La rubrica

Bambini social, l’assessore Luca Trapanese: “Alba ha la sindrome di Down, con i media costruiamo una rete di amicizie”

Dove insistono più che altro autocompiacimento, individualismo, solitudine e autopromozione, riscoprire un ruolo dei social che sembra superato: quello che porta all'incontro, a nuove amicizie, a condividere esperienze. L'intervento dell'assessore Gianluca Trapanese nella rubrica dell'Unità che raccoglie osservazioni e pareri di esperti, artisti, professionisti: "Bambini social – Un giorno questo like sarà tuo"

Cultura - di Antonio Lamorte - 29 Dicembre 2023

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FOTO DA INSTAGRAM (LUCA TRAPANESE)
FOTO DA INSTAGRAM (LUCA TRAPANESE)

Riscoprire un ruolo ormai superato dei social attraverso una storia speciale: dove insistono più che altro autocompiacimento, individualismo, solitudine e autopromozione, emerge l’opportunità di stringere legami, creare una rete di amicizie e conoscenze, condividere esperienze. Luca Trapanese è attivo nel volontariato da quando aveva 14 anni, ha coordinato progetti di sviluppo economico e sociale in India e in Africa e ha fondato l’onlus “A Ruota Libera”, lavorato a progetti per ragazzi orfani e disabili. È diventato il primo single in Italia ad adottare una bambina, Alba, sua figlia nata nel 2017. È assessore al welfare del Comune di Napoli. La storia della sua paternità è diventata un libro e un film omonimo, Nata per te, diretto dal regista Fabio Mollo.

Quello di Luca Trapanese è il sesto intervento della rubrica “Bambini social – Un giorno questo like sarà tuo”, un dibattito sullo sharenting de L’Unità.it.

La prima foto a mia figlia l’ho scattata quando sono andato in ospedale a prenderla dopo averla ricevuta in affido. Non l’ho pubblicata subito, l’ho pubblicata quando ho ottenuto l’adozione definitiva di Alba e ho voluto raccontare questa storia straordinaria: non perché io sia straordinario, ma perché lo è lei. Le adozioni in Italia sono ferme a una legge del 1983, non è possibile adottare per i single e io sono riuscito ad adottare una bambina che aveva 27 giorni. Dopo un anno è diventata mia figlia a tutti gli effetti. L’ho pubblicata per una causa sociale, politica. Quasi come una denuncia.

Mia figlia ha la sindrome di Down: Alba è stata rifiutata da centinaia di coppie idonee all’adozione. E questa non è una colpa ma una causa, dobbiamo capire perché non sia stata voluta da tante coppie tradizionali. Credo che dobbiamo fare cultura, parlare di disabilità, di come si possa essere felici con un bambino nonostante la sindrome di Down. Anzi: che si può essere felici per un figlio con la sindrome di Down. Io ogni volta che parlo di mia figlia non ne parlo come un problema ma parlo attraverso le sue capacità: non dobbiamo essere tutti primi, migliori e perfetti e i nostri figli non devono superarci ma devono essere soprattutto felici e sentirsi se stessi. Io non cerco di pubblicare la foto di mia figlia con la sindrome di Down per manifestare la mia bravura ma perché credo che la nostra storia vada raccontata e vista sotto tanti punti di vista. Quello dell’adozione, quello della paternità, quello della disabilità.

Finora non ho mai avuto conseguenze negative dalla pubblicazione di fotografie, soltanto positive, come aver costruito una rete con i genitori di altri bambini e con altre persone con la sindrome di Down. Tanti genitori con figli disabili mi scrivono: si rivedono nella mia storia e condividiamo problemi, ansie, preoccupazioni, gioie e frustrazioni di una società che vede la disabilità come un problema e uno scarto. Cerco sempre di comunicare la verità: la mia esigenza è comunicare che la mia vita è uguale a quella di tutte le altre, che la nostra famiglia è tradizionale come le altre, che Alba è una bambina come le altre. Se mia figlia sarà emarginata non sarà colpa della società, ma dell’impreparazione di quella società. La disabilità dev’essere affrontata in senso anche culturale.

Quando mi hanno chiamato per andare a prendere Alba ero con venti ragazzi con la sindrome di Down in vacanza, fondamentalmente avevo la consapevolezza che invece tanti che pensano di non farcela non hanno. Credo che la società attuale abbia bisogno di raccontarsi, di parlare, di condividere, di sentire anche dei consensi, l’appoggio degli altri. E di condividere i momenti belli come quelli brutti. Forse ci aiuta a elaborare una serie di situazioni. Non saprei dire se avrei avuto lo stesso atteggiamento qualora mia figlia fosse stata normodotata. Però ho capito che se mi fossi nascosto avrei fatto un danno ad Alba e a tutte le persone come noi. Posso dire di essere ormai di un digital creator, sui social parlo dei temi che conosco e che mi interessano, non mi permetto di entrare su altri argomenti. Sono diventato assessore al welfare, sono stato scelto per la mia esperienza nel welfare, e chiaramente applico nelle mie scelte la mia consapevolezza professionale. Ho istituito un festival sulla disabilità, da circa due anni. L’ho chiamato “Capability“, si parla di disabilità ma attraverso le nostre capacità, non come di un problema.

Mia figlia mi chiede: “Papà facciamo una storia?” E si diverte. Io credo che questi bambini sono figli dei social, hanno una visione completamente diversa di comunicare. Chiaro che potrebbero nascere dei problemi su tanti aspetti ma non credo ci sia nulla da spiegare, magari quando crescerà non avrà più voglia di farlo o potrà restare un modo di esprimersi. Nel mio caso parliamo di un minore disabile e non bisogna sottovalutare quante persone disabili hanno cominciato ad avere rapporti. I social li hanno resi abili, hanno dato loro l’opportunità di avere riferimenti e di instaurare delle relazioni seppur da lontano o di incontrarsi anche di persona. Sceglierà lei se continuare o meno a usare i social, ma credo che già lo sappia.

Gli altri interventi nel dibattito “Bambini social – Un giorno questo like sarà tuo” su L’Unità.it.

29 Dicembre 2023

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