Il fatto che alla fine dell’anno si decida di non dedicare nemmeno una parola alla giustizia, come ha deciso di fare il presidente Mattarella, può significare due cose: che la giustizia non è un problema, oppure che è un problema di cui tuttavia è legittimo disinteressarsi.
Conosciamo l’obiezione.
D’accordo i diritti, d’accordo lo Stato di diritto, queste menate: ma qui ad aggredire la vita e il benessere degli italiani ci sono i problemi veri, l’economia che arranca, le imprese che chiudono, gli investimenti che calano, la povertà che cresce, l’insicurezza nelle strade, l’immigrazione.
Già. Ma il guaio è che non c’è una di queste cose – l’economia, la vita dell’impresa, il lavoro, la sicurezza, persino l’immigrazione – che non risenta direttamente e più o meno gravemente della cattiva influenza della giustizia. Perché la giustizia sarebbe un problema, un enorme problema, già se fosse soltanto un ricettacolo di problemi, e cioè se il problema della giustizia stesse soltanto nei problemi che la affliggono.
Ma è peggio, è più grave, perché la giustizia non si limita ad avere problemi: li crea. E non li crea “soltanto” ai poveretti incarcerati ingiustamente, ai disgraziati travolti da indagini stralunate che finiscono nel nulla, alle vittime dei rastrellamenti giudiziari spazza-innocenti, tutte cose che suscitano la solita lagna dei soliti quattro garantisti che non capiscono che i problemi sono ben altri.
No: la giustizia italiana crea problemi anche e proprio sul fronte di quelle effettive priorità, proprio nel circuito economico e produttivo, proprio nel flusso degli investimenti, proprio nella gestione della sicurezza, proprio nelle cose che, come demagogicamente si dice, “stanno a cuore” agli italiani.
Vogliamo dimenticare i diritti dei detenuti nelle carceri sovraffollate? Vogliamo dimenticare che spesso sono poveri, spesso sono responsabili di delitti tenui, spesso sono stranieri resi criminali da leggi che ne fanno dei criminali per il sol fatto di essere stranieri e poveri?
Va bene, dimentichiamoceli pure: ma quanto spendiamo per mantenere improduttive quelle decine di migliaia di persone? Quanti soldi spendiamo in questo modo, per assicurare loro, quando usciranno, un futuro che statisticamente è di recidiva? E quanto ne guadagna, in termini di sicurezza, la società?
Vogliamo dimenticarci dei diritti dei cittadini spiati e intercettati come neanche in diciotto dittature sudamericane e asiatiche messe insieme? D’accordo, dimentichiamoceli: ma quanti soldi vengono spesi, e con quale frutto, per tenere impegnati i magistrati e le forze dell’ordine in questa pazzotica attività di intrusiva sorveglianza?
Vogliamo dimenticare gli imprenditori distrutti da sequestri avventati e interdittive ingiuste, andati a ramengo perché un magistrato si è messo in testa che l’azienda era marcia? E dimentichiamocene pure, tanto quelli avevano messo via tanto soldi, mica muoiono: giusto?
Ma a parte il fatto che a volte muoiono, perché si ammazzano: ma i dipendenti? E i fornitori? E l’indotto di commercio, di terzisti, di ricchezza supplementare che viene sacrificato quando un’impresa va a rotoli per via giudiziaria, tutto questo ce lo dimentichiamo?
E gli investimenti stranieri che non arrivano perché un investitore vorrebbe passare il tempo a realizzare prodotti e servizi, non a riempire moduli antimafia, e vorrebbe avere a che fare con i collaboratori, con i concorrenti, con i sindacati, non con le procure della Repubblica, e vorrebbe metterci poco tempo, non anni e anni, per recuperare un credito: ecco, questi investimenti non mancano per caso, ma anche a causa di una giustizia che non si limita a essere inefficiente e offensiva verso i singoli, verso i diritti minuti e noiosi del cittadino qualunque, ma anche rispetto all’iniziativa di impresa, rispetto alla produzione, rispetto alla crescita del Paese.
Non bastasse, si potrebbe aggiungere che un altro comparto delle cose pubbliche è vittima molto spesso dell’intemperanza giudiziaria. E si dirà che ai cittadini importa poco, anzi è il caso in cui essi più festosamente approvano quell’operato interferente e tanto meno comprendono (anche perché ben istigati in tal senso dalla retorica anticasta) quanto invece minacci i loro stessi diritti: ma un cenno al fatto che, per quanto sgangherato, il sistema democratico rappresentativo è meglio, è più affidabile, è più sicuro di quest’altro che lo vorrebbe sostituire, con i pubblici ministeri che fanno le liste elettorali e con i governi esposti al giudizio togato anziché a quello parlamentare, un cenno a questo modesto principio forse si potrebbe fare in un Paese che rischia di spedirlo in desuetudine. O no? A meno che non sia un non-problema. O a meno che sia bensì un problema, ma del quale è giusto continuare a disinteressarsi. Appunto.