Il leader dei socialisti
Chi è Pedro Sanchez, e come è nata la maggioranza che ha messo la destra all’angolo
«Vi racconto come abbiamo costruito la maggioranza tenendo dentro il quadro costituzionale gli indipendentisti e come abbiamo scritto la legge di amnistia. Il Pp avvelenato inneggia a Franco»
Editoriali - di Raùl Moreno
Con ogni probabilità, Pedro Sánchez giurerà oggi come capo di governo, tre mesi e mezzo dopo le elezioni di luglio. Da allora, la politica spagnola è stata segnata da due momenti politici.
Il primo: la mancata investitura del candidato del Partito Popolare Núñez Feijóo che, pur avendo vinto le elezioni, non ha trovato il sostegno necessario a governare. Solo l’estrema destra di Vox e dei suoi partner dell’Upn (partito regionalista radicato in Navarra n.d.r.) ha sostenuto il Partito Popolare, generando automaticamente il rifiuto delle altre otto formazioni politiche presenti in Parlamento, assolutamente contrarie a che la estrema destra entrasse al governo.
Queste otto forze politiche sono quelle che hanno permesso di mettere insieme una maggioranza che consente ora a Pedro Sánchez di tornare alla presidenza. Le trattative per costruire questa maggioranza sono state il secondo importante nodo politico dalle elezioni di luglio ad oggi. A nessuno sfugge la difficoltà di raggiungere accordi con partiti politici così diversi tra loro e soprattutto, con i partiti indipendentisti catalani, fondamentali per il raggiungimento della maggioranza.
La condizione più rilevante messa dagli indipendentisti a Sánchez è stata l’amnistia delle persone coinvolte nell’intera vicenda del tentativo di dichiarare indipendenza della Catalogna dalla Spagna che sia Esquerra Republicana che Junts per Cataluña, hanno intrapreso nel 2017, prima approvando nel parlamento catalano una dichiarazione unilaterale d’indipendenza senza valore giuridico dopo aver celebrato un referendum illegale, e poi votando norme definite “leggi sulla disconnessione” dal resto della Spagna.
Questi avvenimenti hanno generato una grave crisi di convivenza politica, di divisione sociale, fatta anche della fuga di migliaia di aziende verso altre regioni della Spagna. Si è creata una situazione che ha fatto precipitare la Catalogna in uno scenario di permanente instabilità politica. Tutto questo è avvenuto durante il governo del Partito Popolare guidato dall’ex presidente Mariano Rajoy, mostratosi incapace di impedire lo svolgimento di referendum illegali e di usare il dialogo come elemento di distensione.
Rajoy ha risposto al grande problema politico che s’era trovato davanti spedendo le forze di sicurezza dello Stato a malmenare quelle migliaia di persone che il primo ottobre del 2017 stavano andando del tutto pacificamente a votare per un referendum che, ripeto, non aveva alcun tipo di validità (come è stato dimostrato anni dopo). Una risposta, quella della forza, assolutamente sproporzionata che è servita e serve ancora da vitamina al movimento indipendentista perché dà forza al suo discorso contro lo Stato “oppressore e antidemocratico”.
Tale era la situazione che, per la prima volta nella storia, il governo Rajoy (Pp) – con l’appoggio di Sánchez che era all’opposizione – ha applicato l’articolo 155 della Costituzione spagnola che consente l’intervento del governo centrale sul governo catalano. Una delle conseguenze di ciò fu la fuga a Bruxelles di alcuni dei leader indipendentisti, l’incarcerazione di altri e l’imputazione per vari crimini di vari membri del governo catalano e di esponenti di piattaforme indipendentiste.
Con l’arrivo del socialista Pedro Sánchez alla presidenza del governo nel 2018 – dopo aver cacciato Mariano Rajoy attraverso una mozione di censura (strumento politico previsto dell’ordinamento spagnolo n.d.r.) per gli innumerevoli casi di corruzione nel suo partito – il nuovo esecutivo dà un cambio di direzione alla politica sulla Catalogna: avvia un tavolo di dialogo e poi firma una serie di provvedimenti di grazia per i leader indipendentisti del “processo” dopo quattro anni in prigione.
Due misure fortemente criticate dal Partito Popolare, che le ha volute intendere come concessioni al movimento indipendentista, ma che senza dubbio sono servite a migliorare notevolmente il clima politico in Spagna e convivenza in Catalogna. La ricetta per il dialogo e l’accordo sono state apprezzate alle urne da gran parte dei cittadini spagnoli e soprattutto dai catalani, che vogliono voltare pagina dopo la grande bugia illusoria creata dagli indipendentisti (il partito socialista della Catalogna ha vinto tutte le elezioni dal 2021 a oggi).
