Il dibattito su salario minimo
Intervista a Enrico Morando: “Salario o profitti? Il conflitto che la sinistra deve guidare subito”
"L’attenzione delle forze sindacali e politiche deve concentrarsi sulla contrattazione. Bisogna lavorare subito ad una legge sulla rappresentanza. Il Pd? Sono esterrefatto per la liquidazione delle primarie...»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
La lotta di classe declinata in chiave riformista. Una sfida culturale, oltreché politica. L’Unità ne discute con Enrico Morando, leader dell’area liberal del Partito Democratico, tra i fondatori dell’associazione di cultura politica Libertà Eguale, già vice ministro dell’Economia e delle Finanze nei governi Renzi e Gentiloni.
“Scontro sul salario: la lotta di classe è il motore della politica”. Questo è il titolo che l’Unità ha dato a un impegnato articolo di Paolo Franchi, che ha aperto un dibattito ricco e plurale. Da riformista dichiarato, lei come la vede?
Io vedo che, purtroppo, non si è aperto alcuno “scontro“ sui salari. Mi spiego: il forte aumento della domanda dopo la pandemia -frutto anche di politiche monetarie ultra espansive- ha consentito a gran parte delle imprese di trasferire sui prezzi dei prodotti il grande aumento dei costi dei beni energetici. A sua volta, ciò ha provocato una forte riduzione dei salari reali, parallela alla altrettanto forte crescita dei profitti (naturalmente, sto parlando di un fenomeno macroeconomico: non sto dicendo che tutte le imprese abbiano potuto aumentare i loro margini). Per una situazione di questo tipo, c’è un solo rimedio: una intensa stagione di conflitto tra imprenditori e lavoratori, che riequilibri il rapporto a vantaggio di questi ultimi. In sostanza: nei prossimi due anni, i salari devono crescere, e i profitti devono scendere.
Come fare, per ottenere questo riequilibrio tra salari e profitti?
Se è vero che i salari faticano a tenere dietro all’aumento dei prezzi (e anche all’incremento di produttività prodotto dai lavoratori che li percepiscono) a causa dei tempi lunghi e dei limiti dell’attuale contrattazione, è sulle caratteristiche di quest’ultima che deve concentrarsi l’attenzione, sia delle forze sindacali, sia delle forze politiche. Poiché il monte salari concorre con il monte profitti alla crescita del Prodotto (è un fatto statistico: il Pil, è la somma di tutti redditi distribuiti per produrlo. Nel 2021, la crescita del Pil è derivata per il 40% dalla componente salari e per il 36% dalla componente profitti. Nel 2022, il rapporto si è invertito: 55% dai profitti e il 42% dai salari), e poiché il Prodotto cresce stabilmente se cresce la produttività (del lavoro e dei fattori), sarà necessario che il più generale conflitto redistributivo si concentri laddove-l’azienda, il gruppo, la filiera, il distretto, lo specifico territorio-il movimento dei lavoratori è in grado di far pesare la sua forza contrattuale e il contributo determinante che essi forniscono all’aumento di produttività. Nel gergo sindacale, questa è la “contrattazione di secondo livello“, l’architrave della nuova stagione di conflitto che va aperta. La sinistra politica deve accompagnare questa iniziativa sociale riprendendo nelle sue mani il tema della democrazia economica, della partecipazione dei lavoratori nell’impresa. Dalle forme più semplici, applicabili anche nelle imprese più piccole-come la partecipazione dei lavoratori agli utili, contrattata anno per anno e fiscalmente agevolata-, fino a quelle più complesse, come la presenza dei lavoratori nella proprietà dell’impresa o-per le imprese molto grandi-nei Consigli di sorveglianza. In questo contesto, la sacrosanta battaglia per una legge sul salario minimo legale prende un maggiore vigore e ha più probabilità di risultare vincente. Perché non isola la componente più debole del mondo del lavoro.
Franchi annota che la vicenda del salario minimo sembra avere riportato nel dibattito la nozione di sfruttati e sfruttatori. Il governo sta con gli sfruttatori. Ma il Pd?
