L'iniziativa dell'artista
Crossroads Center, la clinica di Eric Clapton che risana chi è perduto ad Antigua
L’ha voluto fortemente per aiutare chi come lui non riusciva a mettersi alle spalle alcol e droga. Un luogo che non fa business, aperto a tutti, che in termini contabili regala soltanto perdite. Ma anche un bene incalcolabile come la speranza
Cultura - di Graziella Balestrieri
“…Questo non faceva che sottolineare quanto fossi stato fortunato, in tutti gli anni in cui avevo bevuto e mi ero drogato, ad avere la musica. Era sempre stata la mia salvezza. Mi aveva fatto tornare la voglia di vivere. Anche quando non suonavo, solo ascoltarla mi tirava su.
Durante gli ultimi viaggi ad Antigua, ero rimasto colpito dal numero di drogati e ubriachi che si vedevano in giro, o forse adesso li notavo di più. C’erano, per esempio, un paio di posti che mi piaceva frequentare a English Harbour, in particolare il bar del mio amico Dougie. Ci andavo a giocare a biliardo e a volte a guardare la gente, ma quando uscivo mi imbattevo in alcuni personaggi piuttosto inquietanti, che cominciarono a innervosirmi.
Tornando da una delle mie visite laggiù, confidai a Chris e Richard quel problema, dicendo che stavo pensando di vendere la casa e non tornare più, ma entrambi ribatterono – perché non porti il programma ad Antigua? – Chiesi come avrei potuto farlo, e Chris, con gli occhi che le scintillavano, rispose- Hai i soldi, costruisci un centro di recupero-. Disse anche che se lo avessi fatto, mi avrebbe consigliato come gestirlo. Immediatamente risposi -Lo costruisco se venite a gestirlo voi-. Sembrava il perfetto antidoto al veleno della mia vita sentimentale, ed ero entusiasta all’idea di fare qualcosa per ripagare il divertimento e la guarigione spirituale di cui avevo goduto ad Antigua”.
(Eric Clapton, l’autobiografia)
La storia di Eric Clapton è una storia che copre una sfera molto profonda, carica di sofferenza straziante a tratti, che va al di là della semplice ammirazione o comprensione per chi lo segue e lo ama. È una storia di forza d’animo, una storia di come la musica possa ricostruire i cocci di una vita che stava quasi per diventare non più riconoscibile.
È una storia di destini spezzati, delle cadute inimmaginabili e delle risalite impensabili, di quello che viene considerato uno dei più importanti chitarristi e musicisti viventi che ha influenzato il mondo della musica. Lo diceva Ernest Hemingway, che dal buio si è fatto sopraffare alla fine: “Il mondo spezza tutti e molti sono forti proprio nei punti spezzati ma quelli che non spezza li uccide”.
E la storia di Clapton è che non solo è stato spezzato ma è stato anche ucciso, solo che una volta ucciso, paradossalmente la musica gli ha concesso un’altra possibilità per rinascere. Clapton nasce in una sorta di inganno familiare, pensa che sua nonna, almeno così gli viene fatto credere, sia la sua vera madre, vera madre che in realtà lo ha più che abbandonato, rifiutato, ed è un rifiuto che l’artista inglese riverserà nelle sue fallimentari storie sentimentali.
Quando scopre che quella che lui chiama madre in realtà è la nonna, Clapton bambino, oramai non ha più fiducia in nessuno, il mondo intorno a lui si tiene insieme solo con pilastri fatti di bugie, ma c’è qualcosa che lo riporta a sperare: quella musica blues che lui ascolta da una radiolina in casa. Da bambino, autodidatta, inizia quel viaggio vertiginoso di amore e morte.
Perché la morte sarà talmente presente nella vita di Clapton da diventare una specie di scudetto cucito sul petto, Il blues, la chitarra, quel dono che non è il dono di un chitarrista virtuoso ma è il dono di un bambino che ce la vuole fare, è un impegno a salvarsi dalle bugie degli altri: è una lotta la dedizione con cui il piccolo Eric si allena fino all’alba per imparare a suonare e riprodurre in maniera precisa i suoni della radiolina. L’attaccamento di Clapton alla chitarra è dimostrare a sé stesso di non essere un rifiuto.
