Nulla di fatto per la premier
Stabilità, Meloni esulta ma Giorgetti la gela: “Poche chance di trovare un’intesa”
Meloni si dice fiduciosa che al prossimo summit si raggiungerà un accordo sui migranti, ma il ministro la gela su ciò che conta di più, il deficit: “Poche chance di trovare un’intesa”
Politica - di David Romoli
Da un Consiglio europeo fra i più tesi di sempre non è uscito fuori quasi nulla di concreto: passi avanti su qualche fronte ma quanto a soluzioni definitive tutto è nel limbo.
Lo sfogo di Giancarlo Giorgetti da Roma, pur se non riferito alla circostanza specifica le si adatta comunque come un guanto: “L’Europa è incapace di prendere decisioni in modo tempestivo e strategico. Conoscete le assemblee di condominio: quella è l’immagine dell’Europa”.
Per la premier italiana, però, il difficile passaggio è stato sostanzialmente positivo sul piano della politica: ne è uscita bene. Molto meno su quello dei risultati concreti: per ora non porta a casa niente.
Ma soprattutto diventa ancor più difficile la vera partita che si sta giocando in Europa, quella del Patto di Stabilità. “Le posizioni sono ancora abbastanza distanti. Bisogna lavorarci ora per ora”. Giorgetti, da Roma, è anche più cupo: “Le possibilità di un accordo la settimana prossima sono scarse”.
L’assemblea del condominio di Bruxelles ha registrato un sostanziale ma non definitivo passo avanti sulla strada dell’allargamento dell’Unione all’Ucraina, alla Moldavia e in prospettiva a breve anche alla Serbia. Orbàn alla fine si è arreso, non si è presentato al momento del voto permettendo un’unanimità a 26 se non a 27.
La mediazione di Meloni è stata importante se non decisiva, l’ingresso nel gruppo dei Conservatori è parte della ricompensa incassata dall’ungherese che però non intende accontentarsi. Per evitare il veto a percorso terminato, cioè nel momento più decisivo, vuole che si sblocchino i 22 miliardi del Pnrr congelati in attesa che a Budapest venga ripristinato lo stato di diritto.
In compenso Orbàn ha bloccato l’incremento del bilancio europeo e così facendo ha privato, per ora, l’amica italiana di un risultato vincente, dal momento che alla fine sarebbero stati stanziati quasi 10 miliardi per l’immigrazione, cioè per la lotta contro l’immigrazione. Lei canta vittoria lo stesso: “Sono molto soddisfatta e fiduciosa nel fatto che il bilancio si sblocchi nel prossimo Consiglio”.
Ma per ora, in soldoni sonanti, è un nulla di fatto. Sul Medio Oriente, poi, i condomini hanno capito che l’unica per evitare risse e spaccature era riproporre pare pare le conclusioni dell’ultimo Consiglio. “Se le avessimo rinnovate alcune divergenze avrebbero creato una situazione difficile”, spiega la premier italiana e per una volta la sua è una prodezza in termini di understatement.
Ma per quanto importanti fossero le questioni sul tavolo del Consiglio, i capi di governo avevano in mente una questione ancora più decisiva, la riforma del patto di stabilità. Le cose lì non vanno bene e lo si capisce sia dal pessimismo di Giorgetti che dalle dichiarazioni esplicite, pur se per una volta molto caute e diplomatiche della premier.
Non è questione di questa o quella richiesta italiana, assicura: “È un equilibrio, ci sono almeno 3 punti ancora in discussione e creano un equilibrio diverso”. Su quei tre punti l’intesa tra Italia e Francia è solida, la convergenza piena, ma la resistenza dei Paesi frugali e soprattutto della Germania è strenua.
Il rischio che alla fine l’Italia metta il veto e obblighi gli altri 26 Paesi a rinviare la riforma delle regole di Maastricht è reale, anche perché alcuni di quei 26 Paesi non la prenderebbero affatto male, dietro le formule di rito.
Quanto sia alto il rischio lo si capisce proprio dal fatto che Meloni evita di citarlo apertamente: “Non voglio metterla così. Non aiuterebbe a trovare una sintesi”.
Poi però proprio così la mette: “La sola cosa che non posso fare è dare il mio ok a regole che non io ma nessun governo italiano potrebbe rispettare. Non sarebbe utile. Noi non chiediamo di cambiare il patto per buttare soldi dalla finestra ma per poter fare quel che sia noi che l’Europa intendiamo fare”.
Insomma, senza una situazione che permetta di investire “senza essere per questo colpiti” la firma italiana potrebbe essere negata davvero. “Metteremo la firma solo se ci sono gli interessi nazionali”, duetta il burbero Giorgetti.
Il passaggio è stretto e, comunque vada a finire il braccio di ferro con i rigoristi, pericoloso, per l’Italia in generale e per il governo in particolare.
La giostra della manovra, che doveva essere approvata entro il 15 dicembre e arriverà in aula solo il 20 per poi essere approvata praticamente a scatola chiusa dal Parlamento diventerebbe vorticosa con un patto scorsoio intorno al collo.
Elly Schlein ci spera e per la prima volta azzarda un affondo: “Questo governo è un disastro. Non arriverà al 2027. Teniamoci pronti”. È probabile che pecchi di eccessivo ottimismo ma è già qualcosa che per una volta non si sia limitata agli slogan.