Gaza, “la guerra di Bibi”. Obiettivo; salvare se stesso”
Scrive Alon Pinkas, tra i più autorevoli analisti politici israeliani, un passato in diplomazia, firma di Haaretz: “Fin dalle 6:29 del 7 ottobre, il primo ministro Benjamin Netanyahu non ha fatto altro che tramare per salvarsi, scaricando e deviando qualsiasi responsabilità incolpando i servizi militari e di intelligence per quello che è stato il giorno peggiore e più mortale nella storia di Israele[…].
Una cosa di cui è ancora capace è provare e dire tutto il necessario per salvarsi da quello che sembra un destino inevitabile: essere ritenuto responsabile della peggiore debacle della storia di Israele. Lo sta facendo usando due strumenti. In primo luogo, politicamente, gestendo la sua coalizione di governo di estrema destra e pagando alla comunità ultraortodossa miliardi di dollari, alcuni dei quali verranno dagli “aiuti di emergenza” degli Stati Uniti per 14,3 miliardi di dollari.
In secondo luogo, introducendo una narrazione completamente nuova sul 7 ottobre e le sue conseguenze: in un certo senso non è mai successo davvero. L’unica cosa reale è una “seconda guerra d’indipendenza” che la storia ha affidato a lui per vincere. Il calcolo politico alla base della narrazione fabbricata è semplice: Netanyahu deve sopravvivere o il paese non può sopravvivere; la sopravvivenza è possibile solo se la guerra si prolunga. […]La sua narrativa fasulla preclude anche qualsiasi discorso sulla politica israeliana riguardante Gaza il “giorno dopo”.
Chi controllerà Gaza? Israele rimarrà a Gaza? In che modo questo interagisce con la Cisgiordania? Sta evadendo qualsiasi dialogo con gli americani, ma questo è calcolato. Nella sua mente – conclude Pinkas – qualsiasi discorso su un quadro politico per Gaza mina l’idea che questa sia una guerra formativa, “pedagogica” che sta conducendo… In termini di evoluzione politica, ora siamo entrati in una nuova fase della guerra: l’operazione Salvataggio del soldato Netanyahu”.
Allungare la guerra: convergenza d’interessi
Concordano analisti e fonti diplomatiche: Hamas sa che un cessate il fuoco prolungato segnerebbe la sua estromissione nel governo di Gaza, a favore dell’Autorità Palestinese di Abu Mazen. E Netanyahu teme che questa prospettiva, caldeggiata dagli Usa, ponga fine alla sua carriera politica e al governo più di destra nella storia d’Israele. I piromani, nei due campi, sono in azione. Il rischio sempre più reale è che la guerra deflagri in Cisgiordania e nell’interno Medioriente.
Ft: «Israele pianifica una “lunga guerra” e mira a uccidere i tre principali leader di Hamas»
In un articolo del quotidiano britannico Financial Times si legge: «Israele sta pianificando una campagna contro Hamas che durerà un anno o più, con la fase più intensa dell’offensiva di terra che proseguirà fino all’inizio del 2024, secondo alcune fonti».
Sempre il Ft spiega che gli obiettivi includono l’uccisione dei tre massimi leader di Hamas nella Striscia –Yahya Sinwar, Mohammed Deif e Marwan Issa – «assicurando al contempo una vittoria militare “decisiva” contro i 24 battaglioni del gruppo e la rete di tunnel sotterranei, distruggendo anche la sua “capacità di governo a Gaza”. Sarà una guerra molto lunga. Non siamo neanche vicino alla metà dei nostri obiettivi», afferma con il Financial Times una fonte a conoscenza dei piani di Israele.
Wsj: “Israele ha un piano per colpire i leader di Hamas nel mondo”
Israele sta pianificando di dare la caccia ai leader di Hamas in tutto il mondo una volta che saranno finiti i combattimenti a Gaza. Lo scrive il Wall Street Journal. Il primo ministro Benjamin Netanyahu, secondo il giornale americano, avrebbe ordinato alle agenzie di spionaggio di elaborare piani per colpire i principali leader del gruppo al di fuori della Striscia, soprattutto in Turchia, Qatar e in altri Paesi.
Negli anni 70, Israele aveva già intrapreso una campagna di questo tipo per individuare i terroristi palestinesi coinvolti nel massacro delle Olimpiadi di Monaco. Il Wsj riferisce anche come Israele stia valutando la possibilità di espellere i combattenti di Hamas, di minore importanza, da Gaza per abbreviare la durata della guerra.
Nyt: l’Intelligence israeliana conosceva il piano di Hamas per l’attentato del 7 ottobre
Considerato troppo ambizioso e troppo difficile da realizzare per il movimento estremista, venne velocemente liquidato dall’intelligence israeliana. A rivelare che dirigenti di Tel Aviv ottennero il piano di battaglia di Hamas per l’attacco del 7 ottobre più di un anno prima che accadesse, è il New York Times sulla base di documenti, e-mail e interviste.
Il documento, di circa 40 pagine, che le autorità israeliane chiamarono in codice “Muro di Gerico”, delineava, punto per punto, esattamente il tipo di devastante invasione che ha portato alla morte di circa 1.200 persone. Il documento tradotto, esaminato dal Nyt, non fissava una data per l’attacco, ma descriveva un attacco metodico progettato per distruggere le fortificazioni attorno alla Striscia di Gaza, prendere il controllo delle città israeliane e assaltare le principali basi militari, incluso il quartier generale di una divisione.
