La retorica bellicista
La guerra ci è costata 100mila morti, la pace si poteva fare 2 anni fa
Quasi due anni fa scrivemmo tra polemiche furibonde che Kiev avrebbe dovuto evitare lo scontro con Mosca, pena un inutile sacrificio di vite umane...
Esteri - di Alberto Cisterna
La frase è fin troppo abusata è vero. Ma come non richiamare alla mente in questi mesi di fuoco e di sangue il pensiero del generale Carl von Clausewitz che, nel 1808, scriveva negli appunti di quello che sarebbe diventato un testo celebre: «La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi».
Una visione laica, sferzante, lucida che priva la guerra di ogni mistica e di qualsivoglia giustificazione per renderne chiara per sempre la funzione strumentale, servente, drammaticamente utilitaristica.
L’Occidente è, a suo modo e con diversi gradienti di impegno, esposto sul fronte ucraino e su quello della Striscia di Gaza dove due guerre, appunto, si stanno ferocemente combattendo da mesi senza che sia in alcun modo chiaro, e neppure delineato per sommi capi, quale sia lo scenario politico in cui i corpi si accatastano a migliaia e le distruzioni sono immani. Manca una visione d’insieme, una prospettiva e non tra i contendenti, si badi bene, ma tra le società occidentali che sostengono Kiev contro la Russia e solidarizzano con Israele nella lotta contro Hamas.
Sulle colonne di questo giornale, quasi due anni or sono, tra i primi si sostenne che l’Ucraina avrebbe dovuto evitare a ogni costo lo scontro con la Russia – militarmente, economicamente e demograficamente, molto più forte del paese invaso – e che di fronte alle prove acquisite dai satelliti e dell’intelligence americana, che mostravano chiaramente che l’invasione russa era pronta, la sfida della pace doveva essere rilanciata con forza, negoziando a oltranza, cercando un punto di intesa con Mosca sulla questione dei territori, dichiarando che non si era disposti a morire in quelle condizioni.
Si è arrivati alla guerra, con centinaia di migliaia di morti, con distruzioni di intere città, industrie, infrastrutture mostrando assoluta insipienza e qualche colpevole furbizia. La Nato intendeva mostrare i muscoli alla Russia e per farlo ha ritenuto comodo adoperare come campo di battaglia la martoriata Ucraina che, per sua parte, è caduta nell’illusione che l’Occidente le avrebbe prestato un sostegno illimitato, avrebbe fornito armi per sempre, avrebbe dissipato denaro che ora scarseggia.
In parte Zelensky ha cinicamente accettato – in nome certo della necessità di difendersi da un’aggressione ingiustificata e criminale – di combattere una guerra per procura ergendosi a baluardo di un Occidente che, invero, ha sempre guardato al suo paese con sufficienza e con un pizzico di diffidenza.
Le ultime ore mostrano un presidente ucraino alla disperata ricerca di armi in Usa e nelle cancellerie e, si badi bene, non per vincere, ma per “non perdere” la guerra e potersi presentare in modo dignitoso all’inevitabile tavolo delle trattative con Mosca.
Perché, sia chiaro, dopo due anni circa di barbarie e di sangue innocente per le strade, l’orologio della storia è tornato indietro e ha puntato le lancette nuovamente sul 24 febbraio 2022 quando tutto è iniziato. Oggi, come allora, una tregua e una pace sono l’unica via d’uscita dignitosa che Occidente e Russia possono darsi per non compromettere ancora di più le proprie relazioni, la stabilità in Europa e non solo.
I tanti, troppi signori della guerra che in questi mesi hanno inneggiato baldanzosi alla lotta di liberazione ucraina e alla difesa della civiltà occidentale dalla barbarie post-sovietica ora devono constatare che Ungheria e Austria non vogliono Kiev nell’Unione europea, che la Nato non può accogliere l’Ucraina se non a costo di uno scontro frontale con Mosca, che la maggioranza del Senato americano vacilla ed è riottosa a nuovi aiuti, che gli alleati europei non hanno le risorse e la voglia per continuare a sostenere uno scontro senza alcuna via d’uscita militare.
Se manca una politica, manca una guerra come diceva von Clausewitz e resta solo la barbarie delle vite mietute, dei bombardamenti, delle trincee. Ecco la fuga dei sostenitori di Kiev da un dibattito pubblico serio e concreto sulle prospettive della guerra delegittima ogni presa di posizione, smaschera ogni ipocrisia, riduce le declamazioni oratorie (un tempo quasi unanimi) di questi tempi a vuota retorica e mera propaganda.
A sprazzi galleggiano brandelli di ammissioni, tattiche retromarce, circonlocuzioni arzigogolate, ma di fatto tutti percepiscono lo stallo, l’insuperabile “patta” nella partita feroce dello scontro tra russi e ucraini e nessuno pronuncia ad alta voce l’ipotesi di una tregua e di una trattativa. Certo le cancellerie sono all’opera alacremente e la pubblica opinione, ignara, resta impigliata in immagini e retoriche in cui nessuno crede davvero più.