Il Patto di stabilità non è all’odg nel Consiglio europeo in corso a Bruxelles, però campeggia sullo sfondo e inevitabilmente è almeno in parte di quello che i leader discutono a margine del vertice vero e proprio.
Il quale, peraltro, presenta di per sé ostacoli difficilmente sormontabili e riflette un clima che non autorizza grande ottimismo, almeno dal punto di vista dell’Italia, per la stretta finale sulle nuove regole di bilancio, quando nei prossimi giorni i ministri delle Finanze proveranno a chiudere l’accordo.
La questione è stata al centro della lunga chiacchierata a tavola, mercoledì sera, prima tra i commensali Macron e Meloni, poi anche con Scholz. Sulla decisione di concedere flessibilità sul deficit per il triennio 2024-2027, in particolare sugli interessi per i debiti legati agli investimenti strategici, almeno fra i 4 grandi Paesi c’è accordo, anche se restano da convincere 7 Paesi frugali che puntano i piedi.
Il problema è che quella flessibilità a tempo determinato non basta alla Francia e soprattutto all’Italia. Chiedono che sia resa permanente, col che si andrebbe almeno vicino alla richiesta iniziale dell’Italia che voleva lo scorporo dal deficit proprio di quelle spese. Ma il tentativo di convincere il cancelliere tedesco è andato a vuoto.
Oltre quel triennio Scholz non vuole andare e forse non può, perché se lo facesse entrerebbe in rotta di collisione col suo ministro delle Finanze, il liberale Lindner. Lo stesso Lindner, a sua volta, ha margini di manovra limitati: non solo perché è un falco rigorista di suo ma anche perché il cedimento rischierebbe di dare il colpo di grazia al suo partito, già quasi esanime, a ulteriore vantaggio dei sovranisti in odore di neonazismo dell’Afd. Conclusione: nulla di fatto.
Non che nel vertice propriamente detto le cose vadano molto meglio. Sul tavolo ci sono due nodi altrettanto intricati: l’allargamento dell’Unione e la modifica del bilancio europeo. Su quest’ultimo capitolo i rigoristi hanno ottenuto moltissimo però non si accontentano.
La proposta della Commissione prevedeva nuovi fondi per 66 miliardi, da usare per gli aiuti all’Ucraina, ma anche per l’immigrazione, con 12,5 miliardi, in particolare per il contrasto a quella illegale, e per gli aiuti alle aziende, che avrebbe dovuto disporre di altri 10 miliardi. I Paesi del nord hanno fatto muro.
Il presidente Michel si è presentato al Consiglio con una proposta ridimensionata di due terzi: 22 miliardi circa, di cui 8,5 miliardi per l’immigrazione e 1,5 per le aziende, ma solo quelle legate alla Difesa. Per l’Italia, nonostante la mazzata sul taglio ai fondi per le industrie, potrebbe andare bene comunque, anche perché in campo c’è l’ipotesi di aggiungere un altro miliardo al “fresh money” per l’immigrazione.
Ma il muro frugale entra subito in azione: fondi freschi solo per l’Ucraina, 17 miliardi più 33 a debito. Per il resto non se ne parla. La discussione appena iniziata si arena e la parola passa a tecnici e sherpa, che cercano di quadrare il cerchio. Si arriva così subito al nodo dell’allargamento e lì sembra peggio che andare di notte.
Orbàn si oppone all’ingresso dell’Unione. Zelensky, in videconferenza, è appassionato, chiede di “non tradire i cittadini e la loro fiducia nell’Europa”, esorta a “non fare questo regalo a Putin”. Orbàn non si smuove. La pattuglia di testa lo convoca, ci sono la presidente della Commissione von der Leyen e quello del Consiglio Michel, affiancati dai due principali capi di governo, Scholz e Macron.
I toni si alzano, la discussione, parole di Michel, diventa “molto tesa”. L’ungherese non si piega e chiarisce che non gli sono bastati i 10 miliardi per i Fondi di coesione sbloccati nei giorni scorsi dall’Unione, che li aveva bloccati per le note mancanze in materia di Stato di diritto in Ungheria.
Ci sono ancora congelati i fondi del Pnrr, 21 miliardo, più altri 6 distribuiti in fondi vari e l’ungherese non rinuncia alla rappresaglia. Dopo il quartetto ci prova anche la premier italiana, che a differenza degli altri è sua amica: niente da fare. Pignolo, Orbàn argomenta che “l’allargamento è basato sul merito e delle 7 precondizioni necessarie ce ne sono 3 che l’Ucraina non ha assolto”. Stallo.
Ma l’Unione decide di andare avanti lo stesso a 26, avvia i negoziati per l’adesione di Ucraina e Moldavia, e, su pressione dell’Italia si dichiara pronta a fare lo stesso con la Serbia se le condizionalità saranno rispettate. Zelensky esulta: “Una vittoria per tutta l’Europa”.
Orbàn prova a revocare in dubbio anche i 17 miliardi di fresh money per l’Ucraina: impossibile fino alle prossime elezioni e alla nomina della nuova Commissione.
Se l’Unione vuole supportare l’Ucraina deve creare un fondo ad hoc, finanziato dagli Stati ed extrabilancio. Una via d’uscita per non lasciare l’Ucraina a secco nel momento più difficile si troverà ma lo stato dell’Unione è quello immortalato dall’istantanea dello scontro sul bilancio.