Una madre che ha subito il dolore più grande, l’uccisione del figlio, è riuscita a trasformare quel dolore indicibile in atto di generosità, senza cedere al desiderio di vendetta. Si chiama Robi Damelin ed è portavoce internazionale del Parents Circle- Families Forum: associazione che riunisce famiglie israeliane e palestinesi che hanno visto morire i propri cari in azioni terroristiche o in operazioni militari dell’esercito dello stato ebraico.
Quella che segue è la lettera aperta di Robi Damelin pubblicata da Haaretz:
“Alle care famiglie degli ostaggi, ecco la risposta a una domanda che non avrei voluto pormi. Ma la notizia dei tre giovani israeliani presi in ostaggio da Hamas solo per essere uccisi dai nostri soldati che probabilmente trascorreranno il resto della loro vita in tristezza e senso di colpa, e l’agonia del pericolo sempre crescente per gli ostaggi sopravvissuti, mi spingono a dirvi cosa c’è nel mio cuore. Penso a David, il mio amato figlio, che è stato ucciso da un cecchino palestinese mentre era in servizio di riserva in Cisgiordania nel 2002. Sono sicura, se fosse ancora con noi, che sarebbe stato con voi a manifestare per tutti questi giorni terribili che sono passati dal 7 ottobre. Penso a quel cecchino che è in prigione per averlo ucciso insieme ad altri nove soldati e civili. Dico: liberatelo se riporterà indietro anche uno dei vostri cari.
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Non è il mio prigioniero a cui aggrapparmi. Il dolore che mi ha causato sarà con me per sempre. Così sarà il dolore di immaginarlo vivere di nuovo liberamente, come sarà per le famiglie degli altri israeliani che ha ucciso. Posso parlare solo per me stessa, non per le altre famiglie in lutto, ma dico: liberatelo perché la santità della vita umana è molto più importante di ogni altra cosa. È più importante di alcuni dei professionisti della paura di questo governo che sacrificherebbero tanto facilmente la vita degli ostaggi in nome della nostra “sicurezza” che hanno fatto così tanto per danneggiare da quando sono in carica. Un colpevole disastro culminato il 7 ottobre, col fallimento catastrofico e senza precedenti nella protezione del paese.
Il prossimo round di una futura trattativa per la liberazione degli ostaggi, in uno scambio di prigionieri, dovrebbe includere la categoria di prigionieri palestinesi che, come l’uomo che ha tolto la vita a David e quella di altri nove, con il “sangue sulle mani”. Questa non è una questione banale. È qualcosa da prendere sul serio, ma alla fine sappiamo tutti che sarà il costo molto elevato per il ritorno della nostra gente, tra cui gli anziani, i malati e i feriti, i giovani uomini e le donne con tutta la vita davanti a loro e la famiglia Bibas, con i loro due ragazzi dai capelli rossi, rapiti rispettivamente a 4 anni e 9 mesi, che sono diventati un simbolo del trauma degli ostaggi che Israele sta vivendo.
Ma chi sono quelle persone che si proclamano contro un tale accordo, diventate esperte da un giorno all’altro, che in qualche modo conoscono tutte le statistiche e sanno quanti israeliani saranno attaccati in futuro da prigionieri palestinesi liberati? C’è un rischio reale, non è “giusto” che possano essere restituiti, ma penso tra me e me: hanno idea di cosa sia non sapere dove si trova il loro amato figlio, o moglie o padre o madre o fratello? Sappiamo dagli ostaggi che sono tornati, quanto hanno sofferto. Voglio sapere che chi è al potere sta facendo assolutamente tutto il possibile per salvar loro la vita. O sono disposti a lasciarli in qualche buio tunnel sotterraneo, senza più speranza e abbandonati dal loro paese che ha sempre promesso di non “lasciare indietro nessuno”?
Chi ha la responsabilità di decidere, non sente il dolore profondo delle famiglie? Sono immuni alla sofferenza? Preferiscono continuare a condurre questa guerra disastrosa in cui l’obiettivo, Hamas, può essere ferito, ma rimane imbattuto, e in cui noi, israeliani e palestinesi, stiamo pagando un prezzo incalcolabile? Tutta Israele è ostaggio di Hamas, e le famiglie degli ostaggi più di ogni altro, finché i loro cari resteranno a Gaza. Sentendo la tragica notizia dei tre giovani israeliani, uccisi dai soldati israeliani venerdì, Merav Svirsky, i cui genitori sono stati assassinati da Hamas il 7 ottobre e il cui fratello Itai rimane un ostaggio, ha dichiarato su Channel 12: “Quello che è accaduto dimostra ancora una volta che le azioni dell’Idf non ci aiutano, ma portano solo al ritorno di altri corpi. Voglio che mio fratello torni […]”.
Ci sono segnali di un’iniziativa di Israele per rinnovare gli sforzi per un accordo e sentirlo mi incoraggia. Spero che coloro che al governo guidano questi sforzi sappiano resistere alle voci all’interno della coalizione e dall’esterno contrarie all’iniziativa umanitaria.
Abbiamo bisogno di diplomazia per liberare gli ostaggi […] Forse coloro che sono contrari a un accordo potrebbero ricordare ciò che è successo in Sudafrica e in Irlanda, dove i prigionieri che non avevano meno sangue sulle mani sono stati liberati per dare impulso a eventuali negoziati politici.
È venuto in mente, a coloro che rifiutano i negoziati, che dopo che Tony Blair ha inviato il responsabile per l’Irlanda del Nord Mowlam nella prigione di Maze vicino a Belfast nel 1997, per incontrare alcuni dei prigionieri più duri sia unionisti che membri dell’Ira, sono stati i prigionieri a persuadere i loro rappresentanti politici a prendere parte ai colloqui per la pace? Circa tre mesi dopo questi prigionieri furono rilasciati con l’accordo del Venerdì Santo.
Pensiamo al Sudafrica, il mio luogo di nascita e dove sono stati commessi crimini efferati durante gli anni dell’apartheid. Questi criminali avrebbero potuto facilmente essere impiccati, tuttavia nella loro saggezza i sudafricani hanno creato la Commissione per la verità e la riconciliazione, così gli autori di quei crimini hanno ricevuto l’amnistia in cambio di una testimonianza.
Questo è stato molto difficile da accettare per molti nel paese e comprensibilmente. Eppure tra coloro che hanno perpetrato crimini c’erano quelli che in seguito hanno contribuito a ricostruire un nuovo Sudafrica. La pace non equivale alla giustizia, e finché non riusciremo ad accettarlo e insisteremo a parlare solo di ciò che ci è stato fatto, non ci sarà alcuna prospettiva di una pace duratura.
Se liberassero l’uomo che ha ucciso David, cosa sentirei? Sarebbe estremamente doloroso, troppo difficile anche solo da descrivere. Ma mentre rifletto, alla fine concludo che ne vale la pena se significa un altro ostaggio liberato e pace per le loro famiglie […] Quale soddisfazione vendicativa proverei se l’assassinio di mio figlio rimanesse in prigione per il resto della sua vita? Questo riempirebbe il vuoto che ci sarà per sempre nel mio cuore?
Ci saranno molte critiche in caso di accordo. Ma riportare gli ostaggi ora, mentre – speriamo – tutti, se non la maggior parte, sono ancora vivi, è l’unica cosa umana da fare. È anche l’unico modo con cui potremmo iniziare a guarire dalla ferita del 7 ottobre, che altrimenti rimarrà un trauma perenne per tutti gli israeliani”.