Ho voluto riassumere il contesto politico da cui veniamo per poter illustrare il clima di tensione generato dalla destra e dai suoi partner dell’estrema destra in questi ultimi mesi contro la proposta di una legge di amnistia che è stata fondamentale per raggiungere l’accordo politico alla base dell’investitura di oggi. La frustrazione del Partito Popolare per non aver ottenuto la maggioranza per governare li ha portati a incolpare Sánchez di tutto.
Addirittura lo accusa delle manifestazioni fasciste e violente organizzate da Vox ogni notte, per 12 giorni, davanti alla sede del Psoe. E’ davvero curioso vedere migliaia di persone sostenere di difendere la Costituzione gridando “Lunga vita Franco”. Al tentativo di abbattere Sánchez partecipa anche l’ex presidente del governo del Pp, José María Aznar.
Lo definisce “un pericolo per la democrazia” e ha mobilitato tutto il potere mediatico, il mondo politico e giudiziario vicino ai popolari per raccontare balle sull’amnistia nonostante, voti alla mano, la proposta socialista abbia il sostegno di 12,6 milioni di spagnoli e di otto degli undici gruppi parlamentari del Congresso, di fronte agli 11 milioni raccolti alle urne alle ultime elezioni di luglio da Pp, Vox e Upn messi insieme.
Alla posizione intransigente della destra, i socialisti e la maggioranza del Parlamento rispondono difendendo la necessità di voltare pagina nel conflitto catalano in modo coerente con la linea avviata dal 2018, basata sulla negoziazione, sul dialogo e sull’accordo. Noi vogliamo risolvere, non soffocare il conflitto politico con cariche poliziesche, prigione e repressione come ha fatto il Pp che peraltro ha ottenuto esattamente l’effetto opposto. Per risolvere conflitti come quelli vissuti in Spagna è necessaria la politica. La politica e soltanto la politica è lo strumento.
La legge sull’amnistia è pienamente costituzionale. Non è nemmeno la prima nel nostro paese. Ne fu già fatta una nel 1977, che servì a chiudere le ferite causate dal regime franchista per aprire una fase di prosperità e apertura democratico. Voi in Italia sapete bene cosa è e che valore ha l’amnistia.
Qui da noi, senza voler andare ancora più indietro nel tempo: durante il mandato di Mariano Rajoy è stata realizzata una amnistia fiscale per permettere a cittadini spagnoli con conti in paradisi fiscali di regolarizzare la loro posizione. La legge sull’amnistia già incardinata al Congresso riguarderà i casi penali, ma anche quelli contabili e amministrativi, lasciando fuori i reati di terrorismo passati in giudicato. Quasi 380 le persone dell’orbita indipendentista, ma anche 73 agenti della polizia e della Guardia civil, potranno beneficiare della misura.
Nella sua formulazione la legge difende lo spirito di riconciliazione e lo fa attraverso un cammino difficile. Questa amnistia è una decisione politica adottata in base al principio di giustizia nella consapevolezza che gli strumenti a disposizione di uno stato di diritto non sono né devono essere inamovibili. È la Legge che è al servizio della società e non il contrario, e quindi deve avere la capacità di aggiornarsi adattandosi al contesto di ogni momento.
In sintesi, oggi la Spagna torna alla politica, intesa come capacità di fare degli accordi, e i partiti indipendentisti ritornano alla Costituzione assumendo il quadro costituzionale come l’unica cornice possibile dentro la quale difendere aspirazioni politiche legittime e sapendo che se tentassero di nuovo forzature unilaterali lo Stato utilizzerebbe di certo tutta la sua forza per fermarli.
A questa formula che allenta la tensione politica la destra si oppone chiedendo di tornare nuovamente al voto un mese dopo aver dimostrato la sua impossibilità di raggiungere accordi con altre forze politiche diverse dall’estrema destra. Parla di brogli nel più puro stile trumpista.
La strategia della destra è avvelenare, dividere, mettere i cittadini di Spagna uno contro l’altro.
La strategia della maggioranza del Parlamento è costruire, non senza difficoltà e facendo esercizio di coraggio politico, una Spagna davvero plurale in cui tutte le opzioni politiche possano essere difese all’interno del quadro costituzionale. In una democrazia e in uno Stato di diritto, in cui il principio di legalità, il principio democratico e il rispetto dei diritti fondamentali sono pilastri essenziali.
*Deputato catalano del Partito Socialista