Il già parlamentare Pci

Intervista a Giuseppe Vacca: “Ecco come sono stati demoliti i partiti”

«Il passaggio dall’idea di una democrazia dei partiti all’idea di una democrazia dei cittadini è il primo punto di fragilità. Viene liquidata la concezione stessa di una funzione nazionale dei partiti. Vulnus più dirompente per chi veniva dalla storia del Pci»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli - 20 Dicembre 2023

CONDIVIDI

Il professor Giuseppe Vacca
Il professor Giuseppe Vacca

Il conflitto sociale è il sale della democrazia. Ma senza una profonda riflessione sui propri deficit di cultura politica, la sinistra è destinata ad un perenne gioco di rimessa. Abbiamo intervistato Giuseppe Vacca, Professore emerito di Storia delle dottrine politiche all’Università di Bari, già direttore dell’Istituto Gramsci, più volte parlamentare del Pci.

“Scontro sul salario: la lotta di classe è il motore della politica”. Questo è il titolo di un impegnato articolo di Paolo Franchi, che ha aperto sull’Unità un dibattito molto partecipato e plurale che prova a ragionare sui perché della debolezza della sinistra.
Ho apprezzato molto l’articolo di Paolo Franchi. Penso tuttavia che la risposta alla domanda, cioè le particolarità della debolezza relativa della sinistra in Italia – dico relativa perché tuttora se si coalizza è maggioranza – siano più di natura storico-politica e culturale che non di radicamento sociale. Se andiamo al radicamento sociale, allora bisogna andare molto più indietro nel tempo e capire come la sinistra, e in particolare il Pci, hanno vissuto il passaggio dal fordismo alla rivoluzione informatica e quindi al capitalismo digitale e alla cosiddetta globalizzazione, cioè a una nuova fase di mondializzazione del modo di produzione capitalistico. Io credo, però, che le specificità vadano colte sul terreno storico-politico e da questo punto di vista il primo problema è come è avvenuta la costruzione dei soggetti politici della seconda Repubblica, visto il modo in cui era stata liquidata la prima Repubblica da Tangentopoli, per semplificare.

Focus sulla sinistra.
Per quanto riguarda la sinistra, in particolare quella che veniva dal Pci, ricorro ad una considerazione sconsolata del vecchio Natta che diceva: ma come potete pensare di traghettare questa eredità, questo corpo, da un certo modo di stare dentro l’orizzonte europeo specifico del comunismo, l’eurocomunismo, ad una piattaforma direttamente anticomunista. Tenendo ben presente cosa può essere l’anticomunismo in Italia dove il comunismo riformatore è stato soggetto fondante della Repubblica, interlocutore della fase di modernizzazione, negli anni’60, e poi di ricostruzione del Welfare. C’è da interrogarsi anzitutto quale sia il primo punto di fragilità…

Qual è, professor Vacca?
Il paradigma della disintermediazione. Che si manifesta già con la nascita del Pds. Detto con una formula più compiuta, il passaggio dall’idea di una democrazia dei partiti all’idea di una democrazia dei cittadini. La democrazia dei cittadini significa quello che all’epoca dai critici fu considerato il passaggio ad una idea di partito radicale di massa, cioè l’assunzione di un paradigma individualistico, da liberalismo di sinistra. Questo ha significato molto nella definizione delle caratteristiche del sistema politico che ne è seguito.

Vale a dire?
Innanzitutto l’idea semplificatrice del maggioritario, che attraverso la legge elettorale si potesse costruire artificialmente un bipolarismo. Nello stesso tempo, con questa mutazione culturale, si afferma l’idea che il radicamento democratico è garantito dalle primarie. Fai le primarie, e sostanzialmente rendi contendibile la leadership del partito, arrivando ad applicare questo sistema anche all’elezione del suo segretario, rendendo così possibile quello che alla fine si è verificato con Elly Schlein, cioè che può essere eletto un non iscritto che s’iscrive solo per assolvere un mandato…

Quale sarebbe questo mandato?
Quello di una leadership personale e di una sfida i cui tratti essenziali sono da democrazia plebiscitaria: i partiti funzionano necessariamente come partiti del leader pro tempore, sono scalabili . E per di più ciò avviene unilateralmente, cioè senza che questo porti ad una regolazione del sistema dei partiti, così come dei sindacati, che rimane il non realizzato della Costituzione. Una procedura che porta ad un forte infragilimento, perché rende sempre più difficile la riproduzione delle leadership all’interno dei partiti. In questo modo viene liquidata, con particolare determinazione, l’idea stessa di una funzione nazionale dei partiti. Idea a cui il colpo di grazia è venuto dalla riforma del titolo V della Costituzione, dopo la quale quel che restava dell’unità della nazione italiana non c’è più. Un vulnus particolarmente dirompente per chi veniva dalla storia del Pci.

