La guerra a Gaza
“Israele vuol cancellare la Palestina dal mappamondo”, intervista a Silvia Stilli
«Non è più tempo per le mezze parole, questo è un genocidio come conseguenza di una punizione collettiva. La Corte dell’Aja deve giudicare i crimini di guerra di Israele e di Hamas e l’Onu gestire le trattative per la pace»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Il genocidio in atto a Gaza. La denuncia e la mobilitazione del mondo solidale. La parola a Silvia Stilli, Presidente dell’Associazione delle Organizzazioni Italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (AOI), che rappresenta più di 500 organizzazioni non governative, interne e internazionali.
Gaza, due mesi dopo. Qual è, vista dall’osservatorio delle Ong impegnate in quella devastata prigione a cielo aperto, la definizione che meglio calza a ciò che sta avvenendo?
Genocidio come conseguenza di una punizione collettiva. Non è più il tempo delle ‘mezze parole’. Come organizzazioni umanitarie, insieme ai movimenti sociali e sindacali, unitariamente, chiediamo a gran voce l’impegno internazionale per far cessare il fuoco, da entrambe le parti; pretendiamo che insieme alla liberazione degli ostaggi ancora in mano ad Hamas, si proceda al rilascio immediato dei civili, anche tanti minorenni, in Cisgiordania, che sono stati arrestati senza giusta causa per aver manifestato contro l’occupazione per terra e i bombardamenti delle forze militari israeliane sulla Striscia di Gaza e per le violenze dei coloni. I valichi per gli aiuti umanitari devono essere aperti, il diritto umanitario internazionale lo pretende dalla forza militare occupante, quella israeliana. Non c’è acqua, non si trova il cibo e mancano i beni essenziali, pochissima l’energia elettrica, i neonati muoiono negli ospedali, le donne gravide per parti di emergenza rischiano l’infezione, non si può più operare, laddove si riesce lo si fa senza anestesia. Un orrore che scivola sulle nostre spalle. Come si può definire il continuo aumento di morti, dispersi e feriti nella Striscia, e anche in Cisgiordania se pure ovviamente con numeri molto più bassi? Genocidio. Dove sta scritto nelle misure a salvaguardia della legalità internazionale che la popolazione civile deve pagare per un attacco di un gruppo terroristico? I governi che giustificano la reazione israeliana e quelli che timidamente chiedono a Netanyahu di ridurre gli attacchi stanno attentando all’esistenza delle Nazioni Unite: smentiscono convintamente la posizione del Segretario Generale Guterres, portavoce di un immediato cessate il fuoco, che denuncia, dando voce alle organizzazioni umanitarie del sistema ONU e le Ong, la strage di persone innocenti, tra cui tantissime bambine e bambini. I numeri sono impressionanti: più di 20.000 le persone palestinesi uccise o disperse, quasi 10.000 minori, 1.900.000 sfollate e ammassate nelle scuole UNRWA e negli ospedali e negli edifici pubblici ancora ‘in piedi’ in un terzo del territorio della Striscia, 131 tra ospedali e unità sanitarie distrutti, 462 operatori umanitari uccisi dai raid. Si aggiungono i quasi 700 morti dal 7 ottobre in Cisgiordania, tra cui 60 bambini. Solo ieri altri 200 morti in un raid. Nessuno dimentica i 1.288 israeliani assassinati nell’attacco terroristico voluto da Hamas, di cui 33 minori. Né le violenze di quel giorno terribile. Ma nessuna di noi organizzazioni umanitarie e sociali che hanno ripetuto l’appello per la Pace Giusta in Palestina e la richiesta di far cessare il fuoco ad Assisi domenica scorsa, beh, nessuna può comprendere la reazione militare del governo di Netanyahu attore di un genocidio.
Delle tante testimonianze raccolte, quali l’hanno colpita di più?
Non riesco a scegliere la più grave e dolorosa testimonianza che ho ascoltato: ogni giorno, ogni ora, le colleghe e i colleghi delle Ong attive nella Striscia e in Cisgiordania condividono le storie di amiche e amici e affetti perduti, di famiglie cancellate, di giovani che hanno continuato in questi anni di apartheid a Gaza a sperare in un futuro possibile. In verità è a queste giovani vite di bambine e bambini, adolescenti, studenti, sportivi, artisti, volontari che penso di più, da madre e donna adulta, con dolore e rabbia, tantissima rabbia. Senso di impotenza e anche inutilità per quello che ho scelto di fare: aiutare chi sta nell’emergenza e subisce la violenza di una vita di guerra e stenti, chi è ai margini sempre in ogni luogo del mondo. Scaccio questi pensieri cercando di essere utile nel diffondere la verità, nei social, nelle occasioni che anche il mio ruolo di rappresentanza mi permette. E nel raccogliere fondi per gli aiuti che le ong di AOI stanno riuscendo a far arrivare a Gaza, come un miracolo laico.
Chi denuncia la barbarie delle punizioni collettive, lo sfollamento forzato di popolazione civile, viene accusato di essere “filo-Hamas” se non addirittura anti semita. È il pensiero mainstream veicolato da gran parte dei media italiani. Non le fa paura?