L’iniziativa sul salario minimo per legge è stata positiva. Direi l’unica-assieme alla presentazione del disegno di legge per la ratifica del MES-che ha davvero messo in difficoltà il Governo. In entrambi i casi, il Governo ha risposto scappando (sul MES, letteralmente, assentandosi) dal confronto. Il tema è adesso come dare respiro di medio-lungo periodo a questa battaglia. L’unico modo per farlo sul serio è quello di creare la cornice-contrattazione di secondo livello, democrazia economica-, di cui ho già parlato. Vedo però che il mio PD esita ad intraprendere questa strada, preferendo un gioco di pura rimessa rispetto all’operato del Governo. Peraltro, finendo spesso per sostenere posizioni simili a quelle del Governo stesso: è successo sulla pagliacciata dei cosiddetti “sovraprofitti“ delle banche, finita come non poteva che finire. È successo con le critiche alla BCE: se le politiche monetarie ultra espansive non fossero state ridotte, l’inflazione avrebbe continuato a crescere e lo spazio per un sano conflitto salari versus profitti non avrebbe potuto crearsi. Ora questo spazio c’è. Bisogna occuparlo. Per esempio, lavorando subito ad una legge sulla rappresentanza (sia dal lato delle imprese, sia dal lato dei lavoratori): senza, è difficile o addirittura impossibile esaltare il ruolo della contrattazione di secondo livello e attivare gli istituti della democrazia economica.
Torno sulla questione della lotta di classe. A tal proposito, rimarca ancora Franchi: “La sinistra se l’è scordata. A partire da quando, al Lingotto, nel 2007, si negò che potesse esistere qualunque contrasto tra ‘padroni’ e lavoratori. Se la sinistra non torna a dar voce agli sfruttati, è spacciata”.
Mah…, non mi sembra di ricordare che in quel discorso si negasse l’esistenza di “qualunque contrasto tra padroni e lavoratori“. Ricordo invece numerosi passaggi di quel discorso in cui Veltroni faceva i conti con i pregiudizi fuorvianti del classismo estremista: “non è con gli odi di classe che si sconfigge l’evasione… penso ad un partito democratico che in tema di lotta all’evasione fiscale bandisca dalla sua cultura politica ogni pregiudizio classista, considerando altrettanto esecrabili quell’imprenditore che evade, quel pubblico dipendente che percepisce lo stipendio e non fa quello che dovrebbe e chi offre lavoro nero…“. La domanda mi offre l’opportunità di chiarire un punto, in tema di conflitto tra lavoratori e padroni: certo che bisogna affrontare il tema della riduzione strutturale del cuneo fiscale e contributivo sul costo del lavoro… A proposito, mi conceda una piccola parentesi: nel discorso del Lingotto trovo questa frase: un manager sulle plusvalenze delle sue stock option paga con l’aliquota del 12,5%. Un operaio che versa il suo stipendio in banca, paga sugli interessi un’aliquota del 27%“. Ma, dicevo: bene chiedere di ridurre il cuneo (per i lavoratori a reddito basso è stato fatto, e in modo strutturale, partendo con gli 80 € di Renzi). Ma non possiamo pensare di affrontare la questione salariale mettendo interamente i costi a carico dei contribuenti. Biden è andato davanti ai cancelli delle fabbriche automobilistiche americane non a offrire soldi pubblici, ma solidarietà nella lotta per salari migliori. I “padroni“ debbono metterci del loro, e non con atti unilaterali, ma con la contrattazione (prima e durante la quale, c’è sano e ben regolato conflitto).
Una sinistra che non ha una visione “altra” di politica economica, può essere all’altezza delle sfide del nostro tempo?
Certamente no, a meno che per “altra“ si intenda quella che innerva un sistema totalmente “altro“ rispetto a quello esistente Ma con questa idea i conti li ha fatti Bernstein più di 100 anni fa. Un’autonoma visione sull’economia e la società: di questo la sinistra di governo non può fare a meno.
