Il caso di Giulia Cecchettin
“Il patriarcato è ferito, per questo è più feroce”, parla Ida Dominijanni
«Questo è un post patriarcato: ferito dalla libertà femminile, reagisce in modo efferato. È ovvio che in paesi come la Svezia i femminicidi sono più che da noi, perché lì le donne sono più emancipate»
Interviste - di Graziella Balestrieri
L’uccisione di Giulia ha riaperto una ferita politica, sociale e culturale. Di femminicidio, di patriarcato e di come il patriarcato si è adattato e si adatta ci parla Ida Dominijanni, giornalista, scrittrice, femminista.
Ieri uomo di 70 anni a Fano ha strangolato e ucciso sua moglie. Da 20 ai 70 anni, la violenza copre ogni età…
Si, la violenza copre ogni età e si sentono nei talk, in televisione dei dibattiti inascoltabili, perché c’è un vasto schieramento di centro e di destra, schieramento mediatico e non solo politico, che continua a dire che non è un problema sociale, né politico, che è un problema individuale, di criminalità individuale. Questo è veramente inascoltabile. Devo dire che sono molto molto colpita positivamente dalla reazione delle studentesse e degli studenti di Padova che hanno messo le cose molto in chiaro ieri, dicendo che il problema è sociale e politico e che loro non si faranno ridurre all’immagine delle donne in lutto silenzioso, hanno detto che urleranno, che vogliono bruciare tutto e quindi ci sarà una reazione politica giovanile a questa tragedia di Giulia. È un fatto molto importante, questa reazione delle amiche, degli amici e non solo, calcolando che c’era mezza Padova in piazza con loro, che risponde sulla linea che ha dato egregiamente la sorella di Giulia, questa meravigliosa sorella.
Sorella che è stata anche attaccata…
Si certo, e questa rivolta giovanile risponde agli attacchi che lei ha avuto, le dà ragione, e fa anche capire come questa destra che si vuole maggioritaria in realtà sia minoritaria.
Però al Governo c’è la destra…
Al Governo c’è la destra e dobbiamo fare conto con questa destra. Prendiamo Amadori, che dovrebbe coordinare il gruppo che istruisce questa educazione affettiva nelle scuole superiori: è un signore, che tra l’altro il ministro paga profumatamente, che ha scritto un libro che si intitola La guerra dei sessi nel quale sostiene che il problema è la cattiveria, sostenendo che le donne sono più cattive degli uomini, che non c’è un problema maschile e che in giro c’è un grande complotto femminile per ribaltare il potere. Diciamo che sono le solite stupidaggini da maschio alfa. Fino ad un anno fa si leggevano queste sciocchezze nei siti dei maschi alfa, siti minoritari che attaccavano le femministe sulla base di queste idiozie. Adesso queste idiozie sono al governo, però noi risponderemo con la verità di chi veramente si sente colpita da questa vicenda così, colpita in prima persona, perché colpisce tutte.
In giro si legge di un manuale da consegnare alle ragazze per riconoscere i campanelli d’allarme: ma serve a qualcosa?
Ma intanto sgombriamo il campo da una tentazione ovvero quella di colpevolizzare di nuovo le donne che non si accorgono dei campanelli d’allarme. Poi non è facile accorgersi dei campanelli d’allarme, perché ognuna di noi ha avuto ed ha una vita sentimentale. E le relazioni sentimentali sono fatte di chiaro scuri, non sono tutte limpide e solari. Una donna si può trovare un ragazzo o un uomo davanti con dei comportamenti che possono essere sospetti ma che possono essere anche normalmente malinconici, per esempio, o normalmente aggressivi. È difficile interpretare come campanelli d’allarme cose che spesso campanelli d’allarme non sono. Per esempio: il padre di questo ragazzo che ha ucciso Giulia continua a dire che era un figlio modello, che non gli aveva mai dato problemi, era sempre andato bene a scuola. Io ci credo perché purtroppo una delle cose che abbiamo dimenticato è che spesso la perversione si cela nella normalità. Anzi proprio le persone che sembrano più conformi e conformiste spesso poi hanno delle manifestazioni di violenza efferata. Quindi sulla questione dei campanelli d’allarme ci andrei abbastanza piano. Ci andrei piano anche sulla “psicologizzazione” di questa storia, perché certamente ci sono cause psichiche molto profonde che però non sono solo individuali, sono anche questi sintomi sociali, perché la psicoanalisi riguarda il legame sociale non riguarda solo l’individuo. Però noi non possiamo analizzare dall’esterno questa dimensione, quello che possiamo fare è riaffermare il carattere sociale e politico o, meglio, politicizzabile di questa vicenda dei femminicidi. Allora su questo vorrei dire due cose essenziali. Punto primo: c’è tutta una parte di opinion maker che si stupisce del fatto che in Italia ci siano meno femminicidi che nei paesi del nord Europa e ne trae la conclusione che quindi è sbagliato attribuire il femminicidio ad una cultura patriarcale. Perché loro dicono “in paesi meno patriarcali del nostro i femminicidi aumentano”. Dietro questa obiezione c’è una totale ignoranza di che cos’è il patriarcato. Il patriarcato è un sistema socio simbolico transculturale, che cioè si ritrova sotto varie forme in diverse