La presidente di Emergency
Intervista a Rossella Miccio: “Bombe su ospedali e morti in mare: esiste ancora il genere umano?”
«Ormai si dichiara apertamente che un ospedale è un obiettivo militare. I princìpi del diritto internazionale umanitario che davamo per assodati, sono calpestati sotto gli occhi di tutti»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
La “guerra degli ospedali”. La guerra agli ospedali. A Gaza e non solo. L’umanità è morta nella Striscia come nel Mediterraneo. A tenere in vita un barlume di speranza è quel mondo solidale di cui Emergency è parte importante. Di Emergency, Rossella Miccio è la presidente.
Dopo i sanguinosi attacchi del 7 ottobre ad opera di Hamas, Israele ha scatenato una durissima reazione a Gaza. Decine di migliaia le vittime, oltre 5mila bambini. E non solo gli ospedali non sono stati risparmiati ma sono diventati obiettivi militari. Che significato ha questo attaccare gli ospedali?
E’ un fatto gravissimo perché mina quelli che sono i fondamenti dei minimi indicatori di rispetto della vita umana. Gli ospedali sono luoghi di cura, che dovrebbero essere ospitali, luoghi in cui chi è ferito, chi è malato riceve le cure necessarie e ha una nuova possibilità di vita. Invece in questa guerra, ma è un trend che abbiamo già visto da tempo e che è ormai diventata la norma, nel silenzio assoluto, gli ospedali sono stati considerati obiettivi militari. Le fondamenta del diritto internazionale umanitario, gli stessi princìpi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite, la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo, e Convenzioni di Ginevra che noi davamo per assodate, in realtà sono stati da tempo scardinati, violati, calpestati sotto gli occhi di tutti, senza neanche più il pudore di farlo in maniera silenziosa. Lo si dichiara apertamente come obiettivo ed è una cosa molto preoccupante, perché continuiamo ad abbattere paletti di protezione, di rispetto dei diritti, e questo dovrebbe farci interrogare su che tipo di società stiamo realizzando. Al di là delle parole, della declamazione astratta dei principi, nei fatti. Esiste ancora un genere umano che si riconosce nel rispetto della vita umana? L’attacco agli ospedali lo mette seriamente in dubbio. Ogni giorno, attraverso i media, entrano nelle nostre case immagini dell’orrore della guerra. Mi domando se davvero esista ancora il genere umano perché quello che stiamo vedendo non ha nulla di umano.
Le testimonianze degli operatori sanitari in queste settimane di guerra a Gaza, sono scioccanti. Neonati tirati fuori dalle incubatrici non più funzionanti per mancanza di energia, condannati alla morte, operazioni chirurgiche senza anestesia. Riporto la testimonianza di un medico chirurgo: “Parlo come testimone dal pronto soccorso dopo 16 giorni di disastro. Ho partecipato come medico volontario a tutte le guerre su Gaza. Ma non ho mai assistito alla ferocia di questo attacco. Le uniche persone prese di mira sono civili innocenti e disarmati, la maggior parte donne e bambini. I corpi sono allineati fuori dall’ospedale e vengono messi nel furgone dei gelati finché non si trova lo spazio per seppellirli”. Cosa significa per un medico dover intervenire in queste condizioni?
Non è solo estremamente ingiusto, ma è qualcosa di cui dovremmo vergognarci tutti. E’ una vergogna, non trovo parola più appropriata per dar conto di quello che sta accadendo a Gaza come in altre parti del mondo, in guerre colpevolmente ignorate. A me spaventa molto, nel nostro paese, il silenzio rispetto a queste violazioni, come se non le sentissimo così gravi come sono. E mi spaventa ancor di più il fatto che anche istituzioni internazionali, dall’Organizzazione mondiale della sanità al Segretario generale delle Nazioni Unite, abbiano chiesto di fermare questo massacro, di rispettare gli ospedali, di permettere di ricevere i medicinali, il carburante necessari per poter operare. Queste richieste non solo sono rimaste inascoltate ma sono state addirittura giudicate inopportune dall’esercito e dal governo israeliani. Questo per me è molto grave, perché vuol dire che se non ci si ferma neanche di fronte ad un neonato che rischia la vita perché non può essere tenuto nell’incubatrice, non so cosa potrà fermarci dal distruggerci a vicenda.
Lei faceva riferimento al silenzio della comunicazione mainstream. Dietro questo silenzio non c’è la sottintesa, ma a volte anche esplicitata, accusa nei confronti di chi opera a Gaza, ma lo stesso si poteva dire per l’Afghanistan, di stare dalla parte dei “cattivi”?
Guardi, io sono veramente stanca di dovere tutte le volte difenderci dall’accusa di essere “pro-questo” piuttosto che “anti-quell’altro”. Noi siamo, come tutte le organizzazioni umanitarie, semplicemente a favore delle vittime. Che sono l’unica certezza delle guerre contemporanee. Quella di Gaza, come quella in Ucraina. Noi siamo da più di vent’anni in Sudan, dove da sette mesi è scoppiata una guerra nel silenzio totale, una guerra che ad oggi ha fatto più di 6 milioni di sfollati interni, non si sa quanti morti, feriti, un milione di profughi nei paesi limitrofi, e le persone comuni sono quelle che ne pagano le conseguenze. Noi vogliamo solamente ripristinare i diritti violati di queste persone. E’ tempo di smetterla di accusare chi fa l’unica cosa sensata che si possa fare in questi contesti, cioè provare a salvare quante più persone possibili, di essere di parte o di supportare una delle parti in conflitto. Noi non abbiamo nessunissimo interesse a supportare alcunché dal punto di vista dei combattimenti, dei conflitti, vorremmo però avere gli spazi e gli strumenti necessari per poter fare il nostro lavoro.
