Lotta continua

Chi ha vinto la lotta di classe: per ora hanno vinto i ricchi, il grillismo non è una alternativa

Lo scontro di classe non è mai finito. Se si finge che sia finito si consegna la vittoria alla destra. Credo che siamo di fronte all’ultimo bivio: lotta di classe o invidia sociale?

Editoriali - di Piero Sansonetti - 29 Dicembre 2023

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Chi ha vinto la lotta di classe: per ora hanno vinto i ricchi, il grillismo non è una alternativa

In questi giorni sulle nostre pagine si è molto parlato di “lotta di classe”. Espressione desueta da qualche decennio. Il tema lo ha sollevato Paolo Franchi, giornalista di lungo corso, firma prestigiosa del Corriere della Sera, che tanti anni fa fu dirigente della Fgci, cioè dei giovani comunisti, e fu in corsa per diventarne il capo nazionale (battuto poi da Massimo D’Alema).

Franchi ha toccato questo argomento citando il vecchio Emanuele Macaluso, che del Pci è stato una colonna e che apparteneva alla corrente migliorista, cioè quella considerata più riformista o addirittura più moderata rispetto ai berlingueriani e agli ingraiani.

Franchi ha fatto notare che se si esclude il tema della lotta di classe dalla base del dibattito politico a sinistra, resta molto poco. Franchi dice che la lotta di classe non è una cosa buona o cattiva, importante o secondaria. La lotta di classe c’è. Punto.

La lotta di classe – io credo – non è tutto, ma soltanto intorno alla lotta di classe si organizzano le altre battaglie che altrimenti restano canne al vento. Belle, romantiche, ma inutili. Una cosa del genere me la disse Pietro Ingrao, nell’ultima intervista che gli feci.

Aveva più di novant’anni. Mi spiegò che per costruire la lotta politica devi sempre capire qual è la contraddizione principale. E lui diceva – forse in modo un po’ antico – che la contraddizione principale è quella tra capitale e lavoro.

Il punto più alto della lotta di classe, in Italia, fu raggiunto tra il 1969 e il 1972. Il conflitto era guidato dagli operai metalmeccanici che strapparono per due volte di seguito dei rinnovi contrattuali straordinari.

Quello del ‘69 giunse nel pieno dell’autunno caldo e poi dell’inverno, e fu firmato nelle stesse settimane nelle quali veniva varato lo Statuto dei lavoratori, che è il frutto più maturo della battaglie di sinistra del vecchio partito socialista.

Quello del ‘72, con le 150 ore, fu addirittura rivoluzionario, ed ebbe tra le sue conseguenze (quando fu esteso ad altre categorie di lavoratori) la fine dell’analfabetismo che nei primi anni 70 in Italia era ancora molto diffuso.

Le 150 ore erano un privilegio per i lavoratori (pagato in parte dalle imprese e in parte dallo Stato) i quali ottenevano il diritto a utilizzare 150 ore all’anno del loro orario di lavoro per andare sui banchi di una scuola a studiare.

Il movimento operaio, in quell’epoca, era fortissimo. Ed era il protagonista assoluto della lotta politica. Sostenuto dal Pci e in parte dal Psi ma dotato di assoluta forza autonoma. La borghesia si divise e usò sistemi diversi per contrapporsi e fare muro, cioè per partecipare alla lotta di classe. Una parte rispose con la reazione, e con le bombe.

Il punto più alto dell’avanzata operaia del ‘69 coincise, in termini di giorni, con la strage di piazza Fontana e l’inizio del terrorismo di Stato, che fu una delle prime cause dello scatenarsi, negli anni successivi, della lotta armata.

Un’altra parte della borghesia, guidata essenzialmente da Gianni Agnelli, cercò invece di venire a patti, di concedere, di incanalare la lotta di classe nell’alveo del riformismo.

Fu un periodo molto incerto, perché l’esito della lotta di classe non era affatto chiaro. Alla fine dei conti possiamo certamente dire che quella partita la vinse il movimento operaio, e che la borghesia dovette rinunciare a diversi privilegi.

L’egemonia culturale si spostò in modo clamoroso a sinistra, travolgendo anche il mondo cattolico (che nel frattempo era stato scosso dal Concilio) e persino quello liberale.

