Lo scrittore dimenticato
Vasco Pratolini, un neorealista dimenticato e l’accusa di populismo
Pratolini fu campione esemplare ed ha lasciato pagine indimenticabili nell’incastonare l’epopea ribelle di una gioventù subalterna e inquieta in una Firenze scossa dall’ avvento del fascismo, e in seguito teatro di un tormentato quanto funesto dopoguerra.
Editoriali - di Duccio Trombadori
Pratolini era un maestro, perché è finito nell’oblìo? Questa la domanda bene impostata da l’Unità nel titolare un articolo del medesimo tenore scritto da Filippo La Porta sul giornale di mercoledi 18 Ottobre. È tristemente vero.
Come è vero che tanta parte della letteratura emersa nell’Italia nata dalla Resistenza, ben nutrita “dal sangue dei partigiani e dei marxisti, è diradata nella memoria collettiva e tanto più in quella dei giovani orientati dal circuito bellettristico dell’ industria culturale”.
Di quella stagione culturale, chiamata genericamente neo-realista tanto nel cinema che nella scrittura e la pittura, Pratolini fu campione esemplare ed ha lasciato pagine indimenticabili nell’incastonare l’epopea ribelle di una gioventù subalterna e inquieta in una Firenze scossa dall’ avvento del fascismo, e in seguito teatro di un tormentato quanto funesto dopoguerra.
I motivi della perdita di memoria e di interesse per la figura e l’opera di Pratolini, sono diversi e, in parte, dovuti anche alla grande importanza, forse eccessiva, che gli venne attribuita in vita come autore principe della letteratura “impegnata”, fino a riconoscere con Carlo Salinari nel suo romanzo Metello (1954) un punto di svolta peri l’avvio una stagione letteraria democratica e socialista.
Ma fu verso i primi anni Sessanta che proprio “da sinistra” sull’opera di Pratolini e sul suo significato culturale cadde implacabile il giudizio sommariamente limitativo di Alberto Asor Rosa che nel suo Scrittori e popolo, liquidò l’autore di Cronache di poveri amanti come classico esemplare di un generico “populismo” senza nerbo classista tale da meritare la sua disapprovazione ideologica.
Fu certamente quella critica “di parte operaia” l’inizio di un discredito soprattutto tra gli universitari di sinistra che allora (vedi il luglio ’60,e le prime azioni di “nuova Resistenza”) covavano in cuor loro i prodromi del 1968. Ricordo bene quel fermento di idee allo stato nascente, e la presa ideologica che fece anche su di me.
Non c’è alcun dubbio che l’avvento di un siffatto senso comune favorì l’archiviazione di Pratolini proprio mentre egli giungeva alla piena maturità di scrittore con La costanza della ragione e Lo scialo. A difenderlo, sulle colonne de l’Unità, il 28 marzo 1965, fu solo Carlo Salinari con una intemerata aspra contro il libro Scrittori e popolo.
Gli argomenti addotti dallo storico della letteratura – che fu capo della Resistenza romana, intellettuale marxista-gramsciano e tenace sostenitore del realismo – a me paiono ancora oggi piuttosto validi, se si toglie la polvere di un linguaggio attempato da un certo ideologismo discutibile come quello di Asor Rosa.
Oggi, purtroppo, un tipo come Carlo Salinari è per molti giovani impegnati, poco più di un Carneade. Asor Rosa è salito invece alla vetta dei ‘Meridiani’. Restano i loro testi a fare confronto. Per chi abbia voglia di scavare oltre la superficie, pubblicare il testo di Salinari dall’archivio storico de l’Unità, che potete rileggere qui, mi pare cosa buona e giusta.