Il 10 novembre è uscito il nuovo album di Francesco Guccini, in formato esclusivamente fisico dal titolo Canzoni da osteria, come il precedente album Canzoni da intorto del 2022.
Bisogna fare molta attenzione ai due termini usati e partire proprio da qui, ovvero nuovo album e formato fisico. In molti hanno storto il naso quando Francesco Guccini è tornato a cantare con Canzoni da intorto, e iniziato a bofonchiare che forse ad ottanta anni sarebbe stato meglio che il Maestro si ritirasse a vita privata.
In molti, sempre quelli che si definiscono i seguaci della prima ora e “rivoluzione” o anche i criticoni musicali, non sono contenti del fatto che Guccini ricanti canzoni popolari o di una certa valenza politica e sociale, che riporti a galla, come avviene in Canzoni da osteria, quattordici brani internazionali, cantati in lingue originali e che abbiano, sia a livello di testi che di musicalità e sonorità, uno spessore che in giro è difficile da trovare, qualcosa di passato che ha il sapore, in maniera del tutto commovente, di nuovo e vero.
Così anche l’aver scelto solo il formato fisico, in un mondo dove ci si manda solo baci virtuali, dove download, mp3, classifiche online, abbonamento Spotify che, se non paghi a dovere ti ritrovi in gusti musicali dai cui fuggi da sempre e Amazon plus, family, etc etc etc la fanno da padroni nel mondo della musica, ergo, comandano il mercato musicale, e dunque se non sei in classifica Spotify/Amazon o su YouTube con visualizzazioni non sei nessuno.
Ecco, la novità di Francesco Guccini è proprio questa: essere Francesco Guccini che ha 83 anni, non una visualizzazione o un posto in classifica. Essere in contatto fisico con il caro e vecchio cd. Andare in un negozio di dischi, che oramai in Italia, sono una opzione rarissima.
Francesco Guccini ti spinge ad uscire di casa, ad entrare in un negozio, ad avere un contatto con chi (ancora) vende dischi o al massimo delle possibilità lo ordinate e ve lo spediscono a casa, ma sempre un cd vi arriva. Ti spinge ad una serie di comportamenti e movimenti che in un certo senso, per l’epoca che stiamo vivendo, sembrano atti impensabili.
Ecco perché come sempre è stato, nella sua musica, nelle sue scelte, questa è in ogni caso e fuori di dubbio una scelta rivoluzionaria, ma senza pensare a bandiere e cori in piazza per forza, è rivoluzionaria nel senso che modifica le abitudini pericolose alle quali siamo oramai assuefatti. È come usare la penna per scrivere una lettera o lasciare un messaggio.
La scelta del formato fisico restituisce un’importanza enorme al valore che la musica dovrebbe avere, allo spazio e ai tempi che occupa nelle nostre vite. Ed è la storia di Francesco Guccini che in ognuno di noi, destra o sinistra, centro e dir si voglia, occupa un ruolo fondamentale da quando debuttò nel 1967.
Scrittore, poeta, narratore di storie, personaggio meravigliosamente umano, dall’aspetto burbero e dolcissimo allo stesso tempo, ha avuto ed ha un’importanza sociale e anche politica come pochi nella storia del nostro paese, nella cultura, nella crescita di molti.
È stato ed è la disperazione di molti, di tutti quelli che lo hanno voluto tirare per la giacchetta, per chi se lo è portato dentro ad una sezione di partito e per chi un’istante immediatamente dopo non ha colto il senso reale della sua poetica ed ha fatto sì che quei valori, che quei versi finissero in un nulla di fatto.
Peggio per loro, insomma, anche la sinistra che invece di portarsi a casa influencer e robe varie (che per carità non abbiamo niente contro di loro) dovrebbe riprendere la poetica di Guccini e prendere esempio anche dalla scelta del “fisico”, perché è nelle scelte che si fa politica.
Dunque, Canzoni da osteria, un album ricco, quattordici brani rivisitati e ricantati con la voce profonda che ancora rimane unica e riconoscibilissima anche tra mille nuove voci formato IA.
Il brano che apre l’album è Bella Ciao che, come lo stesso, Guccini ha dichiarato “è diventata una canzone misteriosamente internazionale. Nella serie televisiva La casa di carta la si sente cantare in italiano. E così anche molte donne iraniane cantano Bella ciao in italiano. È diventata il simbolo della protesta contro la teocrazia iraniana. Io desideravo fare un piccolo omaggio, seppur modesto, e per questo canto una strofa in farsi. È una canzone strana, passa per una canzone partigiana ma la cantavano anche le mondine. Ho cambiato una parola al testo: “e ho trovato l’oppressor”, non “l’invasor”.
In Canzoni da osteria troverete un brano come Jacinto Chiclana scritto da J. Louis Borges e musicata da Astor Piazzolla, che già di per sé è una milonga di una bellezza quasi mortificante e che con la voce di Guccini acquista un sapore lontano lontanissimo, quasi a perdersi nel tempo, mentre racconta la vicenda del corajudo guapo che con la sua abilità nell’uso del coltello stava a servizio di capi politici.
E poi Il canto dei battipali, canto tradizionale veneziano, canto che segnava e accompagnava il ritmo degli operai che si occupavano della costruzione dei pali di legno per le costruzioni degli edifici di Venezia.
Ed è così che Guccini ripropone un canto di lavoro, che più attuale non si può “E bandiera bianca, bandiera bianca ma segno di pace. E leveremo la bandiera rossa, bandiera rossa ma segno di sangue. E leveremo la bandiera nera, ma bandiera nera ma segno di morte”.
E poi trovate il folk americano di Tom Paxton, sconosciuto ai più ma che in realtà è stato ricantato da nomi come Bob Dylan, Joan Baez, Marianne Faithfull. E poi ancora l’America con il brano Cotton Fields del chitarrista Laed Belly, che racconta la sofferenza e il duro lavoro nel profondo sud degli USA alla fine dell’800. La canzone popolare ebraica con Hava Nagila, e poi 21 Aprile.
In Canzoni da osteria, Francesco Guccini abbraccia in maniera totale e totalizzante, la tradizione che arriva da ogni parte del mondo, che va dai lavoratori veneti ai campi di cotone negli Stati Uniti.
È un album che abbraccia il folk, il rock anche, il blues, che abbraccia un mondo che sembra essere scomparso o non più citato dai media, abbraccia quel mondo operaio quasi dimenticato. La tradizione della lotta, la ribellione e il ribellarsi alle ingiustizie attraverso il potere inestimabile che la musica ha avuto ed ha.
Anche con Canzoni da intorto Guccini aveva scelto solo l’album “fisico”, averlo riproposto di nuovo fa capire che nella vita bisogna scegliere, come lui del resto ha sempre fatto, anche andare da solo, da una parte ma essere liberi di farlo.
Perché la vera rivoluzione politica e sociale inizia dalle piccole cose, inizia dal non adeguarsi, cosa che Guccini non ha mai fatto. Anche con Canzoni da osteria, Guccini si sposta dall’altra parte, va dove gli altri indicano i pazzi o i sognatori. Francesco Guccini è lì, forse sono gli altri che non sanno più dove stare e fanno finta di stare bene.