È piena di certezze la scena di quest’ultima strage di migranti. È certo che l’imbarcazione si rovesciava quando da almeno due giorni, e cioè dalla sera del 14 dicembre, si sapeva che era in difficoltà, preda di onde alte tre metri.
È certo che lo sapeva Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, che più volte sorvolava la zona. È certo che lo sapevano le autorità italiane, la Guardia costiera, che infatti diramava dispacci di allerta. È certo che esattamente in quella zona incrociava, poco prima, la nave di una ONG, la Ocean Viking.
È certo che questa è stata costretta ad allontanarsi da quella zona, e dunque a non poter prestare soccorso a quella gente, in omaggio a norme e direttive che imponevano al naviglio umanitario di fare rotta verso Livorno. È certo che questa imposizione si consumava per non gravare i più vicini porti meridionali italiani di un approdo insopportabile, vale a dire la ventina di migranti che la Ocean Viking aveva appena caricato in un’altra operazione di salvataggio.
È certo ancora, dunque, che Frontex e l’Italia non solo hanno lasciato che affogasse una quantità (più di sessanta) di quell’ottantina di disperati, ma inoltre, non attivandosi per prestare i soccorsi che era possibile prestare, hanno lasciato che un rimorchiatore di Gibilterra raccogliesse i superstiti per consegnarli, contro la legge, a un lager tripolino.
È certo che nessuna autorità italiana con potere esecutivo ha ritenuto di rilasciare dichiarazioni in argomento, e cioè né sulla strage, né sulle circostanze di omissione che l’hanno provocata, né sulla illegale deportazione dei superstiti verso un centro di detenzione libico.
Tutte cose certamente più gravi rispetto a quelle che mandavano a processo un ministro – Matteo Salvini – certamente responsabile di politiche discutibilissime, ma davvero incomparabili a queste altre: per le quali, anche questo è certo, nessuno reclamerà processi per nessuno.
E sulla sommità di questa montagna di certezze sta infine quella di sempre, quella irrevocabile, quella posta come un cappello di verità immancabile sull’ennesima vergogna: che erano neri, che erano profughi, e che di questi non frega niente a nessuno né se muoiono né se finiscono in un campo di concentramento.