Le diseguaglianze sociali diminuirono, i poveri fecero irruzione nella scuola, la grande stampa si spostò, guidata dal Corriere della Sera di Giulia Crespi (leader molto sobria della parte più avanzata della borghesia del Nord) su posizioni meno conservatrici.

Naturalmente oggi le cose sono molto diverse. Per una ragione semplice: tra il 1984, con la sconfitta della Cgil e del Pci al referendum sull’abolizione della scala mobile (cioè dell’adeguamento automatico dei salari all’inflazione) e il 1994, con la fine della prima Repubblica, il movimento operaio ha subito una sconfitta senza precedenti ed è stato disperso. Come ha scritto Marco Revelli, la lotta di classe l’hanno vinta i ricchi.

Ma il fatto che i ricchi abbiano vinto nel corso degli ultimi 15 anni del secolo, dopo aver perso negli anni 70, non vuol dire che la lotta di classe è finita. E invece questa è la tendenza politica prevalente a sinistra. Metterci una pietra sopra.

La stessa nascita del partito democratico, diciotto anni dopo la caduta del muro di Berlino, si è realizzata sull’ipotesi che la lotta di classe fosse perduta e la sinistra dovesse accontentarsi di fare gruppo con le forze di centro, meno ampie dal punto di vista numerico, ma più compatibili col potere e col governo.

Da allora la lotta di classe è scomparsa, e non c’è da stupirsi se la conseguenza è stata l’enorme aumento delle differenze sociali e la costante perdita del potere dei lavoratori sui luoghi di lavoro. Io non credo che questo arretramento nei rapporti sociali sia coinciso con un aumento dei diritti civili.

Le grandi conquiste nel campo dei diritti civili – aborto, divorzio, stato di famiglia, fine dell’imposizione per legge di privilegi maschili, riconoscimento dell’esistenza e dei diritti degli omosessuali, esplosione del femminismo – sono avvenute quando il movimento operaio era ancora forte. Quel che è cambiato in modo evidente è stata la distribuzione della ricchezza tra rendite e lavoro.

E questo non è un fenomeno comune a tutto l’Occidente. Perché in Europa i salari sono molto cresciuti, fino al 30 per cento, mentre in Italia si sono contratti.

Dico queste cose per sostenere la necessità di riprendere il discorso da dove si era partiti. Dal 2007, anno in cui si concluse l’esperienza della sinistra classica, con la morte del partito dei Ds, erede del Pci.

A quel punto c’erano due possibilità. Quella di un vero rinnovamento con il superamento dei difetti storici che avevano paralizzato la crescita oltre un certo limite della sinistra comunista.

E cioè con una piena adesione ai valori della libertà, della laicità, del garantismo. Mantenendo ferma invece la radicalità sui temi sociali, dell’uguaglianza e della solidarietà. Oppure quella opposta: rifugiarsi a destra, negli spazi lasciati a disposizione dal neoliberismo, mettendo sull’altare il governismo e mantenendo fermi, invece, i tratti illiberali.

È stata compiuta la seconda scelta. La lotta di classe è stata sostituita dall’invidia sociale e dalla cultura dell’odio. Cioè dalla parte peggiore del marxismo ma soprattutto della sinistra premarxista.

La politica sociale si è identificata con la politica sociale dei moderati. E sul piano culturale si è pensato di poter sostituire il conflitto con il giustizialismo e l’ostilità allo Stato di diritto.

Questo è il volto della sinistra di oggi. Molto simile a quello del grillismo. Non ha niente né di riformista, né di rivoluzionario, né di moderno. È priva di pilastri teorici o ideali. E colma di risentimenti. È incapace di mettere al centro il conflitto e non l’ansia di governo e non la pulsione ad assomigliare alla destra.

Negli articoli che abbiamo pubblicato in questi giorni ci sono molte delle cose che sto scrivendo. Proposte anche in modo molto più concreto. Per esempio ho apprezzato assai l’idea di battersi per una patrimoniale, che in termini di governo è il passo più semplice e riconoscibile per avviare una battaglia egualitaria.

Ma esiste un partito in grado di ascoltare queste voci? Di scrollarsi di dosso il girotondismo, la spinta reazionaria, e di affrontare di petto le grandi questioni dell’uguaglianza e della libertà, a prescindere dagli obblighi del governismo? Credo che siamo di fronte all’ultimo bivio: lotta di classe o invidia sociale?

29 Dicembre 2023

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