Parla lo storico
Intervista a Donald Sassoon: “Così il labour silura chi critica Israele”
“Su questo il leader laburista Starmer non è distante da Sunak. Quando è arrivato lui me ne sono andato, dopo 40 anni di militanza. Tra gli espulsi dal partito ci sono molti ebrei miei amici. Per me essere amico di Israele vuol dire essere contrari ad uno Stato etno-nazionale”
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
“Assieme ad un gruppo di amici ebrei ho partecipato alle grandi manifestazioni per la Palestina a Londra. Lo abbiamo fatto con le nostre idee, i nostri simboli, e ancora oggi ho nel cuore e nella mente le lacrime di quei giovani musulmani inglesi che vedendoci ci hanno abbracciato. Vuol dire che il dialogo è possibile, che la pace è possibile”. Donald Sassoon è allievo di Eric Hobsbawm, già ordinario di Storia europea comparata presso il Queen Mary College di Londra. Lo abbiamo intervistato.
Mentre in Italia si fa fatica a unire la sinistra in una manifestazione contro la mattanza in atto a Gaza, Londra è diventata il centro delle più grandi manifestazioni in Europa per la Palestina.
Praticamente ogni sabato, c’è una manifestazione. Quella dell’11 novembre è stata la più partecipata dall’epoca della guerra in Iraq del 2003. La polizia ha detto che c’erano 300mila persone, gli organizzatori 800mila, comunque tantissimi. C’ero anch’io. Con un gruppo di ebrei che volevano manifestare il proprio dissenso con l’idea che Israele sta facendo questo col sostegno degli ebrei. Gli ebrei su questo sono divisi, come lo sono sempre stati. Il sionismo era una corrente minoritaria tra gli ebrei prima della Seconda guerra mondiale. Solo dopo la Shoah le cose sono cambiate. Resta il fatto che anche oggi ci sono molti più ebrei fuori da Israele che in Israele. Erano manifestazioni tutt’altro che piene di antisemiti, come qualcuno le ha voluto dipingere. Posso dirlo perché c’ero. Ho partecipato a tre manifestazioni e non ho visto un solo segno di antisemitismo. Al contrario. Avevamo le nostre bandiere, soprattutto quelle con su scritto “Not in our name”, e molti giovani musulmani, che probabilmente pensavano che tutti gli ebrei fossero dalla parte d’Israele, si fermavano commossi, con le lacrime agli occhi, per congratularsi con noi.
Trecentomila, ottocentomila…Perché così tanti?
Da una parte, perché la televisione, sia Channel four che la Bbc – anche se più a favore d’Israele, soprattutto dopo il terribile massacro del 7 ottobre condotto da Hamas, che dei palestinesi, che non hanno mai goduto di grande popolarità – hanno mostrato la sistematica distruzione di Gaza da parte dell’esercito israeliano, di una nuova Nakba in cui centinaia di migliaia di persone sono costrette a lasciare le case bombardate e rifugiarsi a sud, dove pure vengono bombardati, questa mattanza immane, l’uccisione di migliaia di bambini: una visione che non ha potuto non commuovere moltissimi in Gran Bretagna. Ancora più scioccanti di quelle mostrati dalla tv sono le immagini e le testimonianze veicolate dai social media. Dall’altra parte, in Gran Bretagna c’è una importante minoranza musulmana, molto più grande che in Italia. Vengono soprattutto dal Pakistan e dall’India, sono musulmani ma non necessariamente mediorientali, per di più, ormai, la stragrande maggioranza sono inglesi, sono nati in Inghilterra e questo fa sì che si sentano, al contrario dei loro nonni o genitori, cittadini della Gran Bretagna. E sono scioccati del fatto che i due principali partiti in Inghilterra, sia di governo che di opposizione, siano completamente dalla parte d’Israele. Dunque non si sentono rappresentati dall’attuale governo. In questo senso, la manifestazione era anche antigovernativa. E come non bastasse…
Cos’altro c’è, professor Sassoon?
La ministro dell’Interno, Suella Braverman, che il premier Rishi Sunak ha dovuto dimissionare perché era troppo a destra perfino per lui, aveva addirittura chiesto al capo della polizia di Londra di impedire le manifestazioni, cosa che lui si è guardato bene dal fare, perché non c’è una legge che cancella il diritto di manifestare. Sottolineo che le manifestazioni sono state fatte in pieno accordo con la polizia, anche per stabilire il percorso. L’11 novembre è il giorno dell’armistizio della prima guerra mondiale. Viene ricordato alle ore 11, dell’undicesimo giorno dell’undicesimo mese. Braverman voleva impedire la manifestazione perché sosteneva che i manifestanti avrebbero cercato di bloccare la cerimonia dell’armistizio. Gli organizzatori della manifestazione le hanno risposto che loro erano a favore dell’armistizio, e che oggi erano per un cessate il fuoco in Medioriente. Quelli che sono stati arrestati per aver cercato di fomentare violenza erano esponenti, un centinaio, dell’estrema destra. Nella manifestazione per la Palestina e contro la guerra, elementi anti semiti erano davvero pochissimi. Io non li ho visti, ma gli organizzatori si sono presi cura di stigmatizzare quei due-tre cartelli.