Una “legge” non scritta, terribile, della comunicazione è che guerra oscura guerra, tragedia cancella, mediaticamente, tragedia. L’attenzione in questo mese si è concentrata su Israele e Gaza, ma nel Mediterraneo si continua a morire, donne, bambini, i più indifesi tra gli indifesi. E nel Mediterraneo, Emergency, continua ad operare con la sua nave, la Life Support.
L’abbiamo oscurata, come tante altre. Questa è particolarmente grave perché ce l’abbiamo davanti agli occhi, nel “Mare nostrum”, quotidianamente. E di stamattina (ieri per chi legge, ndr) la notizia dell’ennesimo naufragio di fronte alle coste di Lampedusa in cui ha perso la vita una donna. Io sono stata la settimana scorsa sulla nostra nave, la Life Support, che agisce nel Mediterraneo. Durante la missione abbiamo salvato 118 persone da una morte quasi certa, e l’alternativa alla morte sarebbe stata la ricattura da parte della cosiddetta Guardia costiera libica, che li avrebbe riportati in Libia a subire di nuovo abusi, torture, violenze di ogni tipo a cui sono state sottoposte per mesi. Le persone c’hanno detto di essere state in acqua per quattro giorni e quattro notti con onde di tre metri. Io mi sono vergognata, perché ho pensato che tutto questo è incompatibile con la vita, con la dignità umana. Dovremmo assumerci un po’ di più la responsabilità di evitare queste tragedie e di impegnarci seriamente tutti, le Ong, la società civile, l’opinione pubblica, i media e soprattutto la politica, a cambiare rotta e finalmente attuare quelle politiche che abbiano alla base il rispetto delle persone e dei diritti umani, altrimenti non si andrà molto lontano.
Chi sembra non aver cambiato rotta è il Governo, che dopo aver magnificato il fallito accordo con la Tunisia, ora ci riprova con l’Albania.
Un altro fallimento annunciato. Nel senso che al di là della follia di pensare d’investire risorse italiane nel costruire dei centri in Albania, dove non si capisce bene come verranno gestite le persone, come avranno accesso al diritto di chiedere asilo. Sembrano più deportazioni in campi di concentramento che non dei luoghi di accoglienza di persone che hanno rischiato la vita in mare. Perché quelle risorse – si parla almeno di 16 milioni e mezzo di euro all’anno che verranno elargiti alle autorità albanesi più tutti i fondi per costruire e gestire queste strutture- invece di essere impiegate per questi fini, non vengono utilizzate a casa nostra, per rendere più dignitosa l’accoglienza di chi arriva? Se si agisse in questa direzione, probabilmente ne beneficerebbero tutti, noi e loro.
Lei in precedenza faceva riferimento alle responsabilità della politica. Emergency è parte importante di quel mondo solidale che ogni giorno agisce in difesa dei più indifesi. Non crede che i temi della pace, della solidarietà, del sostegno agli ultimi, siano venuti meno nell’agire delle forze politiche. L’Unità è un giornale di sinistra, e questa preoccupazione la rivolge soprattutto in quella direzione.
Io ritengo che un tema fondamentale come quello della pace, che è addirittura un cardine della nostra Costituzione che ripudia la guerra all’articolo 11, non sia un tema di parte politica. Dovrebbe essere un tema di tutti i cittadini, a maggior ragione di quelli che, da una parte e dall’altra, chiedono di rappresentare queste istanze in ambito politico e istituzionale. Mi farebbe molto piacere che la politica tutta, indipendentemente dall’appartenenza partitica, riscoprisse questo tema e lo affrontasse nel rispetto della nostra Costituzione, con l’obiettività necessaria nell’affrontare un tema così cruciale e che magari tra i valori che pensiamo di dover difendere ed esportare ci fosse quello del pacifismo e del ripudio della guerra sancito dalla nostra Carta costituzionale.
In ultimo vorrei tornare alla guerra agli ospedali nella Striscia di Gaza. Tra le decine di migliaia di vittime, centinaia sono medici, infermieri, operatori sanitari. In altri teatri di guerra, penso all’Afghanistan, Emergency ha avuto gravi perdite tra i suoi operatori. Queste persone in camice bianca possono essere definiti eroi di pace?
Si riconosce il valore dell’impegno dei medici e del personale sanitario sempre troppo tardi. Si ricorda il sacrificio, inutile perché non dovrebbe avvenire. Dovrebbero essere aiutati fintanto che sono in vita a fare il proprio lavoro, non ricordati ex post come eroi. In tempi di guerra e soprattutto in tempi di pace, bisognerebbe costruire e rafforzare i sistemi sanitari, affinché possano essere gratuiti, fornire servizi di qualità. Invece troppo spesso, come dimostrano le scelte globali, non soltanto del nostro Governo, si decide di mettere risorse sulle armi piuttosto che rafforzare i sistemi sanitari e dare la possibilità a medici e infermieri di fare il loro lavoro. Il rispetto verso le persone che sono morte in guerra facendo il loro lavoro di medici e di sanitari dovrebbe essere nei fatti e non con parole che sanno molto di retorica e poco di verità