Modernizzazione e lotta di classe. Accostarli è un ossimoro politico?
Conflitto e al tempo stesso cooperazione tra capitale e lavoro nell’impresa sono due aspetti della stessa medaglia, entrambi indispensabili per la qualità sociale e la crescita economica.
L’anno sta finendo ed è tempo di bilanci. Che bilancio fa del nuovo corso del Partito democratico “targato” Elly Schlein?
In parte ho già risposto, in tema di politica economica. In questi giorni sono letteralmente esterrefatto per la sostanziale liquidazione dell’istituto delle Primarie, addirittura sostituite-per la scelta dei candidati Presidenti delle Regioni-da poco trasparenti trattative romane. Riassumo in proposito ciò che disse, anni fa, Giovanni Bianchi: tutti i partiti veri hanno un “mito originario“, che ha due componenti. Un manifesto-appello e un’avanguardia che lo promuove. Il PD ha scritto il suo manifesto dopo essere nato e l’avanguardia che lo ha fatto nascere è costituita da … 3 milioni di persone che hanno risposto all’appello per le Primarie. Penso avesse ragione e credo che il nostro “mito originario“ dovrebbe restare ben fermo. Volendo, c’è ancora tempo.
Il 2024 è l’anno delle elezioni europee. Qual è la reale posta in gioco?
Si è aperto un durissimo scontro tra autocrazie e democrazie. Le prime-con l’aggressione di Putin, più o meno apertamente appoggiato dalla Cina-puntano ad una vera e propria riscrittura delle regole fondamentali dell’ordine mondiale. Partono dal presupposto che l’Occidente democratico sia debole e abbia perso fiducia in se stesso e pensano di costruire un nuovo ordine caratterizzato dalla loro egemonia.
In questo contesto, l’Europa deve decidere: può restare com’è oggi -una debole confederazione di nazioni-, confidando negli USA per la propria sicurezza e nella Russia per il proprio approvvigionamento energetico. O può decidere di cambiare, mettendosi nelle condizioni di produrre beni comuni effettivamente europei: sicurezza, posizionamento sulla frontiera tecnologica, efficace governo dell’immigrazione, tutela dell’ambiente. La destra -si è visto anche in Italia, con la masochistica conduzione del confronto sulle regole per la governance economica da parte del duo Meloni-Giorgetti- vuole tenersi sulla vecchia strada. Quella che porta all’irrilevanza nel confronto tra democrazie e autocrazie. La sinistra dovrebbe scommettere tutto quello che ha sulla strada alternativa: effettiva capacità fiscale dell’Unione- dopo il grande passo del Next Generation EU-, per politica estera e di difesa, decarbonizzazione, politica industriale effettivamente europee. Collocate in questo contesto, le Europee non verrebbero ridotte ad importante sondaggio sul livello di gradimento del Governo; e nemmeno ad occasione per decidere chi è più forte nell’opposizione.
Il 2023 ci lascia con due tragedie in atto: a Gaza e in Ucraina. Siamo dentro, per usare le parole di Papa Francesco, ad una “terza guerra mondiale a pezzi“?
Il vecchio ordine internazionale è saltato per aria. E sono le autocrazie che l’hanno minato dalle fondamenta, con una grande potenza militare che ha usato l’esercito per realizzare il suo disegno imperiale. È una grande offensiva che usa lo strumento militare, ma pretende anche di riscrivere la storia, per stabilire chi ha diritto di esistere come nazione autonoma e indipendente e chi questo diritto non lo ha. Le democrazie stanno reagendo, e devono attrezzarsi per farlo su tutti i terreni: da quello militare a quello culturale. Il “loro“ obiettivo è scrivere le regole del nuovo mondo, a loro immagine. Il “nostro“ obiettivo deve essere quello di procedere per consenso, evitando il conflitto armato. Ma i nostri “avversari strategici” devono vedere che non siamo disposti a dargliela vinta.