Si dimostra che sta accadendo oggi a Gaza non è in nome tutti gli ebrei…
Assolutamente no. L’idea che gli ebrei sono uniti è una cosa antisemita. Come quando dicono che gli ebrei controllano il mondo, hanno in mano la finanza, sono stupidaggini. Tutti quelli che conoscono bene il mondo ebraico, sanno che ci sono ebrei di destra, ebrei di sinistra, ebrei sionisti e non sionisti. Tutte le popolazioni normali sono composite al proprio interno, hanno sensibilità diverse. E questo è il sale della democrazia.
Che idea si è fatto, anche alla luce del 7 ottobre, di Benjamin Netanyahu?
Netanyahu era già poco popolare in Israele, visto come un elemento dell’ultradestra e non incontrava il favore di una parte significativa, fors’anche maggioritaria, della diaspora ebraica. Per di più l’attuale governo non ha solo lui, che paradossalmente è la “sinistra” di questo esecutivo, ma addirittura personaggi razzisti, fascisti. Netanyahu ha ormai i giorni contati. Quando finirà questa guerra, sarà costretto a lasciare la guida del paese. D’altro canto, è stato più a lungo lui primo ministro che Goda Meir o David Ben Gurion… Uno si sarebbe aspettato che in una situazione di crisi drammatica come l’attuale, il paese si sarebbe unito dietro il primo ministro. Invece no. Una parte significativa della società israeliana aveva per mesi manifestato contro Netanyahu per quello che veniva considerato un “golpe giudiziario”, un attacco frontale ad uno dei cardini dello stato di diritto, l’autonomia del potere giudiziario da quello esecutivo, con una riforma che coartava i poteri e l’indipendenza della Corte suprema. C’erano state manifestazioni enormi. E lo scontro era tra chi voleva uno Stato sionista liberale e chi invece uno Stato sionista autoritario, ultranazionalista. In queste manifestazioni gli arabi, i palestinesi israeliani, erano assenti, tenuti in disparte, considerati cittadini di secondo grado.
Cosa vuol dire per Donald Sassoon essere oggi davvero “amici d’Israele”?
Vuol essere contrari ad uno Stato etno-nazionale, che si prefigge, comportandosi come tale, di essere rappresentante di una etnia, cosa che anche per quasi tutti quelli che si proclamano amici d’Israele, sarebbe insopportabile. Insopportabile, come lo è essere in uno Stato che si islamico, in cui l’islam è la legge. Tutti ambirebbero a vivere ed essere cittadini di uno Stato laico, dove chi vuole osservare una religione è liberissimo di farlo, con tutti i diritti possibili ed immaginabili per poter esercitare la libertà di culto. Israele è diventato lo Stato di un gruppo etnico. E questo è inaccettabile, almeno per me.
A proposito della comunità indiana inglese. L’attuale primo ministro del Regno Unito viene da lì. Sunak si professa grande amico di Netanyahu quasi come Donald Trump.
Che sia di origine indiana c’entra poco. Rishi Sunak è il primo ministro del Regno Unito che è sempre stato vicino ad Israele. In questo, lui continua a fare la politica che avrebbe fatto Boris Johnson o David Cameron. Non c’è dissenso neanche da parte di Keir Starmer, il leader del Partito laburista, un ultrasionista che ha anche fatto fuori politicamente una parte non piccola della sinistra del Labour accusandola di essere antisemita. Ivi compreso il leader precedente del Labour, Jeremy Corbyn. Un’accusa per me totalmente infame. Invece di farli fuori perché non erano d’accordo con la sua linea politica, Starmer ha usato l’accusa di antisemitismo per eliminarli da varie posizioni all’interno del partito. Per Keir Starmer essere antisemita vuol dire non essere filoisraeliano. Il suo è il tentativo di far sì che uno che critica Israele, che difende i diritti dei palestinesi, venga tacciato con il marchio dell’infamia: essere un antisemita. Così, anche io sarei un antisemita. Nella parte non piccola degli espulsi dal Labour, ci sono molti ebrei. Io sono andato via dal Labour party quando è arrivato alla guida Starmer, dopo quarant’anni di militanza. Me ne sono andato quando ha cominciato la campagna contro l’antisemitismo per come lui lo concepiva. Molti dei miei amici che erano rimasti all’interno, sono stati espulsi per antisemitismo. C’è anche una signora ottantenne, figlia di gente che è morta nei lager nazisti, che però si agita per i diritti dei palestinesi. Anche lei è stata espulsa. Ma questo non lo scrivono i giornali in Italia.