La Relatrice Speciale Onu

Intervista a Francesca Albanese: “Israele non può dichiarare guerra a un popolo che tiene sotto occupazione”

La relatrice speciale Onu sui territori palestinesi: “Quelli commessi da Hamas il 7 ottobre sono crimini di guerra e vanno puniti, gli israeliani avevano il diritto di reagire, ma nel rispetto delle regole”

Interviste - di Umberto De Giovannangeli - 28 Novembre 2023

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La relatrice speciale Onu Francesca Albanese
La relatrice speciale Onu Francesca Albanese

J’Accuse. Gli attacchi del 7 ottobre, Hamas, il Terrorismo, Israele, l’Apartheid in Palestina e la Guerra. È il titolo del libro-intervista di Francesca Albanese con Christian Elia da oggi nelle librerie (Fuoriscena 2023). Tutti temi di drammatica attualità. Che Francesca Albanese, Relatrice speciale Onu sui territori palestinesi, affronta con competenza e passione civile. E in questa intervista all’Unità, rilancia il suo documentato J’Accuse.

Da giurista, profonda conoscitrice del diritto internazionale e umanitario, oltre che della realtà dei Territori palestinesi, come definirebbe ciò che sta avvenendo nella Striscia di Gaza?
Ho definito più volte, e lo confermo, a 52 giorni dall’inizio di una nuova tragedia per palestinesi e israeliani, che siamo in presenza di una catastrofe umanitaria e politica di proporzioni epiche. Umanitaria, perché con 1.200 israeliani uccisi durante l’assalto violentissimo sferrato da Hamas, e oltre 13.000 palestinesi a Gaza e oltre 200 in Cisgiordania nella guerra scatenata da Israele dal 7 ottobre in qua (il 70% dei quali donne e bambini), non si può parlare che di catastrofe. Ha ferito oltre 36.000 persone e ha costretto alla fuga 1,7 milioni di persone. Circa 3000 palestinesi sono ancora sotto le macerie, cercando aria, bisognose di soccorso, assistenza medica o sepoltura. Potrebbero già essere periti, poiché non c’è stato modo di soccorrerli. Tra i morti, ci sono centinaia di operatori sanitari e operatori umanitari e dozzine di giornalisti. Con 102 funzionari dell’Onu uccisi, questo è stato il conflitto più letale nella storia dell’organizzazione. Inoltre Gaza è stata completamente annientata, il 50% dell’infrastruttura civile resa disfunzionale, con interi quartieri residenziali rasi al suolo, assieme a università, ospedali, moschee, chiese, sistema elettrico e fognario: sarà impossibile tornare allo status quo ante, per quanto fosse anch’esso insostenibile. Non è chiaro quanto la capacità militare di Hamas sia stata indebolita, ma intanto è stata fatta una strage. Che rischia di continuare. E dal punto di vista politico, la paralisi quasi totale del Consiglio di sicurezza Onu e di gran parte dell’occidente dinanzi all’uso della forza armata di Israele (che è andato al di là di ciò che gli era permesso in termini di diritto a proteggersi), che ha limiti cogenti nei confronti del popolo che tiene sotto occupazione da decenni, riassume una crisi politica senza precedenti.

Sempre in punta di diritto. Dopo il sanguinoso, immane, attacco terroristico del 7 ottobre, Israele ha rivendicato e praticato il diritto di difesa. Ma fino a dove, sempre sul piano del diritto internazionale, può spingersi la reazione?
Quelli commessi da Hamas contro migliaia di civili israeliani (uccisioni, ferimenti, presa di ostaggi) sono crimini di guerra volti a spargere terrore e devono essere assolutamente puniti. In risposta, Israele aveva certamente il diritto di proteggersi ma nel rispetto delle regole. Invece, reclamando il diritto di autodifesa ai sensi dell’articolo 51 della Carta dell’Onu (che altro non è che il diritto all’uso della forza militare contro un altro stato, cioè il diritto alla guerra), Israele ha intrapreso un incessante bombardamento di Gaza che ha fatto dei danni materiali, biologici e psicologici difficili da stimare. Come da giurisprudenza consolidata della Corte Internazionale di Giustizia, Israele, in quanto potere occupante nei confronti di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est, non può dichiarare guerra alla popolazione che tiene sotto occupazione. La risposta avrebbe dovuto essere in termini di mantenimento dell’ordine pubblico. Le difficoltà d’accesso a Gaza, controllata da Hamas, avrebbero potuto essere evitate richiedendo l’intervento delle Nazioni Unite, per una situazione altra che la guerra.
Inoltre, immediatamente dopo gli eventi del 7 ottobre, Israele ha stretto il blocco illegale su Gaza che mantiene da 16 anni, impedendo l’ingresso di tutti i beni vitali, inclusi cibo, acqua, forniture mediche e carburante. L’assistenza umanitaria è così diventata strumento di guerra, esponendo la popolazione a rischi ineluttabili di morte. Non si capisce inoltre perché Israele abbia ordinato l’evacuazione di oltre un milione di Palestinesi dal nord di Gaza, costringendoli ad ammassarsi in un sud anch’esso distrutto e sotto le bombe. Sono oltre 1.6 ml gli sfollati, molti dei quali ormai dormono per strada, senz’acqua potabile, senza servizi igienici e senza cibo. Nonostante i 36 mila feriti, la maggior parte degli ospedali ha smesso di funzionare. Questa non può giustificarsi come autodifesa, e rischia di essere un genocidio portato avanti con mezzi militari sotto gli occhi di tutti – questo è quanto denunciano ormai da settimane tanti esperti internazionali. I crimini di guerra, i crimini contro l’umanità devono essere puniti… ma anche prevenuti.

