Il dibattito

“La lotta di classe oggi è crescita ma anche diritti. Il Pd è finito in balia del vento populista”, parla Livia Turco

«Tra profitti e salari si è creato un divario enorme rispetto al passato. Ma tra datori e lavoratori possono sorgere anche alleanze alla ricerca di un modello di sviluppo nuovo e più umano»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli - 2 Gennaio 2024

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“La lotta di classe oggi è crescita ma anche diritti. Il Pd è finito in balia del vento populista”, parla Livia Turco

Livia Turco, una vita a sinistra. Più volte parlamentare, già ministra per la Solidarietà sociale (1996-2001) e ministra della Salute (2006-2008), oggi fa parte della Direzione nazionale del PD. Con la sua consueta onestà intellettuale e passione politica interviene nel dibattito aperto da l’Unità con l’interno di Paolo Franchi e l’intervista a Beppe Vacca.

“Scontro sul salario: la lotta di classe è il motore della politica”. Questo è il titolo che l’Unità ha dato a un articolo di Paolo Franchi che ha dato vita ad un dibattito molto ricco di contenuti e plurale nei punti di vista. Lei come la pensa?
L’articolo di Paolo Franchi è stata una scossa utile al nostro dibattito. Dico subito che condivido le sue tesi anche se credo vada approfondito cosa significa lotta di classe oggi. Innanzitutto combattere le dure diseguaglianze che si sono sempre più aggravate. Conosciamo i dati. Nel corso degli ultimi trent’anni le diseguaglianze all’interno dei paesi avanzati sono costantemente aumentate. Se guardiamo, per esempio, alla concentrazione della ricchezza in Europa – che rimane il continente nettamente meno diseguale al mondo – l’1% più ricco dispone del 25% della ricchezza complessiva; sempre in Europa la ricchezza accumulata dal 10% più ricco è 66 volte maggiore di quella del 50% di più povero. E tra il 1980 e il 2020, il divario tra lo stipendio del dipendente meno pagato e quello del top manager è cresciuto passando da un massimo di 45 fino a 649 volte. Una tendenza generale, che in Italia è addirittura più marcata, tenendo conto che i salari sono stagnanti da molti anni mentre i profitti e rendite hanno segnato una crescita costante. A ciò si aggiunga l’alto tasso dell’evasione fiscale, il livello di indebitamento pubblico che obbliga lo stanziamento di risorse pubbliche per il ripianamento del debito medesimo sottraendole a quelle destinate alla redistribuzione. La questione è dunque quella di costruire un nuovo equilibrio tra crescita economica ed integrazione sociale, insieme allo sviluppo della democrazia. Non dimentichiamo mai l’art.3 della nostra Costituzione che è, esso stesso, contenuto e confine della lotta di classe. Infatti, oggi più che mai il mondo degli sfruttati ha bisogno di forze politiche che le rappresentino e di istituzioni realmente rappresentative della società. L’altro aspetto cruciale è che il lavoro è molto cambiato, si è frammentato, impoverito, è molto spesso lavoro precario anche quando si tratta di lavori che si avvalgono di un elevato titolo di studio. Sappiamo che questi lavori sono svolti soprattutto da giovani e donne. Ciò che conta per le persone che li svolgono, è il reddito, il salario, i diritti e le tutele ma anche il rapporto tra il tempo di lavoro e gli altri tempi di vita.

Il Tempo come categoria politica.
Oggi, molto del senso della vita lo si ricerca in altre dimensioni oltre il lavoro. Il TEMPO diventa questione cruciale per tutte le persone e per tutti i lavori. Non solo per i lavori più qualificati. Nel conflitto di classe, vive, oggi più che mai un consapevole e maturo “conflitto di sesso”. Non solo per le insopportabili discriminazioni che colpiscono le donne ma perché le donne vogliono che il lavoro rispetti tutte le dimensioni della vita, a partire dalla cura delle persone. Il conflitto di sesso pretende che la cura della vita sia parte del lavoro riconosciuto e retribuito e che orienti il modello di crescita e di sviluppo. Ed allora bisogna allargare i confini della lotta di classe, nei suoi soggetti e nei suoi contenuti. Se vogliamo combattere le gravi disumanità che attanagliano il nostro vivere quotidiano bisogna vivere in un ambiente sano, in contesti di vita umani, garantire i diritti sociali fondamentali come la casa, la salute, l’istruzione. Che non può solo essere compito del welfare pubblico ma il soggetto pubblico deve sollecitare la responsabilità degli attori economici a promuovere inclusione sociale, valorizzare il capitale umano, umanizzare i contesti di vita e di lavoro. La creazione del nesso sviluppo economico-inclusione non può basarsi sul vecchio schema, da un lato la crescita economica cui si chiede di garantire dignità e diritti del lavoro, dall’altro il welfare cui si affida la promozione dei beni comuni e la redistribuzione delle risorse. Per il semplice fatto che quei beni comuni e la stessa inclusione sociale sono, devono essere, parte integrante della crescita economica e dello sviluppo, ed in quanto tali responsabilità che compete anche ai soggetti economici. Dunque, non solo conflitto tra capitale e lavoro, per dare forza e dignità al lavoro ma, anche, alleanze tra lavoratori e forze produttive per un nuovo modello di sviluppo. Il conflitto di classe incontra oggi lavoratori e lavoratrici che parlano lingue diverse, hanno colori della pelle diversi. Bisogna tradurre queste differenze in ricchezza, in coesione, combattere la paura ed il rancore. Costruire la società plurale basata sulla convivenza.

