Il quotidiano La Verità ieri ha pubblicato una lunghissima intervista all’ex Pm di Palermo Antonio Ingroia, nella quale Ingroia, col sistema del non dire ma semplicemente confermare le ipotesi dell’intervistatore, rivelava i contenuti di alcune intercettazioni di telefonate del Presidente della Repubblica (Napolitano) delle quali la Corte Costituzionale aveva ordinato la distruzione.
Le intercettazioni materialmente non ci sono più. Ma alcuni magistrati, tra i quali Ingroia, le conosce e le rivela a un giornale. Sostiene che Napolitano tramava contro Berlusconi e contro il processo sulla presunta trattativa stato-mafia.
Non essendoci più le intercettazioni non possiamo neppure sapere se Ingroia dice la verità o mente. Sappiamo che questo incidente si può ripetere. Qualunque magistrato, una volta che si è dimesso, può rivelare i segreti. E forse, anche prima di essersi dimesso, può ricattare l’intercettato, anche usando pezzi di intercettazioni irrilevanti ma che riguardano la sua vita privata.
Capite bene che il problema è gravissimo. Mette in discussione, oltretutto, la credibilità della magistratura. Perché anche i magistrati più onesti possono essere sospettati. Non neghiamo la realtà, c’è un solo sistema per risolvere il problema: proibire le intercettazioni e costringere i magistrati a tornare ai vecchi metodi di indagini. E’ una emergenza democratica.