Giorgia Meloni incassa uno schiaffo pesantissimo dall’Albania. È infatti da Tirana che arriva la notizia che a Palazzo Chigi nessuno sperava di ricevere: la Corte Costituzionale albanese, a seguito di due ricorsi presentati dal Partito democratico del paese balcanico e da altri 28 deputati vicini all’ex premier di centrodestra Sali Berisha, ha sospeso la ratifica parlamentare del patto Italia-Albania per la costruzione di due centri per migranti sul territorio albanese.
Il ricorso alla Corte costituzionale albanese
La ratifica parlamentare dell’accordo firmato tra Meloni e il premier albanese Edi Rama era prevista per la giornata di domani, giovedì 14 dicembre. Per ora dunque la ratifica è sospesa finché la Corte non si esprimerà con una sentenza, per la quale ha tempo 3 mesi, dunque entro il prossimo 6 marzo e con la prima seduta della Corte prevista il prossimo 18 gennaio
La presidente della Corte, Holta ZaÇaj ha spiegato che “il collegio dei giudici riunitosi oggi ha considerato che i ricorsi presentati rispettano i criteri richiesti, e ha deciso di esaminarli in seduta plenaria. Ciò comporta automaticamente che le procedure parlamentari per la ratifica dell’accordo vengano sospese”, fino a quando la Corte non si esprimerà con una sentenza. L’intesa, secondo i parlamentari che hanno presentato ricorso, violerebbe la Costituzione e le convenzioni internazionali.
Come funziona il Patto Italia-Albania
L’intesa firmata dai governi di Roma e Tirana prevede la costruzione di due centri in Albania: un centro di prima accoglienza che dovrebbe sorgere sulla costa a Shengjin, per le procedure di screening, e una struttura di detenzione amministrativa, un Centro di permanenza per il rimpatrio, da realizzarsi a Gjader, nella parte interna del Paese.
Secondo gli obiettivi dell’esecutivo Meloni, i centri “distaccati” dovrebbero poter ospitare fino a 3mila migranti ogni mese per i prossimi cinque anni. Nei due centri però potranno essere portati solo i migranti soccorsi fuori dalle acque territoriali italiane ed europee dalle navi della nostra marina militare o guardia costiera: un numero esiguo.
Di fatto per “riempire” i Cpr italo-albanesi le nostro motovedette e imbarcazioni dovranno spingersi ben al di là rispetto allo specchio di mare attualmente monitorato, con operazioni che non vengono svolte così lontano da anni, dai tempi dell’operazione Mare Nostrum. Il perché è evidente: spedire in Albania i migranti soccorsi nelle nostre acque (o in quelle europee) farebbe incorrere in violazioni del diritto europeo.
I migranti avranno garantito il diritto alla difesa, ma solo con incontri a distanza: potranno parlare con i loro difensori d’ufficio esclusivamente in videoconferenza, così come in collegamento video compariranno davanti ai giudici per le udienze di convalida del provvedimento di trattenimento o per qualsiasi ricorso.