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La vergogna dei minori stranieri rinchiusi nell’hotspot di Taranto

migranti stranieri

L’Italia non sembra un paese per minori, specie se stranieri, a guardare i gravi e ripetuti fatti per i quali il nostro Paese viene ripetutamente condannato dalle Corti europee.

Val la pena di esaminare ancora con attenzione l’ennesima decisione della Corte Europea per i diritti dell’Uomo (CEDU) che, con sentenza del 23.11.23 (caso AT e altri c. Italia – domanda n. 47287/17) ha condannato il Governo italiano per quanto avvenuto nella primavera ed estate 2017 a tredici minori stranieri non accompagnati (MSNA) provenienti da diversi Paesi.

Arrivati in Italia il 22 maggio 2017 su un’imbarcazione di fortuna essi avevano chiesto asilo ed erano stati detenuti per mesi nell’hotspot di Taranto fino a quando, a seguito della richiesta inoltrata dai legali dei minori (Dario Belluccio e Marina Angiuli) alla stessa CEDU di adottare una misura provvisoria urgente, erano stati finalmente trasferiti dall’hotspot verso strutture per minori nel territorio. Nella decisione di merito ora assunta su quei fatti la Corte ha ritenuto pienamente sussistenti gravissime violazioni della Convenzione.

In primo luogo i minori “sono stati sottoposti a trattamenti inumani e degradanti durante il loro soggiorno nell’hotspot di Taranto, in violazione dell’articolo 3 della Convenzione” riconoscendo validità a tutte le contestazioni presentate in relazione “alle carenze delle condizioni materiali dell’hotspot” (strutture provvisorie allestite in un’area del porto tarantino), ovvero a “scarse condizioni igieniche e mancanza di spazio” e al mancato tempestivo trasferimento dei minori in strutture idonee ad essi dedicate.

La Corte ha ritenuto altresì che “ i ricorrenti siano stati arbitrariamente privati della libertà, in violazione del primo comma dell’articolo 5 della Convenzione” in quanto sono stati detenuti nell’hotspotsenza una base giuridica chiara e accessibile e in assenza di un provvedimento motivato che ne disponesse il trattenimento”.

Tale incredibile situazione ha comportato anche la terza gravissima violazione della Convenzione, quella relativa all’art. 13 ovvero il diritto ad un ricorso effettivo in quanto non sussisteva “alcun rimedio specifico con cui i ricorrenti avrebbero potuto presentare un reclamo relativo alle loro condizioni di accoglienza nell’hotspot di Taranto”.

Una condanna per trattamenti inumani e degradanti, detenzione arbitraria, mancanza di una possibilità di effettiva difesa in sede giudiziaria contro gli abusi commessi delinea un quadro veramente spaventoso di fronte al quale qualsiasi Governo di un Paese democratico, indipendentemente dal suo colore politico, dovrebbe correre ai ripari assumendo con immediatezza tutte le misure necessarie per fare in modo che una simile situazione non si possa ripetere. Dal Governo in carica invece il silenzio è assoluto, al pari dell’inazione.

I fatti oggetto della sentenza della Corte non sono infatti degli casi esecrabili ma limitati, bensì spalancano alla vista una realtà che in Italia è del tutto ordinaria e consolidata. I minori trattenuti illegalmente nell’hotspot di Taranto hanno continuato ad esserci in tutti questi anni, e ci sono tuttora mentre scrivo queste righe (circa 180 secondo i dati riportati dall’avv. Belluccio).

Ciò accade a Taranto, come altrove; il 26 luglio 2023 ASGI ha presentato ricorso al Tribunale civile di Catanzaro in quanto, a seguito dei sopralluoghi fatti presso il Centro di prima Accoglienza di Isola di Capo Rizzuto (KR) durante i quali è stato possibile constatare la presenza di oltre 200 minori stranieri non accompagnati in stato di trattenimento de facto nella struttura.

Già nel febbraio del 2023 la situazione era stata constatata dal Garante Regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Calabria che nella sua relazione evidenziava come “alla persistente presenza, anche per periodi prolungati di tempo (della durata di alcuni mesi), di MSNA presso il Centro di Isola Capo Rizzuto”.

Una situazione definita nel rapporto come “cronica”, con un trattenimento de facto dei minori in assenza di qualunque base legale. La Garante evidenziava nella relazione il paradosso che “diversamente dagli altri ospiti, che nelle ore diurne hanno la possibilità di uscire, ai MSNA è fatto divieto di allontanarsi dalla struttura” (rapporto sulla visita, 14.02.23)

Sono ormai molte le condanne della CEDU che l’Italia ha accumulato per il trattamento dei minori stranieri; i casi precedenti sono Khlaifia and Others v. Italy, no. 16483/12, sentenza del 15 dicembre 2016, Darboe and Camara v. Italy, no. 5797/17, sentenza del 21 luglio 2022, J.A. and Others v. Italy, no. 21329/18, sentenza del 30 giugno 2023, e infine la sentenza M.A. vs. Italy, no.70583/17 del 31 agosto 2023, nella quale nuovamente l’Italia è stata condannata per violazione dell’art. 3 CEDU (trattamenti inumani e degradanti).