Perché?
Perché viene liquidato quel nesso tra classe e nazione che era stato declinato già ai tempi dell’Ordine nuovo e che fu alla base della formazione culturale e politica di quello che divenne il gruppo dirigente gramsciano e togliattiano. Quel nesso si frantuma fino ad arrivare alla situazione attuale, dove se parli di nazione questo di per sé è sospetto di fascismo, il che è una cosa ridicola che dà tutta la misura della difficoltà. Che va affrontata di petto, rivisitando criticamente e mettendo in discussione sia i fondamenti della cultura politica sia di quelli che regolano oggi la vita dei soggetti organizzati, per cui si arriva, in un contesto democratico caratterizzato ormai da un’astensione prevalente rispetto al voto, a consegnare il partito ad una resa minoritaria, che può diventare maggioritaria, nei risultati del voto, se si manifesta una capacità coalizzatrice che però nel Pd non c’è. Così come non c’è stata nemmeno la capacità di fare i conti propositivamente con il fenomeno 5Stelle. C’è stato soltanto un progressivo consumarsi delle vecchie leadership, non ricambiate da leadership altrettanto, se non di più, capaci. Vuole qualche esempio?

Certo che sì.
Io non ho mai capito fino in fondo le ragioni per cui l’ultimo segretario del Pd eletto con delle primarie relativamente ordinate e partecipate, cioè Zingaretti, ad un certo punto viene meno. Non ho capito perché ad un governo di alleanza con i 5Stelle di Conte, subentri un governo Letta. O per meglio dire, non ho capito bene il meccanismo, mentre ho capito bene il senso.

Quale, professor Vacca?
Si trattava di allineare l’Italia all’imminente guerra che si preparava in Ucraina. Per poi non garantire la maggioranza che aveva portato al governo Draghi, che invece avrebbe potuto essere una carta da spendere se la legislatura fosse andata a buon fine, perché in quel caso – giusto o no che fosse su questo si può discutere – avresti comunque portato la personalità politica di maggior rilievo del paese a rappresentare il centrosinistra. Credo che ne varrebbe la pena ragionare, aprire un confronto serio, e l’Unità fa bene a provarci, perché si tratta d’individuare attraverso quali risorse può nascere un nuovo progetto federativo o comunque di unificazione dei non pochi soggetti di centrosinistra che possano sfidare la destra, a cominciare dalle prossime elezioni europee. Questo certamente ha molto a che fare con le radici sociali ma altrettanto, e per certi versi ancora di più, con la visione del processo europeo, con la visione di questa guerra, con il suo significato. Chiede di recuperare un tratto della cultura da cui viene la sinistra italiana…

Vale a dire?
Privilegiare la lotta contro la guerra, e questo avveniva già prima della nascita Pci, ai tempi della prima Guerra mondiale. “Né aderire né sabotare”, era poco ma era già tanto rispetto alle Union Sacrèe a cui si consegnarono i maggiori partiti socialisti europei dopo il voto dei crediti di guerra, il 4 agosto del 1915, da parte della socialdemocrazia tedesca. E’ questa, a mio avviso, la materia su cui lavorare. Lavorare per costruire le capacità autonome di una narrazione storica che giustifichi e supporti una funzione nazionale ed europea, ed oltre, di una storia sicuramente complessa ma non da poco.

Emerge forte la centralità di una visione delle relazioni internazionali, in tempi di disordine globale e di guerre, dalla Palestina all’Ucraina, e non solo. Non si dovrebbe ripartire da qui per dare un senso e una prospettiva per la sinistra?
Secondo me sì, a cominciare da come leggere queste due guerre, che sono ormai due guerre congiunte, dentro uno scenario di moltiplicazione dei conflitti, su cui richiama giustamente l’attenzione Papa Francesco. Andrebbe compresa quale sia l’effettiva posta in gioco, per assumere un posizionamento che ritorni ad avere la pace come primo obiettivo, e nell’immediato, arrivare ad un cessate il fuoco, sia nello scenario ucraino sia in quello palestinese.