Per restare alla questione della lotta di classe. A tal proposito, rimarca Franchi: “La sinistra se l’è scordata. A partire da quando, al Lingotto, nel 2007, si negò che potesse esistere qualunque contrasto tra ‘padroni’ e lavoratori. Se la sinistra non torna a dar voce agli sfruttati, è spacciata”.
Sicuramente la sinistra è spacciata se non torna a dare voce agli sfruttati. Al Lingotto nel 2007, alla nascita del PD, si guardava con fiducia alle potenzialità di emancipazione, anche del lavoro, rappresentato dai processi di globalizzazione, si puntò alla conquista del ceto medio considerato cruciale per realizzare la vocazione maggioritaria e diventare maggioranza politica nel paese, si identificò nel valore della democrazia il tratto unificante di un progetto politico progressista e di sinistra che non negava però il conflitto sociale e la dignità del lavoro. Fu successivamente, con il renzismo che scomparve il conflitto di classe e la centralità della dignità del lavoro e dei lavoratori.

Franchi annota che la vicenda del salario minimo sembra avere riportato nel dibattito la nozione di sfruttati e sfruttatori. Il governo sta con gli sfruttatori. Ma il PD? Fuori dal Parlamento è ancora il “partito Ztl”?
La battaglia sul salario minimo è stata importante e condotta in modo egregio, nel parlamento e nella società, dalla segretaria del PD Elly Schlein. Credo sia importante che la battaglia prosegua, ad esempio promuovendo una proposta di legge di iniziativa popolare. Così come è stato importante aver posto come PD nella legge di Bilancio la proposta del congedo di 5 mesi, retribuito e paritario per donne e uomini. L’inverno demografico è questione prioritaria per il paese. Alla mistica della maternità celebrata nel deserto di politiche per la maternità e la crescita dei figli portata avanti dal governo Meloni, bisogna oppure una politica concreta che dia la possibilità alle donne di avere i figli che desiderano. Ad essa bisogna aggiungere una proposta che combatta la povertà, alternativa a quella della Destra, ora in vigore che lascia senza tutele le persone che vivono la povertà connessa al lavoro povero ma anche alle fragilità umane e sociali. Non bastano le battaglie parlamentari o nelle istituzioni. Oggi è cruciale costruire relazioni umane e sociali con le persone, andare nei luoghi di vita e di lavoro, ascoltare, condividere, prendersi cura dei loro problemi e costruire battaglie per risolverlo. Ho avuto la fortuna di vivere e praticare questa politica, ne ho conosciuto la bellezza, la fatica e l’efficacia, Non smetterò mai di combattere perché essa rinasca. Ma è compito di una nuova generazione la rinascita della sinistra a partire dalla rinascita di nuova politica popolare. Che cambi radicalmente l’attuale costituzione materiale del PD. Credo necessario, dopo le elezioni europee, promuovere una Conferenza nazionale sul partito.

In una intervista a l’Unità, Beppe Vacca ha sostenuto che le ragioni della debolezza della sinistra vanno ricercate più sul piano storico-politico e culturale che nel radicamento sociale.
Ho letto la bella intervista di Giuseppe Vacca. Non credo che si possano contrapporre le questioni del radicamento sociale con quelle di cultura politica. Agire il conflitto di classe, dare rappresentanza al mondo dei lavori è la base per una politica popolare, per soggetti politici organizzati, per una democrazia piena e rappresentativa, capace di prendere le decisioni, di governare. E, viceversa, solo solidi partiti popolari ed istituzioni rappresentative ed efficienti possono dare riconoscimento e forza al lavoro. Ricordo l’impegno del PDS e poi dei DS ad innovare la forma partito, in un contesto che era molto ostile ai partiti e profondamente segnato dalla cultura della ipertrofia dell’io, del mito dell’apparire, del primato della società civile proprie del berlusconismo. L’impegno – che fu forte e determinato – era, allora, quello di costruire una forma partito come comunità e soggetto collettivo, in un contesto che era profondamente mutato. Esso si accompagnava alla consapevolezza che bisognava riformare le istituzioni. Il paradigma della Democrazia dei cittadini animò la stagione dell’Ulivo e fu capace di suscitare tante energie e tanta partecipazione. Personalmente ho sempre considerato un errore separare i due paradigmi, cittadini-partito: la partecipazione dei cittadini è più forte se può avvalersi di robusti partiti popolari. Se avessimo unitariamente perseguito quella strada, saremmo stati più forti di fronte alle sirene del populismo. Che, invece, il PD, nell’ultimo decennio, non solo non ha saputo contrastare ma ne è stato subalterno, come conferma l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e l’ultima riforma della legge elettorale con la riduzione del numero dei parlamentari.

Il 2023 si è concluso con le immagini strazianti che giungono da Gaza. Non c’è pace in Palestina.
L’anno si conclude con le immagini drammatiche in Palestina, in Ucraina. E con le affermazioni preoccupanti di Netanyahu che dice che i bombardamenti proseguiranno. Sull’altro fronte ascoltiamo analoga dichiarazione da parte di Putin. Su entrambi i fronti l’unica decisione che serve è il cessate il fuoco. Basta con questa barbarie che distruggono vite umane come fossero oggetti senza valore, animati da un sentimento di odio che come una furia si trasmette su quelle medesime vite, su quei corpi straziati!! Facciamo nostre le sagge e lungimiranti parole pronunciate dal presidente Mattarella nel suo discorso di fine anno: “È indispensabile fare spazio alla cultura della pace, alla mentalità della pace. Parlare di pace non è astratto buonismo. Al contrario è urgente realismo se si vuole cercare una via d’uscita ad una crisi che può essere devastante per il futuro dell’umanità”.

2 Gennaio 2024

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