Sono abituata, siamo abituati anzi, a essere attaccati per l’azione solidale e umanitaria, la nostra mission, da media e politica: taxi del mare, collusi con i trafficanti di vite umane, falsi buonisti, adesso anche finanziatori antisemiti di terroristi mediorientali. Che dire? Nostro compito è far sentire forte la condanna di ogni forma di propaganda razzista, in questo specifico caso l’antisemitismo e l’islamofobia. Chiediamo che la Corte Internazionale giudichi i crimini di Israele e di Hamas, che quello sia il luogo deputato alla giustizia. Che sia l’ONU a gestire le trattative per la Pace. Paura? No, rabbia, preoccupazione, non paura: tenacia nell’andare avanti sulla strada della verità e nell’aiuto umanitario, questa la nostra risposta.
Il mondo solidale di cui AOI è parte attiva insiste nel chiedere un cessate il fuoco prolungato. Israele, col sostegno Usa, lo rifiuta. Quella in atto è una guerra ad Hamas o ai palestinesi?
È un attacco con la prospettiva della soluzione definitiva da parte di Israele per cancellare la Palestina dal mappamondo. D’altronde, ahimè, cosa resta oggi, a così tanti decenni dall’inizio dell’occupazione, di quelle terre abitate da un popolo in maggioranza profugo e deportato in tutto il Medio Oriente e non solo? Ai palestinesi adesso si sta tentando di togliere il diritto ad essere un popolo con una storia e una cultura. Lo si spinge allo stato di disperazione di chi non ha futuro. Questo lo sappiamo è il terreno fertile per integralismo e terrorismo.
Cosa si sente di chiedere al Governo italiano?
La scelta dell’Italia di astenersi all’Assemblea generale dell’Onu sulla risoluzione che chiede il cessate il fuoco non induce all’ottimismo. Ma noi non ci arrendiamo. Un appello articolato da ormai due mesi viene reiteratamente presentato in iniziative pubbliche, audizioni parlamentari e manifestazioni dal mondo dell’umanitario e chi lo sostiene, che sintetizzo con una frase: l’Italia torni ad avere un ruolo nella diplomazia internazionale per la Pace in Palestina e in Medio Oriente, pretendendo giustizia e verità, pari dignità per i due popoli, cominciando dall’appello unitario e forte per far cessare il fuoco e le violenze tutte, affiancando a queste azioni l’impegno per sostenere con le risorse della cooperazione allo sviluppo le Ong italiane e le organizzazioni umanitarie internazionali attive nella Striscia e in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, che adesso vedono le loro attività bloccate, rafforzando la richiesta della società civile dell’apertura di tutti i valichi per garantire l’entrata degli aiuti e del personale sanitario. Intanto, però, nell’attesa di speranza per una risposta fattiva alle nostre richieste, noi organizzazioni umanitarie di AOI e tutto il mondo della Rete nazionale abbiamo lanciato una raccolta fondi con risposte straordinarie da parte della gente: arrivano bonifici o donazioni attraverso il sistema social che va da 14,34 a 2000-3000 euro a volta. Ogni giorno. L’ARCI ha generosamente deciso di dedicare la sua campagna natalizia di panettoni solidali a questa iniziativa. Si organizzano cene, dibattiti, momenti per sostenere la raccolta. E stiamo riuscendo a inviare fondi direttamente o nell’acquisto di beni in Egitto, facendoli passare comunque. Arrivano fotografie, video, immagini di cibo, beni di prima necessità, acqua, giochi per bambine e bambini che devono poter distrarsi dal terrore di morire da un momento all’altro. Ma adesso c’è un’altra sfida che lanciamo: avere quanto prima le risorse per riempire di questi aiuti un container al valico di Rafah in Egitto e se possibile accompagnarlo nella Striscia o comunque essere lì con una Carovana di Pace a vederlo partire. Aiutateci. È solidarietà e azione politica insieme.
Dalla tragedia di Gaza a quella dei migranti. Il governo ha deciso di tagliare i fondi per i bambini migranti.
Decreti su decreti, un rincorrersi di delibere volte dal Governo ad affrontare il tema delle fughe di disperati dalla povertà e dai conflitti e le guerre respingendoli verso le violenze e la morte. Tagli all’accoglienza mettendo in difficoltà gli amministratori locali che non riescono a gestirla, decisione di ospitare i sedicenni nelle strutture sovraffollate dagli adulti.
Adesso l’orrore finale: i minori stranieri non accompagnati senza sostegno. Sono tantissimi quelli che arrivano in solitudine e senza più legami, quelli cui le famiglie disperate hanno cercato di far raggiungere la salvezza. Quanta violenza hanno subito nei viaggi, quanta ne vedono nella promiscuità dei centri. In Italia la mancanza di personale nelle sedi dei Tribunali per i minori blocca affidi e adozioni. Non si può accettare, occorre sostenere le organizzazioni e reti che si stanno mobilitando in queste ore. Lo faremo come AOI. Un Natale di dolore e rabbia.