Da Gaza si susseguono notizie, denunce, testimonianze che colpiscono al cuore di chiunque abbia ancora un briciolo di umanità. In Italia c’è chi sostiene che il popolo di Gaza è ostaggio di Hamas che se ne fa scudo.
Vari politici e militari israeliani hanno dichiarato che i Palestinesi di Gaza sono tutti responsabili, perché “hanno votato Hamas” e comunque avrebbero potuto rivoltarsi, e liberarsi di Hamas. Innanzitutto le ultime e le uniche elezioni a cui i Palestinesi abbiano votato risalgono al 2006: la metà della popolazione di Gaza (che non ha compiuto 18 anni) non ha mai avuto la possibilità di votare. Inoltre, Hamas ha regnato su Gaza col pugno di ferro. C’era un clima di forte repressione delle libertà personali e non c’era modo di ribellarsi se non a rischio della propria vita. Durante il periodo della Primavera Araba, molti giovani avevano preso parte a movimenti per il cambiamento, che sono stati repressi brutalmente. Quindi come spesso accade, i palestinesi sono stati doppiamente vittime: dell’occupazione israeliana, la più lunga della storia moderna, ma anche del regime che vi si è cristallizzato, lo stesso che Netanyahu e i suoi alleati hanno sempre visto come un elemento strategico (per il mantenimento dello status quo) mentre consideravano l’Autorità Palestinese un peso. Ecco, lo status quo è finito, e non è chiaro cosa attende israeliani e palestinesi.

Lei ha avuto il merito di raccontare, documentandoli, gli abusi delle forze di occupazione in Cisgiordania oltre che la chiusura di Gaza che dura ormai da oltre sedici anni. Una realtà oscurata dai media mainstream, così come la questione palestinese era uscita dall’agenda internazionale. Cronaca di un disastro annunciato?
Sì. Nessuno poteva prevedere la tragedia del 7 ottobre. Ma da anni la comunità impegnata nella difesa dei diritti umani avvertiva dell’insostenibilità della situazione, che i palestinesi non avrebbero retto ancora per molto alla crescente oppressione israeliana, delle leggi discriminatorie, alla violenza dei soldati e dei coloni armati, alle umiliazioni e alla mancanza di futuro. La brutalizzazione a cui generazioni di palestinesi di Gaza erano stati sottoposti, ha chiaramente lasciato un solco profondissimo. Un sedicenne qualsiasi di Gaza, nel 2023, aveva vissuto già cinque guerre violente, che avevano fatto migliaia di morti, distrutto migliaia di case e con esse troppe vite, nel mezzo di un assedio (blocco di persone e merci da 16 anni) che aveva trasformato Gaza in una zona di concentramento – non importa che ci fossero delle zone floride, la maggior parte della popolazione viveva nella povertà e costretta a dipendere da aiuti umanitari, in un presente soffocante e senza una prospettiva di futuro. I palestinesi di Gaza non sanno cosa sia un civile israeliano. A differenza di quelli di Cisgiordania e Gerusalemme che pure dei civili israeliani li conoscono, soprattutto quelli che si battono contro l’occupazione, per oltre un milione di palestinesi a Gaza, gli israeliani sono sempre e solo soldati, che sparano dalle torrette di sorveglianza o dagli aerei, che guidano da remoto i droni che riempiono l’aria di Gaza, in poche parole, sono semplicemente i loro carcerieri, da sempre. Non è un giudizio, ma un’osservazione.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ripete che la guerra non si potrà dirsi conclusa fino a quando Hamas non sarà annientata. Ma a quale prezzo?
Che piaccia o no, Hamas non è solo Qassam Brigades o le forze armate che Hamas dirige. Hamas è una realtà politica, che non sarebbe mai divenuta la forza che si presentò alle elezioni nel 2005, vincendole, se non fosse stato per il supporto di Israele (guidato dal desiderio di spaccare la coalizione laica dell’Olp). Una forza politica cui non è stato permesso di governare, violando il primo voto popolare del popolo palestinese, e che da allora si è arroccato a Gaza, dopo una guerra sanguinosa con Fatah, e da sempre si avvale di metodi violenti nei confronti di israeliani e palestinesi. I Palestinesi di Gaza, ne sono le prime vittime. Ma dopo 16 anni di governo de facto di Hamas a Gaza, Hamas è anche la forza che amministra la striscia di Gaza, che dirige scuole e amministrazione di servizi pubblici: annientare Hamas significa distruggere solo la sua capacità militare o tutto ciò che ha fatto e toccato negli ultimi 16 anni? A giudicare dai danni arrecati a Gaza in quasi 50 giorni di bombardamenti israeliani, sembra che – come molti leader politici e militari israeliani hanno dichiarato – l’intenzione sia quella di creare quanti più danni possibile, affinché si riduca non solo la presenza di Hamas, ma la presenza dei palestinesi a Gaza. La “soluzione egiziana” (cioè il trasferimento dei palestinesi di Gaza nel Sinai) propinata da vari politici israeliani, significherebbe sfollamento forzato di massa (il terzo nella storia del popolo palestinese, dopo il 1947/9 e il 1967) dei palestinesi di Gaza da ciò che rimane della terra che fu la Palestina sotto mandato britannico fino al 1948. Inaccettabile e superbamente illegale.

L’Europa latita. Da cittadina europea si sente delusa, tradita, da questa inerzia? O anche questo era già scritto?
Siamo dinanzi ad un’Europa che sta tradendo non solo il suo impegno per il rispetto del diritto internazionale come strumento di prevenzione dei conflitti, ma anche le libertà fondamentali dei suoi cittadini e cittadine che oggi protestano contro le stragi in corso a Gaza, e vengono puniti da leggi draconiane e forze dell’ordine. Un ritorno al passato che desta preoccupazione e sgomento.

28 Novembre 2023

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