Le motivazioni addotte dal Governo italiano nel giustificare, in sede politica, questo incredibile stato di cose sono più o meno ripetitive, ovvero viene invocata in modo seriale un’asserita eterna emergenza di arrivi di minori e alla mancanza di strutture idonee di accoglienza. Eppure, alla data del 31 dicembre 2022, secondo i dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, i MSNA presenti sul territorio italiano erano solo 20.089.

Al 31 ottobre 2023, sempre il Ministero del Lavoro ne riportava la presenza di 23.798; si tratta di dati comprensivi dei minori arrivati a seguito della guerra in Ucraina (il 17% del totale). E’ arduo, di fronte a tali dati, parlare di situazione di emergenza; emerge invece un quadro segnato da gravissime inadempienze nel non riuscire a strutturare un sistema nazionale di accoglienza e protezione dei MSNA che rappresentano proprio il segmento più fragile dei migranti forzati, purtroppo in crescita in tutta Europa.

Come ho avuto modo di scrivere su queste pagine il sistema dell’accoglienza dei richiedenti asilo e dei minori non accompagnato in Italia è totalmente distorto in quanto si è sviluppato al di fuori della corretta cornice giuridica prevista dal nostro ordinamento costituzionale che prevede che “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza” (art.118).

Fatta salva l’organizzazione dei soccorsi e di una prima accoglienza finalizzata ad una rapida redistribuzione sul territorio nazionale che per chiare ragioni di adeguatezza spetta allo Stato, l’intera funzione dell’accoglienza dovrebbe dunque essere attribuita ai Comuni tramite una nuova norma di cui c’è somma urgenza, la quale dovrebbe prevedere una rigorosa programmazione, la definizione di standard di accoglienza non derogabili e uniformi, dei meccanismi di finanziamento ordinari (e non su volatili progetti) e la definizione di criteri di redistribuzione delle presenze in tutto il territorio nazionale superando interamente il meccanismo, giuridicamente errato e politicamente velleitario, della volontarietà delle amministrazioni locali nell’aderire o meno alle funzioni di gestione dell’accoglienza.

Proprio il sistema di accoglienza dei minori non accompagnati (e dei neomaggiorenni) gestito in un’ottica di inclusione sociale di giovani che potranno contribuire in modo significativo al futuro dell’Italia, avrebbe potuto rappresentare il primo passo per attuare questo cambiamento di prospettiva dell’intero sistema di accoglienza, ma così non è stato.

Non solo il Governo non ha proposto, e non intende farlo, nessuna riforma nei termini sopra indicati, ma si è mosso nella direzione opposta, ovvero quello di accentrare sempre di più le funzioni della ordinaria accoglienza dei minori non accompagnati nelle mani del Ministero dell’Interno e delle sue articolazioni periferiche prevedendo di istituire un crescente numero di centri di accoglienza straordinaria per i minori non accompagnati nei quali, quando va bene, vengono garantiti solo servizi essenziali senza una reale prospettiva di percorsi socio-educativi.

Infine il Governo, con il DL 133/2023 ha previsto la possibilità di collocare i minori almeno sedicenni in centri per adulti (nel frattempo raddoppiati nella capienza) per un tempo massimo di 90 giorni, termine che, con le modifiche apportate in sede di conversione in legge del decreto sono volati a 150 giorni.

Come già evidenziato nell’articolo del 7 ottobre la nuova norma, ora pure inasprita, viola l’art. 20 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia che stabilisce che un minore privo del suo ambiente familiare debba essere collocato in affidamento familiare (opzione che va sempre privilegiata) o in strutture specifiche per minorenni, nonché è in contrasto con il diritto europeo e in particolare con la Direttiva 2013/33/UE sull’accoglienza dei richiedenti asilo che autorizza il collocamento dei minori in sezioni apposite dei centri per adulti solo in casi del tutto residuali se ciò “è nel loro interesse superiore” (art.24 par.2).

La mancata organizzazione dello Stato italiano nell’organizzare il sistema di accoglienza dei minori dunque non costituisce ragione alcuna per legittimare il nuovo intervento normativo. Al di là dell’analisi giuridica e auspicando che giunga presto una censura di incostituzionalità di norme di cui ci dobbiamo vergognare, confesso che mi è difficile capire le ragioni oscure che stanno dietro ad un livello così alto di chiusura mentale e di manifesta cattiveria verso l’arrivo nel nostro Paese di ragazzi che, qualunque sia la ragione della loro fuga, hanno tutti alle spalle un vissuto traumatico e che, consapevoli, come sono molti di loro, che le norme europee non li costringono, come per gli adulti, a chiedere protezione nel primo paese d’ingresso, non se ne sono andati e hanno liberamente scelto proprio il nostro Paese per ricostruirsi una vita. Forse non siamo degni di loro.