La sfida al Governo
Sciopero generale, c’è vita a sinistra (ma non nel Pd di Schlein): dai sindacati il segnale alla destra fascista
Non governa più la destra liberale e conservatrice di Berlusconi. Oggi al comando c’è l’alleanza reazionaria Salvini-Meloni la cui mission è: scardinare
Editoriali - di Piero Sansonetti
Eravamo sul filo del rasoio. Se lo sciopero fosse fallito, o se le manifestazioni in piazza fossero state flosce, Salvini e Meloni avrebbero avuto partita vinta. Venerdì 17 ottobre del 2023 sarebbe entrato nei libri come il giorno della fine della lunga e piena storia della democrazia del dopoguerra.
“Nigro notanda lapillo”, dicevano i latini per i giorni infausti da segnare con la pietra nera. Invece le cose sono andate in modo diverso. Salvini e Meloni hanno preso una bella sberla. Lo sciopero, nonostante la precettazione e la campagna sfrenata della destra contro i sindacati dei lavoratori, ha avuto un successo straordinario. E le piazze di tutt’Italia si sono riempite.
Si sono svolte centinaia di manifestazioni contro il governo in moltissime città: una giornata di lotta così forte nessuno più l’aveva vista, direi, da una quindicina d’anni. Vi ricordate Cofferati? Era il marzo del 2002. Portò in piazza milioni di persone, in una giornata indimenticabile al Circo Massimo.
E con quella grande manifestazione bloccò la riforma dello Statuto dei lavoratori (che viveva e dominava il mondo del lavoro da più di 30 anni). Cofferati alzò il muro contro il governo conservatore e liberale di Berlusconi.
A Landini è toccato un compito più difficile. Perché questo governo Meloni-Salvini (nonostante la presenza in maggioranza di Forza Italia) tutto è tranne che un governo liberale. E nemmeno conservatore, perché si è dato il compito di scardinare.
Cosa? Da una parte le vecchie regole della lotta politica, che hanno garantito per 80 anni gli equilibri necessari alla democrazia, dall’altra il compromesso sociale che in tutto il periodo dell’Italia repubblicana ha vissuto attraverso il conflitto, la lotta politica, i compromessi il rispetto delle regole e della Costituzione.
Il governo di destra si è dato il compito di rovesciare questo schema. E di procedere usando l’ideologia reazionaria come collante. Lotta agli immigrati, criminalizzazione dei più poveri, giustizialismo (superiore persino a quello dei 5 Stelle), continuo ammiccamento al razzismo (guardatevi i titoli dei giornali di destra, ieri, contro i rom) guerra al sindacato.
Questo impianto ideologico è quello che garantisce la tenuta dell’alleanza reazionaria che su questo giornale abbiamo definito usando la parola più semplice, che è “fascismo”. Non vuol dire ritorno allo Stato di Mussolini, che non ha più senso (e in buona parte i nuovi fascisti neppure conoscono), e non è più possibile in una realtà internazionale condizionata dall’esistenza dell’Europa.
I vecchi regimi fascisti europei sopravvissuti alla seconda guerra mondiale (Spagna, Portogallo, Grecia) sono morti decenni fa e non possono risorgere. Quando dico “fascismo” intendo una nuova idea, moderna, di società, fondata sulla riduzione del dissenso, l’esaltazione del comando, la semplificazione della democrazia depurata di tutto il suo valore etico e culturale, l’abolizione dei corpi intermedi, la repressione e la definizione degli interessi dei ceti medi e medio-alti come depositari dell’interesse generale.
Ieri in piazza si giocavano le due ipotesi. Quella che io chiamo fascista e la resistenza che è affidata oggi essenzialmente e alla forza dei sindacati. I partiti purtroppo quasi non esistono più. E questo è il punto debole. Perché è difficile costruire una alternativa all’ideologia reazionaria in assenza di partiti politici robusti. I partiti che sono restati in campo vivono nell’eterna paura per la battaglia politica.
Il Pd fu assente, nelle settimane scorse, dalle manifestazioni pacifiste, e non c’era ieri in piazza. Elly Schlein ha fatto sapere che aveva altri impegni. Se in una giornata così dici che hai impegni più importanti, beh, l’impressione è che non hai capito bene…