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Carceri al collasso: sovraffollamento al 200%, e 68 suicidi in un anno, ma non frega a nessuno

Carceri al collasso: sovraffollamento al 200%, e 68 suicidi in un anno, ma non frega a nessuno

Sta per chiudersi il 2023 con un bilancio negativo per le nostre carceri: 60.116 detenuti a fronte di 51.272 posti regolamentari non tutti disponibili perché molte celle non sono agibili.

Il problema è che le nostre carceri non si riempiono a causa delle nuove misure repressive del Governo Meloni, che ha puntato il dito contro i partecipanti dei rave party e contro i trafficanti di esseri umani, ma perché non si applicano le misure alternative istituite durante il Covid.

Questo significa che nel 2023 il sovraffollamento ha raggiunto una media del 117 per cento con punte che superano il 200 per cento. A ciò si aggiungono 68 suicidi.

Il tutto avviene nell’indifferenza del Governo e del Parlamento che in oltre un anno non hanno messo in campo alcuna iniziativa per dare respiro agli istituti di pena. Tutta la narrazione del Ministro della Giustizia Carlo Nordio si è basata sull’utilizzo delle caserme ma abbiamo scritto più volte che è una strada non percorribile per tempi e burocrazia.

E intanto le celle sono stracolme e la dignità delle persone calpestata. Nel frattempo il 21 dicembre con un decreto del presidente della Repubblica si è insediato ufficialmente il nuovo Collegio del garante dei diritti delle persone private della libertà personale: Felice Maurizio D’Ettore, Irma Conti, Mario Serio chiamati a non abbassare il livello di guardia sulle garanzie di detenuti, immigrati, malati portato avanti in questi ultimi anni dal precedente Garante. Tuttavia da chi il carcere lo visita costantemente arrivano forti preoccupazioni.

Ci dice Rita Bernardini, Presidente di Nessuno Tocchi Caino: “Il Governo Meloni nel 2024 sarà “messo alla prova” della lotta nonviolenta, questa è la nostra intenzione suggellata dalla mozione approvata nel X congresso che lancia un Grande Satyagraha di azioni nonviolente che favoriscano un provvedimento di clemenza senza tralasciare, anzi dandole impulso immediato, il sostegno alla proposta del deputato Roberto Giachetti di modifica della liberazione anticipata speciale (75 giorni ogni semestre come ristoro per ridurre immediatamente il sovraffollamento) e ordinamentale (60 giorni anziché 45 ogni semestre per il futuro), così come a tutte le altre proposte – da qualsiasi parte provengano – che abbiano come finalità la riduzione della popolazione detenuta e il miglioramento delle condizioni di vita della comunità penitenziaria”.

Per la radicale “al volterriano ‘non fatemi vedere i vostri palazzi, ma le vostre carceri’, vogliamo ora aggiungere ‘fateci vedere i vostri bilanci’ perché quello che constatiamo (anche nell’ultimo bilancio) non ci piace neanche un po’: una cifra monstre per mantenere in piedi il fallimentare sistema dei 189 istituti penitenziari (che produce il massimo di recidiva) e una cifra minima per le misure di comunità alternative al carcere che, invece, sono efficacissime per il reinserimento sociale dei detenuti”.

A lanciare un allarme anche Stefano Anastasia, Garante dei detenuti del Lazio: “Il sistema penitenziario italiano rischia di esplodere. Abbiamo passato la soglia critica dei 60mila detenuti e in molti istituti il sovraffollamento è già oltre i limiti che secondo la Corte europea dei diritti umani costituisce un trattamento oggettivamente inumano e degradante, per di più aggravato dall’applicazione della nuova circolare sulla media sicurezza che di fatto costringe la gran parte dei detenuti a stare chiusi in cella quando non possono andare all’aria o nelle sale di socialità. In gran parte degli istituti la carenza di personale di polizia impedisce di svolgere attività al pomeriggio e spesso fa saltare esami diagnostici e visite mediche specialistiche esterne. La minaccia del reato di rivolta, anche per azioni di protesta nonviolente, contenuto nel ddl governativo sulla sicurezza è solo l’ultimo, parossistico elemento di una strategia di non governo del carcere che trasforma ogni criticità in un problema disciplinare o penale. In questo modo il rischio che il sistema diventi ingovernabile è molto alto”.

Per Anastasia “bisognerebbe avere il coraggio di fermarsi e di riaprire il dialogo con tutti gli attori del sistema per tornare ai principi costituzionali di umanità e rieducazione e all’obiettivo della pena detentiva come extrema ratio, da perseguire anche attraverso il numero chiuso e le alternative al carcere obbligatorie per i reati meno gravi e i residui pena inferiori a un anno”.

Per Patrizio Gonnella, Presidente di Antigone “manca una visione della pena, che abbia a cuore i contenuti dell’articolo 27 della Costituzione. Addirittura si pensa a riformare la Carta introducendo un riferimento dal chiaro sapore populista, quello che fa riferimento alle vittime (quattro ddl incardinati in Senato a firma Fd’I, Pd, M5s, AvS, ndr). Invece c’è bisogno di mettere al centro la questione carceraria che poco ha a che oggi con la questione criminale e ricordare che con questi tassi di crescita della popolazione detenuta arriveremo ai numeri che hanno prodotto le condanne europee negli anni 2009 e 2013, facendo fare all’Italia una bruttissima figura internazionale”.