Il ddl sicurezza
Lobby delle armi e il regalo della Meloni: altro che sicurezza, così è il far west
Nel ddl approvato dal Cdm la liberalizzazione dell’acquisto di armi da fuoco per carabinieri, poliziotti, finanzieri: basterà esibire il tesserino. Un potenziale giro d’affari di decine di milioni di euro. Eppure è già consentito portare la pistola d’ordinanza anche fuori servizio
Politica - di Paolo Comi
Più armi per tutti. Pare essere questa la ‘priorità’ del governo Meloni per il comparto sicurezza e difesa. Invece di accelerare sulla sua rappresentanza, dando piena attuazione alla legge 46 del 2022 che ha riconosciuto i diritti sindacali al personale in divisa, dopo una battaglia durata decenni e che aveva visto scendere in campo nel 2018 anche la Corte Costituzionale, il governo con un colpo di mano ha deciso questa settimana di liberalizzare l’acquisto delle armi per carabinieri, finanzieri e poliziotti.
La motivazione contenuta nel ddl in materia di “sicurezza pubblica e tutela delle forze di polizia” approvato ieri dal Consiglio dei ministri è alquanto originale. Le pistole adesso in dotazione sarebbero pesanti e di grandi dimensioni e quindi, testualmente, “non adatte a mantenere una certa riservatezza e visibilità”.
Da ora in avanti sarà sufficiente per il personale delle Forze dell’ordine recarsi in armeria, esibire il proprio tesserino, ed acquistare qualsiasi tipo di arma da fuoco. Il grande equivoco su questa disposizione voluta da Fratelli d’Italia e condivisa da tutta la maggioranza, che nessun giornale ieri ha evidenziato, è che tali armi non potranno mai essere utilizzate durante il servizio in uniforme: in pattuglia i carabinieri dovranno continuare dunque a portare la Beretta d’ordinanza.
In caso contrario, sarebbe come se un dipendente di un Ministero utilizzasse un programma informatico diverso da quello in dotazione o un autista di una società del trasporto pubblico locale un autobus di sua proprietà perché non si trova bene con quello che gli hanno dato. In pratica, queste pistole potranno essere portate esclusivamente quando si è liberi dal servizio.
Già oggi, però, il personale delle Forze di polizia può portare ovunque la propria arma in dotazione su tutto il territorio nazionale, anche quando è a riposo o è in vacanza, quando va a fare la spesa o quando accompagna i figli a scuola, non essendoci limitazioni di alcun tipo. Le armi in dotazione possono essere portate anche se si viaggia in aereo dopo aver avvisato il comandante.
Quale è stata, allora, l’esigenza di inserire in un ddl che ha ad oggetto “sicurezza pubblica e tutela delle forze di polizia” una norma del genere? Mistero. Una ipotesi, comunque, si può azzardare. Si tratta di una gigantesca marchetta alla lobby dei produttori di armi e dei negozi che le commercializzano.
Ieri infatti chi ha avuto modo di entrare in una armeria ne ha visto il proprietario con un sorriso a trentadue denti, consapevole dei futuri guadagni in quanto le pistole non si possono comprare (ancora) su Amazon. E dietro la vendita delle pistole, c’è poi quella delle munizioni, delle buffetterie come le fondine, dei kit di pulizia e quant’altro, senza considerare il tema dei corsi di formazione e dell’addestramento.
Le pistole, infatti, non sono tutti uguali, hanno calibri di vari tipo, sistemi di sparo diversi, esistono modelli a tamburo e modelli semi automatici: dopo averle comperate bisogna imparare ad utilizzarle in poligono. Ed infine gli obblighi. Una volta acquistata l’arma bisogna anche custodirla, con tutte le precauzione del caso per evitare che sia oggetto di furto da parte di qualche malintenzionato.
Analizzando i numeri si comprendono meglio le dimensioni del business. Solamente i carabinieri oggi sono circa 110mila. Se la metà di essi decidesse di comprare una pistola il cui costo medio va dai 700 ai 900 euro, il giro di affari arriverebbe a 48.000.000 di euro. Una cifra di tutto rispetto.
Il ‘Far West’ meloniano, come detto, stride con i ritardi applicativi della legge 46 del 2022 sui sindacati militari la quale prevedeva originariamente che la delega fosse esercitata entro sei mesi dalla sua data di entrata in vigore (cioè entro il 27 novembre 2022).
Il termine, già esteso di 12 mesi, è stato ulteriormente prorogato dal governo, su richiesta del ministro della Difesa Guido Crosetto, fino al 27 novembre 2024.
La motivazione sarebbe che “la delega non può essere oggettivamente esercitata dal governo” in quanto il nuovo sistema di relazioni sindacali in ambito militare, a distanza di due anni, è ancora in via di “perfezionamento”. Molto meglio armarsi fino a denti.