Mollata dalla Francia, messa alle strette dal rinato asse franco-tedesco, l’Italia alza bandiera bianca: “In uno spirito di compromesso abbiamo deciso di accettare”. Parola del ministro Giorgetti che rivolto agli altri ministri Ecofin in videoconferenza annuncia così la resa.
“Alla fine, tra Roma e Berlino, la Francia sceglie sempre Berlino”, commenta sconsolato un funzionario del Mef. È stato così anche stavolta e l’Italia si è ritrovata non solo isolata ma anche accerchiata.
I due Paesi maggiori hanno raggiunto un’intesa “al 100%” sulle nuove regole del Patto di Stabilità: mettersi di mezzo e fermare la riforma con un veto sarebbe stato molto più difficile di quanto non lo sarebbe stato pochi giorni fa, quando, dopo la cena con Macron ai margini del Consiglio europeo, Meloni aveva annunciato una “convergenza totale” proprio sul Patto di Stabilità.
Ma non c’è solo la pressione congiunta franco-tedesca dietro il via libera di ieri. La Commissione, probabilmente sollecitata dalla Germania, ha sbarrato la via d’uscita, una proroga della sospensione del Patto fino a luglio, escludendola categoricamente. Appena poche ore prima, martedì mattina, sembrava l’opzione più probabile.
I Paesi minori del nord sono arrivati al vertice Ecofin di ieri pomeriggio revocando in dubbio l’accordo raggiunto dopo l’ultimo Ecofin sulla possibilità per i Paesi sotto procedura per deficit eccessivo di concordare con la Commissione margini di flessibilità sul deficit, tenendo conto dell’impatto del rialzo dei tassi d’interesse in funzione anti-inflazione, nel triennio 2025-27.
Era un modo anche questo di mettere alle strette l’Italia mettendo in campo una richiesta diametralmente opposta a quella di Roma, che mirava a rendere stabile e non transitoria la flessibilità tenendo sempre conto del debito per spese strategiche, verde, digitalizzazione e difesa.
Il vertice a due di mercoledì era del resto la conferma della scelta, già evidente, di assegnare solo a Germania e Francia la guida dell’Unione, escludendo l’Italia. Ma per l’occasione è stato aggiunto uno sgarbo specifico: la decisione di confermare il vertice di ieri in videoconferenza nonostante la richiesta di Giorgetti di affrontare invece un tema così decisivo di persona. Il ministro italiano era stato consultato per telefono ma sarebbe più preciso dire che è stato letteralmente messo con le spalle al muro. Sul Patto e non solo sul Patto.
Che succederà adesso è presto detto. Una volta ingoiate, non per amore ma per forza, le nuove regole, l’Europa si aspetta uno sblocco immediato della ratifica della riforma del Mes, bloccata solo dall’assenza della firma italiana. Ieri quella decisione era in commissione Bilancio alla Camera, ma FdI ha chiesto la sospensiva in attesa dell’esito di Ecofin. Ma se il governo deciderà di firmare la ratifica per evitare una rottura clamorosa con l’Europa non è affatto certo, e per la verità non è neppure probabile che la Lega accetti e non si smarchi, magari solo con l’astensione, al momento del voto.
Regista dell’operazione d’accerchiamento è stato il ministro delle Finanze tedesco Lindner, oggi numero uno tra i falchi europei. Nel corso della lunga trattativa sulla revisione delle regole di Maastricht lui e la pattuglia frugale dei rigoristi hanno ottenuto moltissimo, capovolgendo il senso della proposta iniziale della Commissione. Le nuove regole non vanno, come in quella proposta, verso una maggiore flessibilità ma, al contrario, verso un maggior rigore.
Perché, come ha spiegato proprio Lindner, le vecchie regole erano sì rigorose ma non applicate con altrettanta fermezza. La musica ora cambierà. Il parametro sul deficit resta al 3% nel rapporto deficit Pil ma, grazie alla clausola di garanzia chiesta e ottenuta da Berlino, bisognerà tenersi “per sicurezza” sotto l’1,5%.
Il parametro sul debito resta fermo al 60% del Pil ma i Paesi che si trovano oggi oltre il 90%, come l’Italia, dovranno rientrare di un punto percentuale all’anno: una ventina di miliardi che renderanno impossibile qualsiasi intervento a partire dalla proroga del taglio sul cuneo fiscale per il 2025.
Il rientro sul deficit è dello 0,5% annuo ed è stata proprio la richiesta di tenere conto della stretta sui tassi ma anche del debito dovuto alle spese strategiche nel conto del deficit uno dei principali punti in discussione. Ma in realtà sono particolari: il nuovo Patto di Stabilità, partito per concedere maggiore libertà di movimento ai singoli Paesi sul piano degli investimenti, è ora una camicia di forza.