E in questo, l’Europa e in essa la sinistra europea?
L’Europa, e la sinistra europea, è stata sostanzialmente silenziata, dalla guerra ucraina in poi, e di autorità iscritta in un soggetto sovranazionale, qual è la Nato. Il processo europeo così come era stato portato avanti, con alti e bassi, fino a due anni fa, è stato pro tempore rimodulato e sospeso. Bisogna capire, e la sinistra su questo deve ancora attrezzarsi, quali sono le dinamiche della geopolitica mondiale con cui ci si misura.

Proviamoci, professor Vacca.
A me pare abbastanza evidente che, in un arco di tempo ormai pluridecennale, buona parte dei problemi nascono dall’emergere dell’Asia come attore di un multilateralismo concertato, che vede la ripresa della pace come terreno d’intese e di creazione di nuovi equilibri internazionali che invertano la tendenza alla corsa alla guerra ricominciata vent’anni fa, con la rimodulazione degli arsenali militari da parte delle grandi potenze, la creazione persino di dottrine della guerra che prevedono l’impiego di armi nucleari tattiche e la possibilità stessa di un conflitto nucleare generalizzato. Invertire questo ciclo significa misurarsi con una capacità analitica e quindi anche di rilancio e di rinvigorimento di una prospettiva europea che è al momento sospesa, smarrita e comunque molto ridimensionata. E lo è su questo problema enorme, che è poi quello che pongono i BRICS, eredi di una storia che un tempo era quella dei non allineati.

C’è chi sostiene che i BRICS sono tenuti insieme dall’anti occidentalismo.
Ma l’Occidente è una nozione che ha diverse declinazioni, una delle quali è quella americana, l’altra, sul piano storico, è la declinazione europea. E poi ci sono gli altri soggetti, e il più significativo è quello che emerge attorno all’asse Cina-India-Russia.
Gramsci ci richiamava a ragionare “mondialmente”, già dopo la prima Guerra mondiale, perché solo attraverso questo sforzo analitico si possono capire, inquadrare correttamente, le diverse storie regionali e locali. Significa, oggi, capire come ci si rapporta, ci si confronta, con l’emergere legittimo di un altro grande soggetto di un sistema multipolare, necessariamente multilaterale, determinato dall’emersione storica dell’Asia. Non è impresa facile. Perché la storia si rielabora, la si aggiorna, ma non se ne può prescindere. Basta ricordare che cosa è stata la colonizzazione occidentale dell’Asia, dalle guerre dell’oppio alle invasioni, alla guerra di Corea, il Vietnam…Oggi il fenomeno è questo ed è in mani robuste. Occorre confrontarsi con questi temi e con le visioni corrispondenti, e non fuggire, per affermare poi l’autodefinizione della propria identità solo in termini di contrasto, sapendo che in questo mondo di 8 miliardi di abitanti, l’Europa può farsi valere grazie ai punti alti e migliori della sua storia culturale. D’altro canto, per questo suscita ancora un qualche interesse, non certo come potenza.

Il direttore di Limes, Lucio Caracciolo, riflettendo sul via libera al processo d’integrazione dell’Ucraina nell’Unione Europea, ha usato parole molto forti e critiche.
Il problema è se è possibile dare una soluzione alla guerra russa-ucraina, e a questo punto anche a quella israelo-palestinese, in un contesto nel quale non ci sia l’assunzione di responsabilità comuni per garantire i diversi interessi che si confrontano nella guerra ucraina. E tra questi interessi, c’è l’esigenza di sicurezza della Russia, che altrimenti deve cercarsela da sola, con l’enorme espansione della spesa militare. Un discorso analogo può essere fatto sullo scenario mediorientale. Come si garantiscono gli interessi d’Israele.

Con la guerra ad Hamas, direbbero i pensatori mainstream.
Non sono di questo avviso. Gli interessi d’Israele si garantiscono creando un contesto internazionale che assume il diritto d’Israele come Stato in pace con gli altri, e non consegnandosi ad una destra estrema come è successo con Netanyahu e la colonizzazione della Cisgiordania. E’ un tema cruciale, da grande Conferenza internazionale sulla ricerca di nuovi equilibri, fondati su paradigmi che in buona parte già si conoscono, cioè quelli del multipolarismo e del multilateralismo, a cui gli Stati Uniti si sottraggono. Ma fino a quando potranno continuare a farlo?

20 Dicembre 2023

Condividi l'articolo