Il rapporto Censis
Spariscono 8 milioni di lavoratori, l’Italia cola a picco ma il governo se ne frega
La classe lavoratrice si ridurrà di un terzo entro il 2040, il Pil crollerà del 20-35%, sanità e welfare destinati a sparire. Pronto, governo? C’è qualcuno?
Editoriali - di Mario Marazziti
Caro Babbo Natale, e caro Bambino Gesù, dacci una classe dirigente che guardi in faccia la realtà e che ci metta mano. I sonnambuli fanno paura. Il Censis ci ha dato il suo 57esimo Rapporto e fa una fotografia che fa vedere tante crepe e rughe.
Ci chiama “sonnambuli”, e “ciechi dinanzi ai presagi”. 8 (o-t-t-o) milioni di persone in età lavorativa in meno fra venticinque anni. Anche con i cambiamenti dell’IA, è un terzo dei 23.449.000 occupati di adesso, record assoluto che però non ci permette di risalire nemmeno una posizione in Europa per livello di retribuzioni e per numero di non occupati.
Ad essere ottimisti questo dato contiene una decrescita del Pil dal 35 (una proiezione che prende a punto di riferimento quanto vale oggi il lavoro dei 2.374.000 occupati stranieri, che produce il 9 per cento del Pil), al 20 per cento in meno perché saremo così geniali da produrre di più in pochi.
Italietta, che sia sovranista o no. Non è semplicemente una interpretazione, “Italia in declino”, ma non c’è un dato, un indice che dica il contrario nella mole di dati offerta dal Censis.
È uno stato d’animo espresso in maniera corale da gran parte degli italiani, preoccupati di una guerra mondiale, convinti di non potere incidere sulla realtà, e quindi alla ricerca di benesseri individuali a stragrande maggioranza e, anche per un principiante, che appare non in grado di garantire un welfare minimamente simile a quello di oggi.
Questione di numeri, che molti italiani già percepiscono nelle conseguenze per la propria vita e salute. Ciechi dinanzi ai presagi: crisi demografica, nel 2050 avremo quasi 8 milioni di persone in età lavorativa in meno. Intrappolati nel mercato dell’emotività: per l’80% degli italiani il Paese è in declino, per il 69% più danni che benefici dalla globalizzazione, e adesso il 60% ha paura che scoppierà una guerra mondiale e secondo il 50% non saremo in grado di difenderci militarmente.
Ripiegati nel tempo dei desideri minori: non più alla conquista dell’agiatezza, ma alla ricerca di uno spicchio di benessere quotidiano. “Tra il 2012 e il 2019 la spesa sanitaria pubblica in rapporto al Pil è passata dal 6,7% al 6,4%, nel 2020 del Covid è salita al 7,4% e poi è scesa di nuovo al 6,7% nel 2022. Dal confronto internazionale emerge che nel periodo 2012-2019 in Italia la spesa sanitaria pubblica ha registrato un -0,4%, in Francia un +15,0%, in Germania un +16,4% e in Spagna un +7,7%. Negli anni 2019-2021, per effetto della pandemia, in Italia si è registrato un +6,7%, in Francia un +8,8%, in Germania un +16,6% e in Spagna un +13,5%. Secondo la Nadef, nei prossimi anni la spesa sanitaria pubblica italiana in rapporto al Pil diminuirà fino al 6,1% nel 2026. Insomma, risorse pubbliche per il Servizio sanitario nazionale declinanti nel tempo e strutturalmente inferiori a quelle di Paesi simili al nostro”.
Ma non bisogna andare così lontano nel tempo: tra il 2022 e il 2027 andranno in pensione 29mila medici dipendenti dal Ssn, e 21mila infermieri: entrambi, già oggi, sono meno del normale fabbisogno. Cioè 30 milioni di italiani avranno più difficoltà a trovare un medico di base, gli ospedali a garantire assistenza infermieristica, per non parlare dei servizi territoriali e a domicilio: in tempi di medicina “personalizzata”, in quello che è stato finora uno dei modelli più riusciti di sanità pubblica e universalistica.
“Nell’anno trascorso il rapporto degli italiani con la sanità è stato segnato dalla presa d’atto della fine delle promesse. Per il 75,8% è diventato più difficile accedere alle prestazioni sanitarie nella propria regione a causa di liste di attesa sempre più lunghe. Il 71,0% dichiara che in caso di visite specialistiche necessarie o accertamenti sanitari urgenti è pronto a rivolgersi a strutture private pagando di tasca propria (al Sud la percentuale sale al 77,3%)”. Detto così significa, senza correttivi urgenti, la fine pratica del S.S.N. universalistico, una delle più grandi conquiste della democrazia in Italia, nata in un paese che reagiva all’omicidio di Aldo Moro, nel 1978.
Ma c’è di più nelle parole del Censis: “I sonnambuli: ciechi dinanzi ai presagi. Alcuni processi economici e sociali largamente prevedibili nei loro effetti sembrano rimossi dall’agenda collettiva del Paese, o sono comunque sottovalutati. Benché il loro impatto sarà dirompente per la tenuta del sistema, l’insipienza di fronte ai cupi presagi si traduce in una colpevole irresolutezza. La società italiana sembra affetta da sonnambulismo, precipitata in un sonno profondo del calcolo raziocinante che servirebbe per affrontare dinamiche strutturali dagli esiti funesti. Nel 2050 l’Italia avrà perso complessivamente 4,5 milioni di residenti (come se le due più grandi città, Roma e Milano insieme, scomparissero)” .
Ma non è colpa solo delle classi dirigenti: “è un fenomeno diffuso (anche) nella «maggioranza silenziosa» degli italiani”. Allora, caro Babbo Natale e caro Bambino Gesù: Ridateci una classe dirigente che si occupi e si preoccupi davvero di noi. Che prenda in mano i problemi veri e non li copra, capace di guardare in faccia la realtà. E che cominci ad affrontarli, dandoci speranza, futuro, salvando il bello dell’Italia. E alla fine anche sé stessa.