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Gesù nasce a Gaza

Gesù nasce a Gaza

Natale. Sempre diverso perché cambia, ogni volta, il tempo in cui arriva. Natale è la buona notizia che il mondo, così com’è, può cambiare e già inizia a cambiare.

Anche se i potenti, i colti, la gente per bene, quelli che festa la fanno comunque e nonostante tutto, senza invitare nessuno, non lo vedono, non se ne accorgono. Mentre se ne accorgono solo i pastori di campagne marginali, a Betlemme, in Galilea, in una notte buio-pesto come sono nel mondo le notti dei poveri.

Ma c’è una stella che accende la speranza: in un mondo pieno di luci artificiali è invisibile, e solo i pastori, disabituati alla luce e al cambiamento, decidono di andare a vedere. Inizia così la speranza, speranza storica, di quel Natale che torna ogni volta.

Dove? “Gesù non nasce a Betlemme, nemmeno a Nazareth, oggi. Gesù nasce a Gaza”, così il pastore valdese Ricca, a Santa Maria in Trastevere. Perché? I paesi sconvolti dalla guerra sono tanti. La storia del Natale è oggi più universale che mai, perché di Erode che vuole eliminare quell’unico bambino a costo di ammazzarne tanti, oggi non ce n’è uno solo, e tanti sono i signori della guerra: in Ucraina, in Terrasanta, in Sudan.

Sì, in Sudan, con 12 mila morti e sei milioni di profughi in pochi mesi, e nemmeno si sa. La guerra non è mai stata così vicina, da quando siamo nati. Per i cristiani Natale è la via del futuro e del cambiamento. Anche i non cristiani hanno bisogno di questa speranza.

E’ una speranza storica, non illusione, per intere generazioni di esclusi e anche per gente che – senza quel Natale – non sa bene per che cosa vale la pena di vivere e di spendersi, gente intorpidita nell’autoconsolazione, stufa ma rassegnata davanti all’arroganza, a chi prende decisioni al posto loro, senza voglia di cambiare.

È Natale nel tempo della guerra e del disimpegno. Nel tempo del narcisismo, tanti io senza mai un noi, e, alla fine, amarsi da soli: il tempo delle passioni tristi (Spinoza, Benasayag). Ma come è possibile la speranza in un tempo così buio? Come è possibile che davvero “il lupo dimorerà insieme con l’agnello, il leopardo si sdraierà assieme al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà”? come ha visto, quando altri non lo vedevano, il profeta Isaia (11,6)?

Natale è impossibile, senza un ribaltamento. Ma viene proprio per strappare il mondo e noi dalla rassegnazione e dall’assenza di futuro. È in contraddizione radicale una ricerca di affermazione e onnipotenza tanto popolari quanto fallimentari, incapaci di fermare non solo le guerre, ma anche l’aggressività urbana, di reimparare l’arte della politica come capacità di lavorare e costruire insieme.

“Un bambino li condurrà”. È un capovolgimento indispensabile. Di solito i bambini devono essere condotti. Come, allora? Utilizzo le parole di Paolo Ricca, pastore e teologo valdese, uomo profondo: “Qui c’è un bambino diverso, che conduce lui. Oggi Gesù nascerebbe a Gaza. Non in un tunnel segreto e sotterraneo e tantomeno su un carro armato, ma tra le macerie della città distrutta, macerie materiali e spirituali, perché la guerra disumanizza tutti. Ecco, proprio quando l’orizzonte è più oscuro che mai e le tenebre del male sono più fitte, e quasi impenetrabili, proprio quando muore ogni speranza l’unico che spera ancora è Dio, è Gesù che nasce a Gaza tra le macerie”.

In questo Natale occorrerà guardare proprio lì. Un bambino che nasce come tutti i bambini del mondo, completamente disarmato. “Anche noi siamo tutti nati disarmati. E nudi. Non avevate un coltello in mano, una spada in pugno, non eravate corazzati, eravate nudi e fragili, come di più non si può. Dio ci vuole disarmare. Perché noi ci armiamo, eccome! Sempre di più, sempre meglio!  Ma le armi le inventiamo noi, non le ha inventate Dio, noi le creiamo, noi le vogliamo, noi ci armiamo, noi rifiutiamo di essere disarmati, perché ci sembra di essere deboli, troppo deboli, non ci fidiamo delle. nostre forze, delle forze di Dio, della forza dello Spirito, ci fidiamo delle forze armate, crediamo di diventare forti e invece non siamo mai tanto deboli come quando ci armiamo”.

È possibile trovare la speranza e trasformarla in realtà se raccogliamo il messaggio in questo Natale di guerra:
“Un bambino condurrà il lupo insieme all’agnello, il leopardo insieme al capretto, la mucca insieme all’orsa: riconciliati un bambino. È più facile riconciliare gli animali feroci che riconciliare gli uomini, addomesticare le belve piuttosto che addomesticare il cuore umano. Gesù nasce a Gaza disarmato per addomesticare Hamas, Israele, per addomesticare il nostro cuore. È possibile? Gesù ci crede, per questo è nato disarmato. È una speranza folle. Dio non diventa solo uomo ma diventa bambino e un bambino disarmato per riconciliare i nemici da sempre, quelli che si odiano, quelli che non possono sopportare la presenza degli altri”.

Ma occorre un rovesciamento. L’augurio a tutti noi è che possiamo farlo diventare Un natale per la riconciliazione dei nemici.