L'informativa della premier

Superbonus, è lite nel governo: Giorgetti contro FI sulla proroga delle ristrutturazioni

Giorgia ostenta inesistenti trionfi del governo anche se sul patto di Stabilità non ha ottenuto lo scorporo delle spese strategiche dal deficit. Giorgetti contro FI sulla proroga delle ristrutturazioni

Politica - di David Romoli

13 Dicembre 2023 alle 13:30

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Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti
Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti

C’era uno scarto vistoso, ieri alla Camera, tra le parole baldanzose di Giorgia Meloni, che rivendicava come al solito gli stratosferici risultati del suo governo e l’espressione tesa, quasi corrucciata della premier.

Nella sua informativa in vista del Consiglio europeo di domani, la presidente ha esordito parlando di quel che nell’agenda del vertice non c’è ma che tutti sanno verrà invece discusso forse più di tutto il resto: il nuovo Patto di Stabilità.

Partita “difficilissima” ma ancora aperta, secondo il capo del governo solo ed esclusivamente in virtù della serietà dimostrata dal suo governo, dai risultati brillanti ottenuti un po’ su tutti i fronti.

Perché allora quel cipiglio? Forse perché il risultato più corposo quasi raggiunto è quella bozza di accordo grazie al quale il rientro dal deficit nella misura dello 0,5% annuo dovrà tener conto, nel triennio 2025-27, degli interessi sul debito maturati per le spese strategiche, cioè verde, digitale e difesa: “È un riconoscimento importante non solo perché ci consentirà di alleggerire l’impatto della riduzione del deficit sulle prossime manovre ma anche come riconoscimento di principio”.

Il lato oscuro della faccenda è che prima di tutto quella bozza di accordo deve fare i conti con l’opposizione di 7 Paesi frugali, anche se è invece stata accolta dalla Germania, ma soprattutto che è poca cosa rispetto alla richiesta italiana, che quelle spese strategiche voleva scorporarle automaticamente dal deficit.

Se l’accordo arriverà la premier canterà vittoria ma sarà un riconsolarsi con un risultato minore anche se indubbiamente utile, contrabbandato come essenziale. Poi c’è lo stato della maggioranza alle prese con la legge di bilancio.

L’obiettivo della premier era arrivare a mèta in tempi record, prima del 15 dicembre. Non solo per potersi vantare di un’efficienza senza precedenti, argomento che avrebbe poi potuto spendersi nella campagna elettorale per il referendum costituzionale, ma soprattutto per presentarsi nella forma migliore all’ultimo tratto della “difficilissima trattativa” sul Patto. Niente da fare.

Le bizze della maggioranza hanno bloccato il treno trasformandolo in un accelerato. L’approvazione della legge arriverà, il rischio di esercizio provvisorio è inesistente ma anche più all’ultimo minuto del solito, tra Natale e Capodanno.

La cosa peggiore è che l’ostacolo principale sulle rotaie è, ancora una volta il Superbonus. Forza Italia ha proposto di prorogarlo sino ad aprile per i lavori arrivati almeno al 60% del completamento entro quest’anno. Il ministero di un furibondo Giorgetti ha bloccato la manovra con un comunicato tassativo, che “esclude e smentisce” la proroga. Però Fi non si è fermata.

Il capogruppo Barelli insiste: severissimi con i truffatori però “cittadini onesti e aziende corrette oggi in difficoltà vanno aiutati”. Così è spuntata una mezza mediazione: nessuna proroga ma uno “stato di avanzamento dei lavori” prolungato sino al 10 gennaio che permetterebbe di ottenere lo sconto in fattura pieno, 110% sulla percentuale di lavori portata a termine entro il 31 dicembre di quest’anno.

Il grosso, anzi grossissimo problema, è che proprio il Superbonus è la giustificazione addotta dal governo in Europa per spiegare i guai italiani, la necessità di andare in deficit in questa legge di bilancio, l’ipoteca che grava sulla prossima. La stessa Meloni, tra la rivendicazione di un successo e l’altra, ieri, ha dovuto aprire un fosca parentesi: “A parte il Superbonus che grava come un macigno sui conti pubblici”.

Anche solo parlare di prorogare la piaga oppure cercare espedienti per accontentare almeno in parte Fi significa mettere il dito nell’occhio dei falchi del rigore, nel momento peggiore.

Infine c’è l’Ucraina. Meloni ne ha parlato a lungo. L’Italia sosterrà l’ingresso accelerato di Kiev ma anche della Moldavia nell’Unione. La premier rivendica tutta la linea sin qui seguita. A quanti parlano di una Ucraina in difficoltà e che criticano da sempre l’invio delle armi risponde a muso duro che se l’Ucraina non è tutta in mano russa è merito dell’eroismo degli ucraini ma anche degli aiuti occidentali.

Ma per la prima volta parla sì di “pace giusta”, però senza specifiche sull’integrità territoriale dell’Ucraina ed è una omissione più che significativa.

La premier sa che quella partita è vicina a essere persa e teme che qualcuno possa in futuro rinfacciarle il non aver sostenuto da prima la via diplomatica invece di cercare, forse più di qualsiasi altro Paese nella Ue occidentale, la vittoria militare.

Per sua fortuna quell’eventuale appunto non le potrà essere mosso dal Pd. Sulla guerra i due principali partiti della destra e della sinistra la pensavano esattamente allo stesso modo.

13 Dicembre 2023

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