culture, non viene sconfitto dalla democrazia. Questo modo di ragionare è molto figlio di un ventennio in cui si è attribuito il patriarcato solo al mondo islamico, come se l’occidente se ne fosse liberato è come se via via che si va verso la parità, i diritti, etc il patriarcato si estingue: non è così! Il patriarcato si adatta. Il problema è: che tipo di patriarcato abbiamo davanti noi oggi? Abbiamo davanti un patriarcato che in verità io chiamo da molti anni un post patriarcato, un post patriarcato diciamo che non è più quello tradizionale, in cui le donne non c’era neanche bisogno di ammazzarle, perché erano addomesticate. Adesso abbiamo un patriarcato ferito, ferito dalla libertà femminile guadagnata, che quindi reagisce a questa libertà in modo efferato. E questa vicenda di Giulia è molto paradigmatica sotto questo punto di vista: c’è chiaramente una competizione maschile da parte di uno che non si rassegna al fatto che lei si laureasse prima di lui, che fosse più brillante, lo aveva lasciato, quindi c’è una reazione efferata al fatto che esattamente il patriarcato non è più quello di una volta ed è molto ferito dalla libertà femminile. Questo vuole anche dire che nei paesi più sviluppati questa dinamica si accentua, nei paesi più modernizzati diciamo. Quindi, è ovvio che in Svezia i femminicidi sono di più che da noi, proprio perché in Svezia le donne sono più emancipate. E poi noi viviamo in un mondo in cui il romanzo di formazione maschile è ridiventato un romanzo di formazione maschile militare e violento. Queste cose, che stanno accadendo in Italia, avvengono comunque in un contesto internazionale di guerra, di rivalutazione dell’eroismo, di rivalutazione della mascolinità, del virilismo più becero, in un quadro in cui di giorno in giorno si scoprono le violenze sessuali interne a quello che sta succedendo in Israele e a Gaza, fra maltrattamenti e stupri. È assolutamente demenziale non capire che questo quadro di violenza generalizzata influisce sui giovani maschi, come pure influisce un quadro culturale dove la violenza è stata completamente sdoganata: al cinema, nelle serie televisive, in tv. Queste sono cose che influenzano moltissimo la formazione di un giovane uomo. Se non viene messa a tema la questione di genere in automatico scattano i ruoli di genere più tradizionali, quindi è estremamente importante tirarla fuori, far capire a chi cresce che la relazione con l’altra, l’altro deve essere una relazione fatta di rispetto e di libertà reciproca.
La violenza sulle donne c’è sempre stata, possibile che non sia cambiato nulla?
Il successo enorme che ha avuto il film di Paola Cortellesi naturalmente dice che quel film tratta di un problema tuttora presente. Non siamo come eravamo negli anni Quaranta ovviamente. Insisto su un punto: in Italia c’è stato un enorme movimento femminista da cinquant’anni a questa parte e questo ha ferito il patriarcato e c’è una reazione esattamente a questo, perché gli uomini non hanno ancora trovato un modo per rapportarsi a donne che non sono più spontaneamente sottomesse. È una questione con cui gli uomini non hanno ancora imparato a fare i conti. Sono solo confortata dal fatto che dopo l’omicidio di Giulia si sia aperto un dibattito anche tra uomini in quanto uomini.
Polemica Gruber-Meloni: quanta importanza ha dire “la Presidente” piuttosto che farsi chiamare “il Presidente?
Ma moltissima importanza. La Meloni ha risposto dicendo che lei viene da una famiglia di donne, ed è verissimo questo, nella sua autobiografia la madre ha un ruolo molto importante mentre il padre no. Però lei da questo punto di vista è portatrice di un’enorme ambiguità perché è figlia di un’epoca di cinquant’anni di femminismo, di presa di coscienza femminile, di modificazione della famiglia tradizionale e poi sulla scena pubblica e politica quello che lei porta è il maschile invece del femminile, provvedimenti che non vanno certo nella direzione di un aiuto per le donne, e soprattutto un’ideologia di Dio, Patria e famiglia che esattamente fa da sfondo e da supporto al patriarcato.
Cosa pensa dell’Educazione affettiva?
In linea di principio io sono d’accordo però bisogna stare molto attenti, ovviamente è una cosa positiva se è un’educazione pensata in senso emancipativo, se invece è un’educazione pensata per riaddomesticare le donne oppure per dare delle direttive etiche, allora non sono d’accordo. Bisogna capire che il problema è un problema trasversale, molto profondo, che non si risolve meglio con un governo di sinistra o peggio con un governo di destra. Il problema è trasversale, però un conto è affrontarlo nell’ambito di una politica orientata alla libertà e all’emancipazione delle donne, un conto è affrontarlo all’interno di una visione del mondo come quella di Amadori, che dice che le donne vanno punite perché sono cattive oppure come quella della Presidente del consiglio, che dice: Dio patria e famiglia, fa una politica militarista e nazionalista e che questa è una politica virile. Se ne dovrebbe solo andare da lì Amadori, come dovrebbe essere cacciato il consigliere veneto che ha gettato fango sulla sorella di Giulia.