Toni Negri “cattivo maestro”? Io non credo che tra gli intellettuali esistano “cattivi maestri”: formula tra l’altro deresponsabilizzante. Gli intellettuali sono impegnati a cercare la verità, quella che per loro è la verità, e lo fanno in piena libertà.
In tutto il pensiero di Toni Negri si dispiega una audace e spiazzante libertà di movimento. Questo il felice contagio della sua biografia intellettuale, la principale lezione che dovremmo trattenerne. È stato forse il pensatore marxista più originale di quegli anni, l’interprete più acuto di Marx (in particolare dei Grundrisse, vera Bibbia dell’ operaismo: dagli altri gruppi della nuova sinistra non è venuto fuori niente di neanche paragonabile).
Ma qui vorrei accennare più che alla sua “dottrina”, ad uno stile culturale che ha incarnato, che riguarda molti della mia generazione e verso il quale ho maturato negli anni un atteggiamento di amore/odio. Vediamo in che consiste.
Il suo pensiero è in parte uno sforzo di riflessione inesausto, legato alla esperienza delle lotte sociali degli anni ruggenti (ne ha fatto un ritratto fedele in queste pagine David Romoli), capace di confrontarsi con i classici della filosofia politica e financo con opere letterarie (la “Ginestra” di Leopardi). Ma dall’altra a me pare una generosa allucinazione – beninteso internamente coerente, e assai ingegnosa entro la quale ha vissuto una intera generazione.
In che senso? Scorriamo le sue pagine. La Rivoluzione, il Comunismo, l’Operaio Sociale, la Moltitudine…, certo concetti altissimi, e anzi aggiungo che, come la “musica popolare” di cui una volta parlò Proust, si sono riempiti del sogno e delle lacrime di donne e uomini. Dunque meritano rispetto. Ma in un altro senso ci appaiono come entità sempre un po’ nebbiose, quasi oniriche, altamente spettacolari, capaci di ipnotizzarci e sedurci.
Nei libri di Negri, come in quelli di Mario Tronti, c’è una teoresi sofisticata, quasi un distillato della speculazione, oltre a una retorica percussiva. Finché li leggi gli dai ragione! Però in essi non si trova uno straccio di analisi concreta della società italiana reale, della struttura delle classi, della mentalità e dell’immaginario, delle sue trasformazioni nel momento della convulsa modernizzazione degli anni ‘60 (insomma della mutazione antropologica che seppe intuire Pasolini).
No, la scena era ridotta all’essenziale: soltanto Operai vs Capitale ( e dopo: Operaio Sociale vs Capitale)! Puro Hegel, ovvero magia del “lavoro del concetto”, involontaria narcosi. E come Hegel ti dà, sadicamente, l’illusione di dominare teoricamente la realtà, almeno per un po’.
Al tempo dei “Quaderni rossi” non a caso Tronti e Negri guardavano con sufficienza alla insistenza dei Rieser e Panzieri, dai quali si staccarono, sull’inchiesta operaia: fare umilmente inchieste, conoscere per davvero la composizione di classe, gli sembrava una perdita di tempo, un esercizio accademico di sociologia.
Si aggiunga che per Negri risultiamo in fondo sempre vincenti, sempre protagonisti della Storia! Sì, gli oppressi sono stati apparentemente sconfitti ma con le loro lotte hanno modellato la forma del capitalismo, etc. Senza saperlo il gioco lo conducono loro. Il che è molto consolatorio e non ci permette di prendere coscienza dei fallimenti.
In una intervista Negri parla di “guerra civile” degli anni ‘70 e dichiara che la famosa manifestazione romana del 12 marzo 1977 è stata un tentativo insurrezionale, con un corteo prevalentemente armato…. Beh quel giorno c’ero, i centomila del corteo – benché induriti dal livello dello scontro – non volevano saperne di lotta armata o di conquista del potere: sognavano una utopia forse impossibile ma – incredibilmente, trattandosi in buona parte di lavoratori precari e sottoccupati – fondamentalmente incruenta.
Vogliamo riconoscere che il famoso “cognitariato”, la intellettualità di massa giustamente celebrata da Negri è direi “naturalmente” non-violenta, poiché privilegia dialogo e sapere? E ahinoi quei centomila sotto una pioggia sferzante subirono, questo sì senza troppa resistenza (dunque colpevolmente), un manipolo di prepotenti assai determinati e senza scrupoli.
Guerra civile in quegli anni? Direi meglio: scontro sociale durissimo, con molti, troppi morti, ma dato che la stragrande maggioranza del “popolo” rimase estranea a quella “insurrezione”, della guerra civile non riesco a vedere le premesse..
Qui vengo allo stile, alla dimensione antropologica, spesso più importante di quella ideologica. Personalmente ero segretamente affascinato da Potop, e poi Autop. Mi affascinavano lo stile signorile, a tratti sprezzante, il respiro temerario del pensiero, e poi la durezza priva di dubbi, la mancanza di sentimentalismo (che era spesso mancanza di umanità e di misura).
Mi hanno aiutato a liberarmene, se ciò possa interessare qualcuno, Nicola Chiaromonte e Camus, Herzen e Paul Goodman, Simone Weil e Hannah Arendt. Pensatori radicali, in cui l’oltranzismo convive con la misura.
In definitiva quella degli anni ‘70 è stata per noi che li abbiamo vissuti una bella favola, piena di amore e di tenebra (per parafrasare Amos Oz, da tutt’altro altro contesto), anzi come si dice oggi una bella narrazione (certamente trascinante, confusamente e nobilmente epica), in cui ci sembrava davvero di incarnare il Bene, la Storia, la Dialettica, etc.(in piccola parte era anche vero), ma poi come ogni favola è svaporata in fretta.
Diventati adulti quasi tutti hanno tentato di accaparrarsi, individualmente, potere e risorse! Il comunismo – da noi vissuto concretamente – è finito con la fine della giovinezza. Di quel periodo mi restano però almeno due cose, oggi irripetibili: il senso di una “comunità” planetaria, che condivideva una idea universale di rivolta libertaria (nel 1971 attraversai l’America con tre amici: tutti ci ospitavano, tutti ci davano un passaggio e si sentivano nostri fratelli: stupefacente!), e poi un clima morale in cui chi era ricco o aveva troppo potere se ne vergognava. Non è poco.
Toni Negri, che negli ultimi anni aveva pur riannodato un legame con l’origine cattolica e contadina (accostandosi a san Francesco, il santo che piaceva a Machiavelli!), lontana dal suo ferrigno marxismo nietzscheano degli anni ‘70, si è certamente impegnato nel dare un robusto supporto teorico a quella idea e pratica di comunità.