La Conferenza Onu
Cop28 Dubai, cos’è e quali sono i risultati raggiunti dalla Conferenza delle Parti dell’Onu
Tutt’altro che storico l’accordo sui combustibili fossili. Centrale il tema dell’impatto di agricoltura e allevamento sulle emissioni: i paesi del nord ne procurano di più, quelli del sud ne fanno più le spese. La Cop avrebbe dovuto regolare, riequilibrare la produzione mondiale. Non è materia da far gestire a multinazionali e lobbisti
Ambiente - di Stefano Vaccari
La conferenza Onu sui cambiamenti climatici (COP28) si sta concludendo e sul rush finale si è raggiunto un accordo sulla fuoriuscita dall’era dei combustibili fossili. Non certo un accordo storico come si sta tentando di definirlo ma solo un compromesso al ribasso che prevede l’uscita graduale al 2050 per l’utilizzo del petrolio e dei suoi derivati.
Ha ragione il segretario generale dell’Onu Guterres che commentando l’esito del vertice ha ammonito i Paesi presenti sul fatto che il mondo non può permettersi ritardi o mezze misure su queste scelte.
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Il quadro è piuttosto desolante, ma del resto non ci si poteva aspettare nulla di diverso quando il Presidente della COP28 stessa è uno dei principali sostenitori e azionisti dell’industria petrolifera araba, e “negazionista climatico” convinto.
Il 10 dicembre è stata la giornata dedicata ai sistemi alimentari, all’agricoltura e all’acqua, elementi centrali per le politiche di mitigazione ma anche per quelle per l’adattamento. L’agricoltura e i vari usi del suolo come quelli del pascolo e la silvicultura contribuiscono infatti per quasi un quarto delle emissioni globali di gas serra. E sono anche settori fortemente impattati dal cambiamento climatico. Al tempo stesso però boschi, foreste e terreni contribuiscono per il 10% alla “cattura” del carbonio dell’atmosfera.
È dunque ovvio che un settore come l’agricoltura sia centrale non solo per le emissioni delle industrie agricole ma anche per il settore zootecnico. Agricoltura e allevamento nel nord del mondo sono stati gli strumenti nell’immediato dopoguerra per sfamare milioni di persone con pratiche e metodi intensivi che consumavano molta energia e impiegavano una gran quantità di risorse naturali.
Il cambiamento in atto negli ultimi 30 anni ha consentito di far fare un salto di qualità nella produzione agricola e zootecnica, rendendola maggiormente sostenibile e meno impattante sull’ambiente e le risorse naturali, protagonista in positivo della transizione ecologica ed energetica in atto.
Il tema degli impatti dell’agricoltura e dell’allevamento sull’insieme delle emissioni climalteranti è stato ovviamente al centro della COP di Dubai, e le presenze dei lobbisti nelle delegazioni nazionali, provenienti da alcune delle più grandi aziende agroalimentari del mondo, quasi il triplo del numero registrato alla Cop 27, testimoniano l’attenzione a questo ambito, così come le contraddizioni che porta con sé.
In agricoltura, come per altri settori produttivi sono i Paesi del nord del mondo a procurare le emissioni e dunque i danni che portano i cambiamenti climatici e quelli del sud del mondo a pagarne le maggiori conseguenze. Si stima in 8 miliardi il danno. E a poco serviranno le briciole stanziate nel Fondo di Solidarietà per i Paesi terzi, già previsto fin dalla COP21 di Parigi ma mai finanziato adeguatamente, per consentire di accompagnarli nel processo di sviluppo sostenibile diverso da quello dei Paesi sviluppati.
Di contro, in continenti come l’Africa la produzione agricola laddove esistente è già sostenibile per l’80 per cento. Produzione di CO2, metano e ossido di azoto, deforestazione, uso dei pesticidi, accesso alla maggior quantità di proteine animali sono gli effetti sul territorio dei sistemi agricoli non avanzati, mentre nei Paesi in via di sviluppo la popolazione non ha accesso ad abbastanza proteine. Il tema centrale della COP28 doveva essere quindi il riequilibrio tra nord e sud del mondo, la COP doveva servire a questo.
Fino ad ora, tuttavia, l’Onu non si è misurata col problema fino in fondo indicando in dettaglio come il mondo potrà soddisfare i bisogni nutrizionali di una popolazione mondiale in crescita, che si prevede raggiungerà i 10 miliardi entro il 2050, e ridurre nello stesso tempo i gas serra globali e quindi la temperatura del pianeta.
La COP28 doveva riequilibrare e regolare la produzione mondiale, confrontando bisogni ed esigenze diverse tra le parti del mondo e non fare piccole operazioni di greenwashing per lavarsi la coscienza.
Se come ha detto il sultano AL Jaber “il fallimento non è un’opzione”, ciò che riguarda l’agricoltura e la produzione e distribuzione di cibo non può essere un tema gestito dalle multinazionali e dai lobbisti del settore.
Ci vuole la politica e anche il nostro Governo su questo doveva e deve essere più chiaro e incisivo. Non si può più aspettare, parliamo di presente e soprattutto di futuro di un settore strategico per la nostra economia che cuba 220 miliardi, parliamo del mondo e parliamo di noi.
Perché se c’è una cosa chiara e lampante è che i problemi e le soluzioni sono glocali, globali e locali insieme. Se non si risolve nulla a livello globale, le conseguenze le vedranno i contadini e gli allevatori emiliani, padani, toscani. E questo dovrebbe importare a Lollobrigida, a Meloni e a ciascuna e ciascuno di noi.
*Capogruppo Pd in commissione Agricoltura alla Camera