La rubrica
Bambini social, il filmmaker Giuliano Caprara: “Educazione digitale a scuola, per non diventare paparazzi dei nostri figli”
Per chi con le immagini dei bambini, dei minori, ci lavora il consenso dei genitori è obbligatorio. Altra storia nella vita di tutti i giorni tra il profitto dei personaggi famosi e la sete di notorietà delle persone comuni. L'intervento del filmmaker Giuliano Caprara nella rubrica dell'Unità che raccoglie osservazioni e pareri di esperti, artisti, professionisti: "Bambini social – Un giorno questo like sarà tuo"
Cultura - di Antonio Lamorte
Per un professionista che con le immagini – contenuti video, documentari, film, trailer, videoclip musicali, campagne pubblicitarie – ci lavora servirebbe portare l’educazione digitale nelle scuole. Perché la tutela dei minori e il diritto ai tempi dei social sono materie scottanti, sfuggenti come anguille, che nel giro di pochissimo tempo evolvono, non le trovi più dove e come le avevi lasciate. Giuliano Caprara è un filmmaker, colorist, consulente esterno per attrezzatura di produzione e post produzione. Ha realizzato anche a contenuti che hanno coinvolto bambini e minori, dove il consenso dei genitori è obbligatorio. Sui social sembra essere proprio quel consenso delegato temporaneamente i genitori il lato controverso. Quello su cui si dovrebbe riflettere di più e meglio, per non diventare paparazzi di noi stessi e ancor di più dei nostri bambini.
Quello di Giuliano Caprara è il quinto intervento della rubrica “Bambini social – Un giorno questo like sarà tuo”, un dibattito sullo sharenting de L’Unità.it.
- Bambini social, l’artista Nicola Verlato: “Il mondo non è un Grande Fratello, i genitori devono costruire un’oasi”
- Bambini social, la giornalista Anna Capasso: “Con moderazione, ma perché non condividere le foto di mia nipote?”
- Bambini social, l’antropologa Veronica Barassi: “Non si tratta solo di privacy, ma di diritti e libertà individuali”
- Bambini social, l’illustratrice Sara Liguori: “Posto ma con juicio: mai il cul*tto scoperto, mai ecografie”
Abbiamo scattato la prima foto a mia figlia appena dopo il parto, quando è stata messa nelle braccia della madre. Non avevo scattato immagini durante il parto, certi momenti preferisco tenerli impressi nella memoria più che in una foto. A proposito di quella prima foto: non mi sono neanche posto la questione, se pubblicarla o meno. Personalmente non ho mai pubblicato foto sui social. Forse agli inizi un pochino ma poi, studiando e approfondendo le problematiche relative alla gestione dei contenuti, della privacy e della sicurezza, non ho ritenuto opportuno contribuire. Gli unici contenuti che cerco di pubblicare sono legati principalmente alla promozione della mia attività. La mia compagna è meno rigida, ogni tanto qualche foto “scappa”, ma sono di solito foto di gruppo o foto in cui i connotati del bambino non sono ben visibili.
Più nello specifico: credo si debba essere consapevoli che i contenuti e le azioni che carichiamo ed eseguiamo sui social vengono profilati ed utilizzati per ricerche di mercato ed altro. Quindi, come minimo, il soggetto dovrebbe acconsentire e non essere sottoposto passivamente. Personalmente non posso fare a meno di pensare alle molteplici conseguenze: sovraesposizione ai social, dipendenza da schermo, estrema profilazione, distaccamento dalla realtà, casi di furto di identità. In più non bisogna dimenticare che la pedopornografia è una terribile realtà. E certo che influisce il mio mestiere nella mia posizione: ho lavorato alla realizzazione di campagne web divenute virali utilizzando bambini come testimonial. Successivamente ho studiato lo sviluppo dei network over the top da un punto di vista tecnico e sociologico. La tutela dei minori e il diritto web sono materie in continua evoluzione, necessitano di ricerca costante.
Per quanto riguarda i personaggi pubblici, pubblicare foto private in un certo modo appaga la sete di curiosità e gossip a cui sono sottoposte costantemente queste persone. Sono i paparazzi di loro stessi e riescono a trarne anche profitto economico. In un certo senso lo comprendo ma non lo condivido assolutamente. La vita di quei bambini è resa pubblica fin dalla nascita in una sorta di Truman Show moderno. Le azioni di un privato sono ancora più inspiegabili. Rendere pubblica la vita di una persona senza il suo consenso è sbagliato, e in più, a chi potrebbe mai interessare? Penso che anche le scuole dovrebbero intervenire con dei corsi di educazione digitale in cui si spiegano i rischi del web.
Non capisco perché dover pubblicare una foto con un volto oscurato, o coperto da un’emoticon. A meno che quella foto non debba essere pubblicata per un preciso motivo, meglio evitare direttamente. È tutto indicativo di quello che la società ci trasmette in questi anni. Sicuramente la sete di notorietà trova la sua massima espressione nei social. Bisogna apparire in un certo modo per essere accettati dalla società. Più follower si hanno e più si acquista autorevolezza. Viviamo in una società ultraveloce basata sulla comunicazione web. Comunicare nella realtà spesso diventa più difficile e spaventoso. Per citare Eco nel dibattito tra Apocalittici ed integrati mi schiero più con i secondi. L’importante è però regolamentare l’accesso ai social ed impedire alcune azioni.
Gli altri interventi nel dibattito “Bambini social – Un giorno questo like sarà tuo” su L’Unità.it.