i suoi motivi di risentimento dopo che la premier lo aveva messo in croce per quell’antico colloquio con Merkel, e qualche battuta facile sul modello Totò, nessuno pareva scandalizzarsi troppo. Poi i social hanno cominciato a surriscaldarsi, sono diventati incandescenti e solo a quel punto è suonato l’allarme per la sicurezza nazionale messa in grave pericolo dalla figuraccia, in realtà solo ridicola, della premier. Sarebbe già abbastanza se non fosse che gli attacchi esagerati finiranno invece per salvarla o almeno limitare il danno.