Ma prima di dimostrare al mondo di essere il migliore Clapton attraversa la droga, le relazioni ossessive e distruttive, una serie di esperienze tragiche intorno a lui che lo fanno ripiombare nel buio. L’immagine simbolo è quella di Life in 12 Bars, il documentario che lo ritrae appoggiato ad un muro con una bottiglia di whisky in mezzo alla strada, con un sombrero in testa.
È una sorta di flash che sovrappone la fragilità estrema dell’uomo a terra con la bottiglia e la forza estrema dell’uomo con una chitarra in mano. Alcol e distruzione. E in mezzo a tutto questo, l’evento spartiacque della sua vita, l’evento che molto probabilmente ha azzerato tutti i dolori precedenti: la morte del figlio, il piccolo Connor, della quale non diremo niente, perché potremmo essere anche Hemingway, ma non saremmo mai in grado di descrivere il dolore che ha provato.
Ora sì che possiamo tornare ad Antigua, dove arriva ripulito e non sopporta vedere quegli altri con la bottiglia in mano, essenzialmente perché rivede quello che era lui. Clapton decide che è ora di fare qualcosa, qualcosa che gli faccia costruire qualcosa di vero, che sia suo davvero e che ha deciso da solo. Ne nasce il Crossroads Centre , un centro di recupero voluto da chi sa quanto è difficile uscire da una dipendenza se non si ha un percorso davanti e qualcuno che abbia le capacità per guidartici dentro.
L’impresa non è stata facile. Intanto perché il suo manager di allora, Roger, sconsiglia vivamente a Eric di investire in qualcosa da cui lui non guadagnerà nulla, e da cui anzi ricaverà soltanto perdite. Ma non sono i soldi l’interesse del chitarrista. “Non credo che Roger avesse compreso quanto profondamente io mi sentissi impegnato”, chioserà Clapton.
Una divergenza di vedute che porterà alla rottura con Roger. Costruire un centro dal nulla su un’isola dove la maggior parte delle persone ricche non avrebbero visto di buon occhio drogati e alcolizzati, non fu facile all’inizio per Clapton, ma il chitarrista decise di spendere tutto quello che poteva per costruire il suo centro di recupero.
Servivano pubblicità e soldi e l’unico modo per ottenerli era “vendere” la sua arte in qualsiasi modo. È in quest’ottica che nasce anche il Crossroads Guitar Festival, che quest’anno ha ripreso dopo il fermo del periodo pandemico e si è tenuto a Los Angeles il 23 e 24 settembre e dove si sono esibiti i migliori chitarristi (e non solo) del mondo insieme allo stesso Clapton.
Il Crossroads Centre di Antigua, che all’apparenza sembra un piccolo villaggio turistico tradizionale, in realtà è un centro di recupero per ogni forma di dipendenza. Il centro è affidato a un’equipe medica esperta, terapisti, e personale qualificato che si occupa del benessere fisico e soprattutto di quello mentale dei pazienti. La priorità è l’individuo che in 12 passi, (life in 12 bars) deve ristabilire il contatto con sé stesso, riprendersi le fragilità e trasformarle.
Il percorso non è semplice ma la mission del Crossroads Centre di Antigua non è solo quella di aiutarli all’interno del centro, la mission è quella di rimandare a casa il paziente con un programma preciso da seguire, qualcosa che gli restituisca sufficiente equilibrio per affrontare le cosiddette debolezze che portano alle dipendenze. Non è un posto per ricchi, se ve lo state chiedendo, è un posto dove ci si cura, è un posto dove c’è un’altissima speranza di capire quanto sia importante riprendere a vivere.
Il Crossroads Centre di Antigua ha dato vita a sua volta ad un’organizzazione, che si chiama Turn up For recovery che ha la funzione di raccogliere fondi, organizzare eventi e cercare di riunire e mettere a confronto persone da tutto il mondo che hanno problemi di dipendenza e che vede tra i suoi ambasciatori anche Sharon White, corista ventennale di Clapton.
In genere si dà per scontato che una persona ricca e famosa, che ha passato qualunque forma di inferno e dolore, poi alla fine sia generosa con gli altri. Ma in verità non è quasi mai così. Non lo è per chi come Clapton conosce il senso dell’abbandono, conosce il dolore che prima ti riempie il corpo di aria e poi ti svuota completamente fino a non respirare più. Crossroads Centre di Antigua è come un monumento, qualcosa per dire grazie alla vita cercando di salvarne altre.