Il ministro boccia Lega e Fdi
Giorgetti gela Salvini: “Sul Mes la pagheremo, è un colpo all’Europa”
La preoccupazione del capo dello Stato, il silenzio dei vertici europei irritati coi sovranisti nostrani: “È un colpo al progetto comunitario”
Politica - di David Romoli
Se fosse dipeso da lui, il ministro dell’Economia avrebbe ratificato la riforma del Mes. Lo afferma lui stesso e specifica che lo avrebbe fatto “per motivi economico-finanziari”, non per obbedienza all’Europa che in fondo “non ha sempre ragione” e neppure per paura di ritorsioni che almeno in pubblico esclude: “Che ci fossero problemi era noto”.
Il suo sì sarebbe stato tecnico, non politico. Il calcolo politico è proprio quello che invece ha imposto l’affossamento della ratifica: “Per come si è sviluppato il dibattito in questi giorni non mi pare che fosse aria per l’approvazione e non solo per motivi economici”. Insomma, con la Lega sul sentiero di guerra e decisa a bocciare comunque il Mes, la stessa premier avrebbe avuto comunque poco margine.
Non poteva certo fare la figura della sovranista che approva un feticcio come è ormai diventato il Mes con Elly Schlein e contro Salvini. In realtà è probabile che anche la scelta di approvare la riforma sulla quale aveva puntato inutilmente il ministro sarebbe stata dettata da considerazioni politiche: con l’Europa qualche problema si porrà e a porte chiuse lo avrebbe ammesso lui stesso: “Ce la faranno pagare cara”.
Timore, preoccupazione, non terrore. Quanto a peso specifico, lo sgambetto sul Mes è meno importante della resa sul Patto di Stabilità. La riforma serviva ad estendere la possibilità dei salvataggi anche alle banche sistemiche in procinto di affondare e non solo agli Stati, per i quali vale comunque il Mes attuale.
Ma di rischi sui sistemi bancari al momento non se ne vedono, tra sei mesi, dopo il voto europeo, sul Mes si potrà tornare rimettendoci le mani. In fondo, sottolinea il ministro “tutto si può migliorare”. Il veto sul Patto avrebbe avuto conseguenze immediate ben più deflagranti ma lì l’Italia ha piegato la testa, anche se Giorgetti preferisce guardare il bicchiere pieno per un quinto e segnalare “il passo avanti”.
In fondo almeno per quanto riguarda la difesa, ma solo quella, le spese strategiche verranno considerate con flessibilità nel conto del deficit e appena un anno fa sembrava “una richiesta irrealistica”. Neppure i mercati destano allarme. Guardano al presente o al futuro prossimissmo e sin lì l’oceano bancario non promette tempeste. Dunque lo spread veleggia tranquillo.
Ma allora perché il capo dello Stato è costernato e molto preoccupato, anche se non si lascerà sfuggire mezza sillaba perché sempre di una legittima scelta del Parlamento si tratta? E perché in Europa irritazione e allarme si sono impennati, nonostante la scelta di mantenere un gelido silenzio senza andare oltre il “rammarico” del presidente dell’Eurogruppo Donohoe e di quello del Mes stesso Gramegna?
Risposta ovvia: perché il segnale politico è pericoloso a dir poco e perché il possibile impatto strategico sulla natura dell’Unione potrebbe andare molto oltre il singolo incidente.
Meloni ha deciso di seguire Salvini un po’ per nascondere la resa sul Patto e molto per considerazioni di politica interna. Ma la motivazione apertamente dichiarata da Chigi è che l’Italia, non avendo problemi di solidità bancaria, non aveva alcun interesse nella riforma del Mes. Salvini è andato oltre: “Non ci sarà rischio che gli italiani paghino per salvare banche straniere”.
Non era mai successo che, su una questione di tale importanza anche simbolica, un singolo Paese silurasse la decisione di tutti gli altri partner spiegando che non presentava benefici per sé e dunque non valeva il rischio.
Consapevolmente o meno, la destra sovranista italiana, inclusa quella ormai sovranista a metà della premier, ha dato una mazzata ferale alla visione di un’Europa comunitaria, con al centro l’interesse comune.
Ma l’Italia è stata in ottima compagnia. Nella trattativa sul Patto gli egoismi nazionali hanno tenuto banco e affossato, snaturandola, la proposta iniziale della Commissione. La Germania ha guardato non solo ai propri conti ma anche ai sondaggi in vista delle europee.
La Francia ha trattato sul Patto ma anche, discretamente, sulla possibilità di accedere ai sostegni europei per il nucleare grazie alla catalogazione di quest’ultimo tra le energie pulite.
La spinta sovranista dovuta al no italiano è arrivata alla fine di una partita dove il sovranismo di tutti, a volte dichiarato e altre no ma sempre praticato, ha sempre tenuto banco.
In fondo la proposta della Commissione sulle nuove regole è stata stravolta e addirittura rovesciata proprio per questo: quella proposta, sia pur timidamente e con molti limiti, mirava a fare un passo avanti verso il nuovo orizzonte che sembrava essersi aperto grazie alla reazione unitaria della Ue di fronte al Covid. Ma quell’era è finita e quello spirito unitario un po’ tutti preferiscono considerarlo una parentesi chiusa.