La manifestazione leghista
La kermesse nera di Firenze spacca il governo, Meloni gela Salvini: “Ci toglie credibilità”
Il progetto di unire le destre in Europa e i toni euroscettici irritano anche Forza Italia: “A Bruxelles mai con Le Pen”. E FdI: “Lede i nostri interessi”
Politica - di David Romoli
Sarà perché le elezioni europee sono più vicine ma certo l’unità del centrodestra italiano sembra ogni giorno di più una finzione dipinta su cartone per mascherare divisioni molto più profonde di quanto i protagonisti non vogliano ammettere.
Domenica a Firenze per la sagra sovranista con cui ha inaugurato la sua campagna per le europee e contro l’Europa Salvini è andato giù con l’ascia e agli alleati l’intemerata non è piaciuta affatto. Non a FI, ed è ovvio essendosi il partito azzurro riciclato come il più europeista di tutti, ma neppure a FdI, già in gara con la Lega per la palma dei più euroscettici ma oggi in marcia nella direzione diametralmente opposta.
- Nardella critica l’adunata nera, e la Lega strilla: “Aizza la piazza”
- Salvini e il raduno dell’ultradestra a Firenze, dopo Le Pen assente anche la ‘star’ Geert Wilders: il summit perde pezzi
- Tajani allo scontro con Salvini in ottica Europee, ‘no’ ad accordi con Le Pen e AfD: ira della Lega contro Forza Italia
Insomma, al Salvini che insiste perché gli alleati mettano da parte le preclusioni verso i sovranisti radicali dell’eurogruppo Identità e Democrazia sia gli azzurri che i tricolori rispondono picche e non senza una appena velata irritazione. I forzisti non le mandano a dire: “Gli piacerebbe che funzionasse la sua visione del centrodestra europeo ma il Ppe non è d’accordo e quel disegno nella Ue è poco plausibile”, taglia corto il capogruppo azzurro Barelli.
Più drastica la posizione del partito: “FI è parte integrante e fondante del Ppe: siamo europeisti, atlantisti e non condividiamo assolutamente un futuro con chi non vuole l’Europa”. È una pietra tombale ma è anche una sceneggiata recitata più volte. Non è nel quartier generale di FI che il nervosismo affiora maggiormente ma in quello di FdI.
A botta calda Chigi aveva fatto trapelare tramite anonime fonti l’irritazione della premier. Il partito, sempre in forma anonima, va oltre: “Siamo certi che la Lega conosca il limite tra i toni da campagna elettorale e la necessità di non compromettere credibilità e interessi italiani”.
La nota dolente è quella. Le sparate da campagna elettorale non impensieriscono la premier: che la Lega provi a rosicchiare un paio di punti percentuali alzando i toni e cercando di sfruttare il “moderatismo” sostanziale dell’alleata è nell’ordine delle cose e del resto quei voti saranno probabilmente recuperati, proprio in virtù del moderatismo in questione, scippandoli alla FI orfana del sovrano Silvio.
Ma il momento è troppo delicato perché una parte integrante del governo si abbandoni a intemperanze propagandistiche. Non con il Patto di stabilità in ballo: questione di giorni, tra giovedì sera e venerdì si dovrebbe decidere tutto e per l’Italia è la questione più decisiva di tutte.
Certo, le sparate del leghista in parte fanno comodo alla premier, contribuiscono a indicarla come l’ala ragionevole e non antieuropea della destra italiana, un muro in realtà antisovranista che a Bruxelles conviene tenersi caro. Ma per altri versi gli eccessi del vicepremier e leader del secondo partito di maggioranza creano un imbarazzo che potrebbe costare caro al governo e carissimo all’Italia.
Solo che Salvini è un animale da campagna elettorale, sa di giocarsi moltissimo, forse tutto, nelle prossime europee, sente stormir di fronda nel suo stesso partito e quindi da quell’orecchio non ci sente. Inutile suggerirgli misura e cautela. Torna alla carica e prende di mira la presidente del Parlamento Roberta Metsola, grande amica di Meloni e sponda dei Conservatori nel Ppe: “C’è chi ripropone l’inciucio con le sinistre, che ha portato l’Europa ai problemi di oggi”.
Ci si può facilmente immaginare quanto piacere abbiano fatto queste parole a Giorgia Meloni, che proprio domani incontrerà a Chigi la presidente bersagliata dal suo vice. Ma se da un lato la forza delle cose, ma anche una strategia studiata a tavolino, spingono Meloni verso le posizioni di FI, a maggior ragione se l’Italia riuscirà a strappare qualcosa sul tavolo del nuovo Patto, su altri piani la corrente tira in direzione opposta. L’uscita di Gianni Letta contro il premierato e a favore del cancellierato ha aperto un varco.
Tajani non ha alcuna intenzione di infilarcisi ma Letta non è una voce qualsiasi nel mondo azzurro e neppure l’ex presidente del Senato Marcello Pera, ex forzista eletto nelle liste di FdI e anche lui ostile al premierato. Di qui alla prima approvazione della riforma, probabilmente entro giugno, quelle aree presseranno la premier per farle cambiare idea e convergere su un cancellierato che passerebbe in Parlamento con amplissima maggioranza.
Non ce la faranno: per la premier l’elezione diretta è irrinunciabile. Ma la loro posizione alimenterà dubbi, soprattutto sul fianco più esposto della riforma, l’indebolimento del ruolo del presidente della Repubblica. Una parte di FI, magari tacitamente gli andrà dietro e così una parte dell’elettorato. Rendendo più difficile una sfida in cui la premier si gioca tutto e che già facile non è affatto.