Capo Ponente, Lampedusa. Una bambina è annegata lì davanti l’altro giorno alle due del pomeriggio. Insieme a lei, sei adulti che non sono riusciti a tenersi a galla. Un’altra bambina, di due anni, è morta sulla motovedetta Cp19 della Capitaneria di porto uscita a ripescare i sopravvissuti di quel barchino di ferro naufragato davanti all’Italia. I quaranta sopravvissuti si sono salvati perché sono riuscite ad aggrapparsi alle rocce di Capo ponente.
Due ventenni ivoriani sono arrivati a nuoto alla punta di Muro vecchio. Li hanno visti e soccorsi due pescatori lampedusani, padre e figlio, Salvatore e Giuseppe Del Volgo. Gli hanno dato il pane e l’acqua che avevano a bordo e li hanno salvati. Fondale di roccia bianca, spiaggia minuscola nelle acqua turchesi della Sicilia che sono ormai un cimitero di persone in mezzo al mare.
Questi ultimi erano partiti in 53, tutti africani, dal porto tunisino di Sfax, la fabbrica di barchini di ferro in serie destinati a rovesciarsi alla minima onda. Tra il 9 e l’11 novembre sono arrivate a Lampedusa barcacce mezze rotte partite dalla Libia e dalla Tunisia. In un solo finesettimana 12 barchini di ferro. Impossibile sapere quanti sono gli annegati al largo di Sfax.
Alcuni degli sbarcati hanno riferito di un naufragio avvenuto il 10 novembre nelle acque tunisine con decine di dispersi. Ne dà notizia l’associazione palermitana Maldusa che racconta: “Tra la notte del 14 novembre e le 11 della mattina del giorno dopo, 1470 persone sono sbarcate a Lampedusa. In Tunisia ci sono ancora migliaia di persone nei campi di ulivi, è la cosa che viene riferita da ogni sbarcato a Lampedusa. La drastica diminuzione delle partenze dalle coste di Sfax è solamente legata alle repressioni sul territorio”.
Ancora: “Nonostante le segnalazioni ufficiali di AlarmPhone della presenza di decine di imbarcazioni in mare, tra cui molti barchini di ferro, tra il 10 e l’11 novembre le operazioni di salvataggio sono state effettuate da due navi di grandi dimensioni: una della Guardia Costiera (la CP classe 200), l’altra della Guardia di Finanza”.
La CP classe 200, in particolare, non è di solito impiegata in operazioni di soccorso bensì per controlli in mare perché le sue dimensioni e le sue caratteristiche la rendono pericolosa in operazioni di avvicinamento e trasbordo nei casi soprattutto di recupero di sovraffollati barchini in ferro che si rovesciano con nulla. La 200 è alta e crea alte onde.
“Di solito ci si avvicina con la motovedetta a circa 15 metri, piano piano per non creare delle onde. A quel punto la persona a bordo in grado di parlare una lingua comprensibile ai naufraghi chiede di restare dentro la barca e di non muoversi. Cerca di rassicurare e calmare, capire quanti sono a bordo, se ci sono donne incinte, bambini, malati. Poi parla alla prima persona della barca in difficoltà vicino al motore, gli fa vedere la corda con un nodo che fa un cappio – si chiama asola – e gli spiega che deve mettere il motore dentro questo cappio. Lo stesso viene chiesto alla persona dall’altra parte, stessa operazione a prua e a poppa, e lui deve tenerla con le mani ma non tirare e non lasciare. Non può essere fatta in italiano questa comunicazione. Una volta fatto questo, la motovedetta inizia ad avvicinarsi e si deve ripetere che tutti devono mantenersi seduti e calmi senza muoversi. Una volta agganciata la barca, il mediatore inizia a chiamare le persone e a raccomandare lor di non spostarsi”.
Il mediatore, spiega chi i salvataggi li fa, non serve soltanto ai naufraghi ma anche ai militari: “Per paura di causare un incidente loro stessi, i militari, si agitano a volte e questo crea un grande disagio al momento delle operazioni con urla e insulti in italiano e inglese. Che è l’ultima cosa che serve in quel momento”.
Spiega Felice Rosa, di Maldusa: “Nell’ultimo mese le operazioni di soccorso fatte da mezzi della Guardia costiera non sono state accompagnate dalla figura fondamentale di chi sa fare mediazione culturale come avvenuto invece durante tutto il 2023. Il motivo? Non è stato rinnovato il progetto passim3 con cui veniva garantita a bordo la presenza di medici e mediatori culturali. I motivi delle divergenze tra le parti non sono stati resi pubblici”.
Marinai e volontari di varie ong raccontano che la differenza in un’operazione di salvataggio spesso la fa una cosa semplice semplice: il numero di giacchetti di salvataggio a disposizione.
“Lanciarli in mare, lanciarne tanti consente a molti naufraghi di rimanere a galla il tempo necessario a salvarli” racconta il capitano di una nave che continua a battere il Mediterraneo centrale nonostante gli ostacoli creati dal decreto Piantedosi che dispone fermi amministrativi e multe a chiunque infranga norme del decreto in evidente contrasto con il diritto internazionale e la legge del mare.
A differenza di quanto avviene nelle operazioni condotte dalle Ong, gli assetti di soccorso statali non utilizzano i rigid hull inflatable boat, dei gommoni con scafo semirigido che permettono di affiancare il barchino e fare la spola con la nave di soccorso.