Il Rapporto Migrantes
Anche gli italiani migrano, 6 milioni in fuga dalla povertà
Sono 6 milioni gli italiani all’estero, il doppio rispetto a vent’anni fa. Partono i giovani dal Sud, alla ricerca di una cura per l’indigenza e la paura. Le misure per il rientro dei cervelli però hanno funzionato
Editoriali - di Mario Marazziti
Un italiano su 10 non c’è più. Perché sono 6 i milioni di italiane, (le donne sono di più) e di italiani, soprattutto giovani sotto i 30 anni e gran parte dal Sud, che hanno lasciato il nostro Paese. Non è un indice di fiducia, ma di “rivalsa e di speranza di crescita” dice il Rapporto 2023 Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes presentato a Roma. Una fotografia che contiene domande importanti – anche se interessano pochi – e per questo tanti continuano ad andarsene e a non votare.
Perché sei milioni di italiani vivono e scelgono di vivere fuori dall’Italia? Il Covid è stato come una guerra, anche se, tutto sommato breve. E dopo le guerre – anche se intanto si sono moltiplicate quelle vere: dall’Ucraina, al Sudan, alla nuova, disumana oltre l’immaginazione, guerra israelo-Hamas che sta distruggendo palestinesi e israeliani assieme a sicurezza e futuro – si moltiplica ovunque la voglia di cambiare lavoro e vita dove si vive, ma non per gli italiani: lo State of the Global Workplace 2023 Report di Gallup rileva che il 53% dei lavoratori a livello mondiale ritiene infatti che sia un buon momento per cambiare lavoro.
Circa la metà (il 51%) dichiara di avere intenzione di lasciare il lavoro considerando la ripresa del mondo occupazionale dopo l’interruzione dovuta alla pandemia globale. In Europa le cose sono frastagliate: mentre danesi (69%), tedeschi (52%) e inglesi (40%) pensano che sia un buon momento per cambiare lavoro, gli italiani invece si sentono come inchiodati al loro destino professionale (solo il 18% oserebbe cambiare lavoro), sono i lavoratori meno coinvolti, i più stressati (49%) e i più tristi (27%), quelli che ritengono di non avere altra scelta lavorativa, sicuramente i più rassegnati. Più si è giovani e più la rassegnazione aumenta.
L’Italia, non solo quella che aspira ad essere sovranista-per-sempre, può illudersi, raccontarsi bugie, ma è ammalata di rassegnazione. È già in estinzione. C’è ormai una letteratura importante – ma che è ignorata dalle classi dirigenti e politiche: “Quel che resta. L’Italia dei paesi tra abbandoni e ritorni”, “La Grande Occasione” quando descrive Cefalù e le Madonie, o “Gli ultimi italiani”, di Roberto Volpi, – che ci dà tra i 5 e i 10 anni per immaginare qualcosa che liberi l’Italia dal destino di museo da visitare, un Marigold hotel per pensionati in cerca di qualità. Non è una cosa dell’ultimo periodo.
Gli italiani all’estero negli ultimi venti anni sono raddoppiati: le donne sono cresciute del 99,3%, i minori del 78,3% e gli over 65 del 109,8%. Le partenze per espatrio sono salite del 44,9%. Nell’ultimo anno sono i giovani adulti tra i 18 e i 34 anni gli expat per eccellenza, perché sono quasi uno su due, il 44%, degli 82mila espatriati nel 2022. Altre classi di età diminuiscono, ma i giovani continuano ad aumentare.
I giovani italiani sono quelli che, in Europa, mostrano maggiori segni di sofferenza. Tra i 18 e i 34 anni quasi un ragazzo su due nel 2022 (4,8 milioni) ha almeno un segnale di deprivazione e due sono le sfere esistenziali maggiormente in difficoltà: l’istruzione e il lavoro. Sempre più vulnerabili, ben 1,7 milioni dei giovani italiani sono NEET (Not in Education, Employment or Training) cioè non studiano né lavorano, né sono inseriti in qualche percorso di formazione. Il confronto con l’Europa è impietoso: i lavoratori italiani guadagnano circa 3.700 euro in meno dei coetanei europei che fanno lo stesso lavoro.
La mobilità per i giovani è diventata la possibile cura per guarire dalla povertà e dalla paura. Nel 2022 sono in condizione di povertà assoluta in Italia poco più di 2,18 milioni di famiglie e oltre 5,6 milioni di individui. La povertà è in crescita e riguarda le famiglie con più figli e i minori. Sono 1,27 milioni i minori in povertà assoluta. Che, se non trattata in maniera organica, diventa povertà strutturale, non di uno, ma di famiglie e generazioni: da minorile diventa giovanile, da giovanile diventa familiare. E cambia forma.
È una storia antica, che in regioni come la Calabria o in Sicilia non si è mai interrotta. Anche in questo Rapporto, che pure nota come crescano percentuali di giovani che lasciano il paese dalla Lombardia, si evidenzia che si tratta del secondo passo dell’emigrazione per i meridionali italiani approdati in prima istanza nel nord est o nel nord ovest d’Italia.
Qualcosa ha funzionato: “Il 2021 è stato l’anno nel quale si è manifestato l’impatto dell’introduzione delle nuove agevolazioni fiscali per l’attrazione di capitale umano in Italia (DL 34/2019: Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi – Rientro dei cervelli): il numero di rientri è raddoppiato, passando da una media di 2.000/3.000 all’anno ad oltre 6.500. Era il governo “Conte 2”, con PD, 5 stelle, Italia Viva e Liberi e Uguali. Una goccia ma nella giusta direzione. E “lotta alla precarietà, o si va altrove (Card. Zuppi”.
Chi va via, due su tre, lo fa verso altri paesi europei. E qui c’è una delle chiavi di risposta. “L’Europa grazie alla sua storia, rappresenta la memoria dell’umanità ed è perciò chiamata a interpretare il ruolo che le corrisponde: quello di unire i distanti, di accogliere al suo interno i popoli e di non lasciare nessuno per sempre nemico. È dunque essenziale ritrovare l’anima europea (…) oltre i confini nazionali e i bisogni immediati, generando diplomazie capaci di ricucire l’unità, non di allargare gli strappi” (Papa Francesco il 28 aprile in Ungheria). Varrebbe anche per l’Italia.