In molti ci hanno detto che noi dell’Unità non avevamo nessun diritto di chiedere a Elly Schlein – sulla base di argomenti in tutta evidenza assolutamente ragionevoli – di lasciare la segreteria del Pd per permettere a questo partito di riprendere vita, anima, leadership e attività politica.
Non ho capito perché non abbiamo questo diritto. Persone non iscritte al partito, e forse anche molto lontane da esso, hanno il diritto di scegliere il segretario del partito, e addirittura persone non iscritte al partito possono ambire (con successo) a diventarne segretario o segretaria. E invece un giornale deve rispettare in buon ordine le gerarchie del politburò, e non è autorizzato ad esprimere liberamente le proprie opinioni.
Perché? Mistero. Ammenochè questo atteggiamento non sia un residuo astioso della vecchia cultura stalinista. Che è stata sempre il punto debole del gigantesco patrimonio politico e teorico della sinistra italiana e del vecchio partito comunista.
Sono molto colpito dalle reazioni che ho ricevuto all’articolo nel quale mettevo in discussione l’autorevolezza e l’efficacia della segreteria di Elly Schlein. Anche perché non è un segreto che la grande maggioranza, sia del corpo del Pd sia del suo gruppo dirigente, è perfettamente d’accordo con me su questo punto. Semplicemente ritiene intempestiva la richiesta. Nessuno però mi ha spiegato dove è l’errore del mio ragionamento.
Ripeto le domande essenziali che ho proposto:
Il Pd è stato in prima linea nella battaglia per la pace in Ucraina e per fermare l’azione dei governi che hanno più volte violato l’articolo 11 della nostra Costituzione, partecipando ad una azione di guerra?
Il Pd è stato in prima linea, dopo l’orrore del 7 ottobre, per chiedere di fermare – come ha fatto l’Onu e persino il ministro degli esteri dell’Europa – la ritorsione israeliana condotta coi bombardamenti a tappeto, la distruzione di ospedali, la violazione del diritto internazionale, la realizzazione di molti crimini di guerra?
Il Pd ha guidato la battaglia politica per denunciare che in meno di un mese le truppe israeliane hanno portato a termine la più grande strage di bambini mai vista in una guerra (dati e denuncia forniti dall’Onu)?
Il Pd ha partecipato, o appoggiato, le manifestazioni pacifiste che si sono svolte in questi giorni?
Può il Pd gettare alle ortiche le sue tradizioni profonde, pacifiste, che nascono addirittura dai primissimi anni del dopoguerra?
Poi ci sono tutti i dubbi che riguardano la politica italiana. Fisco, sanità, scuola. Ne parleremo un’altra volta. Posso però accennare appena al fatto che l’unica proposta di intervento fiscale radicale, e dunque di cambio della politica economica del governo, non è venuta dal Pd ma dal “Fatto Quotidiano”, che ha dettagliatamente proposto alcune forme di tassa patrimoniale.
Già: Dal “Fatto Quotidiano”. Che non è nemmeno un giornale di sinistra. La qualcosa serve a introdurre un’altra discussione. Quella sul compito dei giornali, e in particolare dell’Unità. In Italia il panorama della stampa non è eccellente. Neppure lontanamente paragonabile al panorama della stampa in paesi come gli Stati Uniti, o la Francia, o Israele. Noi, dal punto di vista dell’informazione, assomigliamo di più – scusate l’esagerazione – alla Russia. La stragrande maggioranza dei giornali è centrista o di centrodestra.
Poi ci sono un gruppo agguerrito di giornali dichiaratamente di estrema destra, poi c’è il fatto Quotidiano che oscilla tra posizioni qualunquiste e posizioni di sinistra. Infine c’è Il Manifesto e c’è l’Unità. Cioè gli unici due quotidiani di sinistra. Tutti e due con radici molto antiche. Il manifesto è erede della grandiosità intellettuale di un gruppo di giornalisti e pensatori che ebbero un gran peso nella politica e nella sinistra nel secondo novecento e all’inizio di questo secolo.
Parlo di Rossanda, Castellina, Pintor, Parlato, ma anche di Lucio Magri, di Aldo Natoli e di molti, molti altri un po’ meno conosciuti ma di grande valore , compresi gli ultimi direttori, Norma Rangeri e Andrea Fabozzi. L’Unità invece nasce dall’iniziativa di Gramsci, negli anni venti, ma poi soprattutto dalla geniale intuizione di Togliatti, dopo la Liberazione, che ne fece uno dei più importanti giornali sul piano nazionale, e anche europeo.
L’Unità di Togliatti, e poi di Longo e di Berlinguer, ma anche di Ingrao, di Reichlin, di Chiaromonte e Macaluso è stata la spina dorsale del più grande partito comunista libero del mondo. Questo era il Pci. L’Unità rappresentò per il Pci, e per la sinistra, il più forte strumento di informazione, di formazione, di organizzazione di massa e di ricerca ed elaborazione teorica.
Oggi cosa è, o cosa può essere, o cosa deve essere l’Unità? Io penso che – ridotte le dimensioni e la potenza editoriale – debba ambire ad assomigliare molto, nello spirito e nella missione, alla vecchia Unità. La differenza con l’Unità del secolo scorso è però molto grande. Allora c’erano i partiti che erano gigantesche macchine di organizzazione e di formazione dell’opinione pubblica e della democrazia. Oggi i partiti non esistono più in quanto tali.
Non hanno nemmeno la parvenza di una struttura democratica, sono verticistici, oligarchici, poteristi e autoritari. Scollegati dal popolo. Al loro interno non funzionano più né meccanismi di selezione, né di formazione, né di costruzione teorica. Si sono riorganizzati, per sopravvivere, come comitati elettorali piramidali. La democrazia per i partiti non è più qualcosa da costruire ma una greppia da sfruttare per ricevere potere e risorse.
In queste condizioni la funzione della stampa oggettivamente si modifica. La stampa è chiamata ad un ruolo di supplenza. Non è in grado di produrre organizzazione e democrazia, ma può produrre teoria e sollecitare battaglie politiche. Tanto più necessaria in un paese governato a bacchetta dalla destra e nel quale l’unico luogo di opposizione, paradossalmente, risiede in Vaticano.
L’idea sulla quale abbiamo deciso di rimettere in pista l’Unità, d’accordo con l’editore, è questa. Vogliamo svolgere questo ruolo. Imporci come punto di riferimento per le battaglie, pacifiste, garantiste, riformiste, libertarie ed egualitarie. Diventare un luogo aperto di cultura e di elaborazione politica.
Siamo convinti che per avere qualche possibilità di successo sia necessario interfacciarsi con le strutture della politica. Quali? Beh, oggi ci sono le Ong, alcune associazioni, brandelli di partiti e di sindacato. In queste condizioni si rischia di essere schiacciati. Occorre un partito. Un partito che inizi a pensare se stesso non come un accrocchio di potere ma come un centro politico. Abbiamo il diritto di gridare questa esigenza, senza sottometterci alla realpolitik della prudenza?