Il piano della premier

Cosa prevede il premierato della Meloni, la riforma più buffa del mondo

Il piano Meloni non ha eguali nel mondo: non esistono capi del governo eletti dal popolo. Un progetto di revisione costituzionale abborracciato

Editoriali - di Marco Boato - 22 Novembre 2023

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La premier Giorgia Meloni
La premier Giorgia Meloni

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha annunciato la propria riforma costituzionale in materia di “forma di Governo” come “la madre di tutte le riforme”. Una grande e risibile presunzione, per una, in realtà, “controriforma”, che fa emergere un disegno pressapochistico, da dilettanti allo sbaraglio.

Meloni ha parlato inoltre di “Terza Repubblica”, dimenticandosi che finora, salvo che nel linguaggio giornalistico semplificato, non è mai entrata in vigore una “Seconda Repubblica” sul piano costituzionale. In nessun sistema democratico al mondo è prevista l’elezione popolare diretta del capo del governo: l’Italia sarebbe una eccezione assoluta e priva di fondamento istituzionale e costituzionale.

L’unico tentativo che si ricordi riguarda, a metà degli anni 90 del secolo scorso, lo Stato di Israele, che ne registrò un totale fallimento e dovette tornare al più presto sui suoi passi (il nuovo sistema israeliano era entrato in vigore per le elezioni del maggio 1996 e dopo appena cinque anni, nel marzo del 2001, venne abolito).

Sul piano comparatistico, gli unici due riferimenti che si sarebbero potuti positivamente invocare sono quelli del Premier britannico oppure del Cancellierato tedesco: sono due modelli stabili e credibili, ma in nessuno dei due casi citati è prevista l’elezione diretta del capo del governo.

A fronte di una elezione parlamentare del presidente della Repubblica e capo dello Stato, che ha sempre dato complessivamente buona prova di sé pur in circostanze storiche molto diverse, l’elezione popolare diretta del presidente del Consiglio dei ministri provocherebbe un gravissimo squilibrio istituzionale e costituzionale nella diversa e contrapposta reciproca legittimazione, che porrebbe di fatto il capo del Governo al di sopra del capo dello Stato.

La proposta Meloni (e Casellati, anche se l’effettivo autore di fatto sembra essere il costituzionalista Marini) oltre a tutto propone un rilevante premio di maggioranza cal 55% dei seggi per il presidente del Consiglio eletto direttamente, senza neppure prevedere una soglia minima di consenso per ottenere tale premio di maggioranza.

Un “vulnus” su cui già per due volte, in materia di sistemi elettorali, si è pronunciata in senso negativo la Corte costituzionale. Inoltre non è previsto alcun limite alle possibili ricandidature in legislature successive (negli Usa, ad esempio, non sono possibili più di due elezioni consecutive del Presidente, e così vale anche in Italia per i Presidenti delle Regioni e per i Sindaci dei Comuni, anche se in questo caso nazionale si parla spesso risibilmente di “sindaco d’Italia”).

Esisterebbe in dottrina e nel dibattito politico un consenso quasi unanime al prevedere che il presidente del Consiglio possa proporre al presidente della Repubblica non solo la “nomina”, ma anche la “revoca” dei ministri, in modo di evitare sia le crisi di Governo per effettuare i cosiddetti “rimpasti”, sia la sfiducia individuale ad un singolo ministro dimostratosi inadeguato.

Questa semplice e condivisa ipotesi invece nel progetto Meloni non c’è, come del resto non cambia la denominazione in “Primo Ministro” dell’eletto/a direttamente dal popolo. Anche sul modello della “sfiducia costruttiva”, prevista dall’ordinamento tedesco, c’è un largo consenso nella dottrina e nel dibattito politico.

Ma nel progetto Meloni, in caso di dimissioni del Presidente eletto, c’è solo la possibilità di individuare un altro presidente del Consiglio nell’ambito della stessa maggioranza. Per di più, in questo caso, mentre il Presidente eletto dal popolo non potrebbe ottenere lo scioglimento anticipato delle Camere in caso di crisi politica, lo potrebbe invece ottenere il suo successore, non eletto direttamente.

Anche se di pochi articoli, la riforma Meloni si rivela dunque un disegno pseudo-riformatore, pasticciato e istituzionalmente squilibrato, incapace di ispirarsi eventualmente a uno dei due modelli, britannico o tedesco, che hanno sempre dato buona prova di sé, e capace invece di provocare un grave squilibrio istituzionale e costituzionale.

La formulazione del titolo del disegno di legge governativo, nella stesura definitiva ora presentata alle Camere (al Senato, per esattezza), è stata modificata in previsione di quello che sarà, forse tra un paio d’anni, il probabile referendum confermativo o oppositivo, nel quale c’è da augurarsi che Meloni (e la sua riforma) subisca la stessa sorte che ebbero Berlusconi e quindi Renzi.

22 Novembre 2023

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