Hamas, secondo il quotidiano, ha seguito il progetto “con una precisione scioccante”. Il documento prevedeva una raffica di razzi all’inizio dell’attacco, droni per mettere fuori uso le telecamere di sicurezza e mitragliatrici automatiche lungo il confine, e uomini armati che si riversavano in Israele in massa con parapendii, motociclette e a piedi: cose tutte successe il 7 ottobre.
Il piano includeva anche dettagli sulla posizione e le dimensioni delle forze militari israeliane, sui centri di comunicazione e altre informazioni sensibili, sollevando interrogativi su come Hamas abbia raccolto le sue informazioni e se ci siano state fughe di notizie all’interno dell’establishment della sicurezza israeliana.
Il documento, scrive il Nyt, circolò ampiamente tra i leader militari e dell’intelligence israeliani, ma gli esperti stabilirono che un attacco di quella portata e ambizione andava oltre le capacità di Hamas. Non è chiaro se il documento sia stato visto anche dal primo ministro Benjamin Netanyahu o da altri importanti leader politici.
L’anno scorso, poco dopo l’ottenimento del documento, funzionari della divisione Gaza dell’esercito israeliano, responsabile della difesa del confine con la Striscia, affermarono che le intenzioni di Hamas non erano chiare. “Non è ancora possibile determinare se il piano è stato pienamente accettato e come si concretizzerà”, si legge in una valutazione militare esaminata dal giornale.
Poi lo scorso luglio, appena tre mesi prima degli attacchi, un analista veterano dell’Unità 8200, l’agenzia israeliana di intelligence che analizza i segnali, avvertì che Hamas aveva condotto un’intensa esercitazione di addestramento di un giorno che sembrava simile a quanto delineato nel piano. Ma un colonnello della divisione di Gaza respinse le sue preoccupazioni, secondo le email crittografate visualizzate dal Nyt.
Netanyahu: «Avanti fino alla distruzione completa di Hamas»
«Le nostre forze sono lanciate in avanti all’attacco. Continuiamo a combattere con tutta la nostra forza fino al raggiungimento dei nostri obiettivi: il recupero dei nostri ostaggi, la distruzione di Hamas e la garanzia che Gaza non rappresenterà mai più una minaccia per Israele»: lo ha scritto il premier Benjamin Netanyahu su X. Poi ha concluso: «Shabbat shalom».
Hamas: «Israele è responsabile della fine della tregua»
Hamas ha accusato Israele di essere responsabile della fine della tregua e della ripresa della guerra. In un comunicato diffuso dai media del movimento armato palestinese si legge: «Riteniamo l’occupazione (Israele) responsabile della ripresa del conflitto dell’aggressione contro Gaza». «Per tutta la notte si sono svolte trattative per prolungare la tregua e Hamas aveva offerto di scambiare altri prigionieri», prosegue il comunicato riferendosi anche agli ostaggi israeliani. «Ma l’occupazione ha rifiutato tutte le offerte perché aveva già deciso di riprendere l’aggressione criminale», conclude il comunicato.
Casa Bianca, “La rottura della tregua è colpa di Hamas. Lavoriamo per farla ripartire”
La Casa Bianca ritiene che Hamas sia responsabile della rottura della tregua, ma gli Stati Uniti continuano a lavorare con Israele, Egitto e Qatar per cercare di farla ripartire. «Hamas ha finora mancato di fornire la lista degli ostaggi da liberare che avrebbe permesso una estensione della tregua», ha detto un portavoce del Consiglio nazionale di Sicurezza, citato dalla Cnn.
Il presidente americano Joe Biden e il suo team della sicurezza nazionale, ha aggiunto, «continueranno ad essere profondamente impegnati per cercare di liberare gli ostaggi rimanenti oltre a sostenere ed espandere la risposta umanitaria internazionale».
Ministero della Sanità: a Gaza più di 100 morti dopo l’interruzione della tregua
Sono più di 100 i morti a Gaza da quando questa mattina è stata interrotta la tregua, secondo le cifre diffuse dal ministero della Sanità della Striscia.
Israele: «Nelle mani di Hamas ancora 137 ostaggi»
Sono 137 gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas nella Striscia di Gaza, mentre 110 sono tornati in Israele. Lo ha dichiarato il portavoce del governo israeliano Eylon Levy, precisando che restano ancora sequestrati 115 uomini, 20 donne e due bambini.
Dieci degli ostaggi a Gaza hanno 75 anni o più, ha detto Levy, aggiungendo che la maggioranza, ovvero 126, sono israeliani e 11 sono cittadini stranieri. Tra loro ci sono otto thailandesi. Levy cita anche l’ostaggio più piccolo, Kfir Bibas di 10 mesi, suo fratello Ariel di 4 anni e la loro madre Shiri. L’esercito israeliano ha detto che sta indagando sull’annuncio di Hamas secondo cui i bambini e la loro madre sarebbero stati uccisi.
Volker Turk (Onu); la ripresa delle ostilità è “catastrofica”
La ripresa delle ostilità a Gaza è “catastrofica”. Lo ha detto l’Alto commissario Onu per i diritti umani Volker Turk. I “recenti commenti di leader politici e militari israeliani che indicano che stanno progettando di estendere e intensificare l’offensiva militare sono molto preoccupanti”, ha aggiunto. L’Alto commissario ha quindi esortato “tutte le parti e gli Stati che esercitano influenza su di esse a raddoppiare immediatamente gli sforzi per garantire un cessate il fuoco, per motivi umanitari e relativi ai diritti umani”.